Beatrice era la figlia di un nobile, Francesco Cenci, famoso per il suo animo irrequieto e i suoi guai con la giustizia. Siamo nel 1598, l'intera famiglia Cenci: formata dalla protagonista del nostro racconto, da Giacomo, suo fratello maggiore, da sua madre Lucrezia e dal figlio nato dalle seconde nozze Bernando, cerca di far fuori quest’uomo iracondo e despota, infilzandolo alla gola e buttandolo giù da un balcone, simulando una caduta accidentale. Il popolo della città eterna sapeva dei rancori degli altri membri della famiglia, ma si batté per un processo, invece della condanna a morte per direttissima. Clemente VIII, però, la pensò diversamente e li condannò tutti al patibolo, per il giorno 11 settembre 1599. La famiglia Cenci viene condotta a Ponte Sant’Angelo, dove veniva tirato su il palco delle esecuzioni pubbliche. Giacomo venne torturato lungo il tragitto e smembrato, Lucrezia decapitata e Beatrice finì nelle mani del boia. Si salvò solo Bernardo.
Beatrice venne sepolta in una tomba anonima nella chiesa di San Pietro in Montorio, secondo la sua volontà e divenne simbolo della resistenza alle angherie papali. Due secoli dopo, con l'occupazione napoleonica della capitale, dei soldati francesi distrussero e depredarono la chiesa. Tombe e sarcofagi vennero fatti a pezzi e i resti della povera sventurata mai recuperati. Sembra che un soldato francese avesse iniziato anche a giocare con il suo teschio, usandolo come palla.
Nel 1999, a cinquecento anni dalla sua morte, a Roma venne esposta una targa in memoria di Beatrice Cenci “Da qui, ove sorgeva il carcere di corte Savella, l’11 settembre 1599 Beatrice Cenci mosse verso il patibolo, vittima esemplare di una giustizia ingiusta”.
Ancora oggi, alla vigilia della sua esecuzione, la notte tra il 10 e l’11 settembre, la si può vedere che vaga sul ponte, con in mano la sua testa recisa.
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