Sapete come ci si sente quando nella testa vi bazzica un pensiero nutrito da tutto ciò che guardate o che vi circonda? Sembra quasi che sia la provvidenza - o qualsiasi cosa di magico possiate prendere in considerazione - a farvi trovare tutti i segni che quel pensiero possa solidificarsi e avvalorarsi nella vostra testa. Così è capitato a noi nell’ultimo periodo.
Il pensiero che si è consolidato nella mia testa è che oggi, più che mai, anche grazie alle potenzialità dei social media, ci stiamo ritrovando a vivere nell’epoca dell’insulto.
Il che è praticamente assurdo, considerato il modo con cui il politicamente corretto si è intrufolato nei pensieri di tutti i giorni. Se, infatti, da un lato dovremmo rivestirci di una ritrovata sensibilità morale, dall’altra sembriamo aver perso l’etica e la correttezza che quella stessa morale dovrebbe portare con sé. Ritrovandoci in un contesto nella quale certe parole sono - giustamente - bandite, mentre dall’altro ci si sente autorizzati a dire tutto ciò che si pensa sui personaggi pubblici incuranti di un pensiero fondamentale: “non fare agli altri ciò che non vorrebbe fosse fatto a te”.
Studiando il volume di Roger Silverstone intitolato “Mediapolis. La responsabilità dei media nella civiltà globale” (acquistalo qui), quando le parole dell’autore hanno colpito la nostra attenzione e hanno risvegliato in noi questo pensiero. Lo studioso, analizzando i media, punta la sua attenzione sulla distinzione tra etica e morale e il modo con cui esse agiscono all’interno dell’ambiente interconnesso.
“Le argomentazioni universalistiche falliscono, politicamente, perché non sono in grado di riconoscere il fatto che posizioni e valori socialmente distanti e incommensurabili possano, di fatto, essere ugualmente sostenuti, a buon diritto. Per questo motivo, qualsiasi tentativo di limitare il valore universale e generale di una posizione implica imposizioni di fiondo, forme di violenza capaci addirittura di soffocare ogni invocazione alla tolleranza o alla comprensione reciproca.”
Tutto ciò, effettivamente, non fa altro che evidenziare quanto oggi avviene: ci si “distrugge” commentando in modo totalizzante e assoluto ideologie che dovrebbero essere considerate nella loro relatività. Si scambia, fin troppo spesso, l’oggettivo col soggettivo spingendosi verso quello che potremmo definire come un insulto. Diviene più facile, evidentemente, cercare di imporre e di cancellare chi la pensa in modo diverso, invece di battersi e di lottare per le idee che gli altri hanno. Si manca di sensibilità e di educazione celandosi dietro lo schermo di una tastiera, sputando il veleno che si ha dentro e che difficilmente troverebbe un vero sfogo nell’offline pensando di essere tutelati da un’identità altra.
Forse ci si dovrebbe semplicemente ricordare di una cosa che molto spesso mi diceva mio padre: “se non ne puoi dir bene, forse è meglio tacere”. Questo non vuol dire censurare un proprio pensiero, ma imparare la differenza che intercorre concettualmente tra il “tu sbagli” o il “non sono d’accordo con te”.
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