“Ci sono tifosi di calcio, e poi ci sono i tifosi della Roma” Agostino di Bartolomei
Viviamo nella Capitale e respiriamo la sua energia quotidianamente. Qui il calcio è tutto ed è proprio per la sua importanza che si sono formati calciatori come Francesco Totti e Daniele De Rossi che fin da bambini si sono allenati e sacrificati nel nome di Roma.
“Ho solo un unico rimpianto: quello di poter donare alla Roma una sola carriera” Daniele De Rossi
I calciatori incarnano gli antichi condottieri, l’archetipo dell’eroe incarnato su questa terra per compiere il suo dovere divino. In questo caso il dovere divino è onorare Roma.
I tifosi questo lo sanno molto bene: non si segue una squadra perché vince, ma si segue per amore. Sono spinti solo dall’amore.
A fine anni ’60 i prezzi degli stadi si abbassano e questo dà inizio al tifo del calcio come lo conosciamo ora. Gli stadi cominciano a riempirsi di ragazzi appassionati, capaci di sostenere la propria squadra con canti ritmati da tamburi, con striscioni a creare le primitive coreografie.
Ma da quando le curve sono diventate il dodicesimo uomo in campo? Ciò che l’avversario realmente teme?
È in un derby Roma-Lazio che accade la magia.
È il 23 ottobre 1983. La Roma è campione d’Italia da qualche mese, la Lazio è appena tornata in serie A dopo un’assenza di tre anni nella serie cadetta.
Al CUCS, noto gruppo storico di tifo capitolino, balena un’idea che cambierà per sempre la storia del tifo italiano. Dopo giorni estenuanti passati a dipingere, ritagliare e incollare, a pochi minuti dal fischio d’inizio della partita, ecco levarsi dalla Curva Sud uno striscione di sessanta metri per venti. Una sola scritta: “Ti amo”.
Una dichiarazione d’amore semplice, diretta, che lascia tutti a bocca aperta. Lo stadio ammutolito, riempito solo dal suono degli applausi. Il derby viene vinto dalla squadra della Capitale per 2 a 0, con reti di Nela e Pruzzo.
“In ogni giorno che vorrai/io griderò: “Ti amo!”
Qualche anno dopo, nel 2001, al Circo Massimo, in occasione della festa per il terzo scudetto della Roma, Antonello Venditti ricorda in una canzone scritta per l’occasione, "Che c'è", quel gesto semplice che diede il via alle più belle coreografie italiane ed europee.
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