Oggi vi proponiamo la lettura del terzo canto in chiave esoterica. Nel caso siate incappati prima in questo, vi consigliamo di recuperare gli articoli precedenti: l’introduzione, il primo e il secondo canto.
Anche se mosso da costanti dubbi e incertezze, Dante decide di seguire Virgilio perché sa che dopo il lungo e faticoso cammino infernale, potrà raggiungere Beatrice.
C’è così tanto da dire che reputiamo quasi inutile fare un’introduzione, meglio andare al dunque. Vi ricordiamo solo che non stiamo qui per fare un’analisi di letteratura o storia italiana. Stiamo qui per analizzare la Divina Commedia dal punto di vista esoterico. Liberiamo la mente e cerchiamo di ampliarla con i concetti metafisici e psicologici che solamente ora siamo in grado di apprendere sul serio dalle parole del grande Maestro.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.
Queste parole di colore oscuro
vid’io scritte al sommo d’una porta;
per ch’io: “Maestro, il senso lor m’è duro”.
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.
Queste parole di colore oscuro
vid’io scritte al sommo d’una porta;
per ch’io: “Maestro, il senso lor m’è duro”.
Abbiamo appurato che la Divina Commedia parla del percorso iniziatico. È un percorso che ci entusiasma (grazie all’intervista ad Andrea Rinaldi abbiamo compreso il vero significato di questa parola) e allo stesso tempo ci spaventa. È normale, fa parte della natura umana. Ma allo stesso tempo sappiamo che una volta intrapreso non possiamo più tornare indietro.
Tutte e quattro siamo in cammino, e spesso la gente ci domanda: “Ma per quanto tempo lo farete? Ma potete tirarvene fuori?”. Sono domande comuni, quesiti che noi stesse abbiamo rivolto all’inizio. Le risposte sono molto semplici: dura tutta la vita, e no, non si può tornare indietro.
Non vuol dire che siamo dentro una prigione divina, al contrario. Ci liberiamo dalla gabbia che ci siamo costruite nel passato. Se ci guardiamo indietro, ringraziamo ogni dolore vissuto e allo stesso tempo sorridiamo tranquille perché mai vorremmo tornare come prima.
L’aumento di consapevolezza può portare solo pace e armonia, ma inizialmente è normale averne timore, non comprendere appieno cosa voglia dire non tornare più indietro. Difatti anche Dante non capisce il senso, e lo chiede a Virgilio.
Ed elli a me, come persona accorta:
“Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c’hanno perduto il ben de l’intelletto”.
“Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c’hanno perduto il ben de l’intelletto”.
Virgilio comincia a spiegare a Dante che è il momento di abbandonare ogni dubbio e ogni paura. Ora andiamo all’etimologia della parola speranza. Essa ha la radice sanscrita spa-: tendere verso una meta. Quando, nei versetti precedenti, si dice di abbandonar ogni speranza, vuol dire smettere di pensare all’arrivo al Paradiso.
Fermiamoci un attimo, noi con la scrittura, voi la lettura. Respiriamo. Stiamo arrivando a un punto cruciale. Chiudiamo gli occhi per qualche istante e riprendiamo.
Nei canti precedenti Dante era mosso dall’obiettivo di incontrare Beatrice. Ogni iniziato è spinto al cammino da un qualsiasi traguardo: stare meglio emotivamente o economicamente, vedere il volto di Dio, lasciare il corpo e diventare un essere di luce…
Ma all’antinferno, dove ci troviamo, ci viene subito detto: abbandonate ogni senso o motivo di inizio. Fatelo morire. Perché? Attraversare l’Inferno vuol dire mettersi faccia a faccia con le proprie ferite emotive, con i propri mostri interiori. Non si può lavorare sul serio su noi stessi senza mettersi allo stesso livello di ciò che abbiamo dentro. La psicologia moderna direbbe di ascoltare il bambino interiore.
Non è più il momento di pensare a come saremo quando tutto sarà finito, bisogna vivere sulla propria pelle ogni sfumatura dell’Inferno.
Dopo aver compreso ciò, Virgilio cerca di preparare per bene Dante: comincerà a vedere dolore, sofferenza, tutte quelle emozioni che non si hanno senza “l’intelletto”, la consapevolezza.
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.
E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: “Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?”.
Ed elli a me: “Questo misero modo
tengon l’anime triste di coloro
che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser meno belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli”.
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.
E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: “Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?”.
Ed elli a me: “Questo misero modo
tengon l’anime triste di coloro
che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser meno belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli”.
La prima parte di sé che Dante deve affrontare è descritta in sospiri, pianti e lamenti. Virgilio gli spiega che sono gli ignavi. Dalla scuola sappiamo che qui ci sono le anime di tutte quelle persone che non hanno mai preso una reale posizione nella vita. Possiamo anche parlare dal punto di vista storico, con le anime presenti, ma ricordiamo che non è questo il nostro compito.
“Coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”. Per Dante, ma per noi tutti, una vita passata nella più totale neutralità è una vita non vissuta. E perché queste persone, seppur non abbiano fatto nulla di male (sanza ‘nfamia) non stanno almeno alle porte del Purgatorio? Non potendosi meritare il Paradiso per il “sanza lodo”, perché Dante non li mette in quello che inizialmente vediamo come un punto neutro?
Vedete, anche nella Bibbia le persone totalmente chiuse vengono punite nei peggiori dei modi, se volete approfondire potete leggere la parabola sui talenti (Matteo 25,14-30).
Non vogliamo fare alcuna morale, cerchiamo semplicemente di apprendere dal Maestro pensando alle nostre vite. Quante volte siamo stati nella più totale neutralità, pensando così di far del bene? Quante volte non abbiamo risposto al capo, a un amico o al partner, per paura di iniziare una discussione? Quante volte abbiamo puntato il dito contro l’altro, senza farci prima un esame di coscienza? “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Ecco, il non prendere decisioni, il rimanere fermi e immobili, non porta ad alcuna crescita. Nessun essere vivente, neanche un albero o una pianta, rimane realmente statico. Le radici, il tronco, i rami, tutto cresce, seppur ci voglia tanto tempo per rendersene conto.
Così quando noi rimaniamo saldi nelle nostre idee o convinzioni, non stiamo compiendo alcuna crescita interiore. Per noi non ci sarà Inferno, ma ci sarà qualcosa di peggiore: l’antinferno.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ‘nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di loro, ma guarda e passa”.
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ‘nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di loro, ma guarda e passa”.
Queste anime non hanno alcuna speranza di morte. Nell’occultismo la morte altro non è che l’inizio del nuovo. Morte-rinascita, fine-inizio, vecchio-nuovo, sono concetti così legati tra loro da formare un cerchio infinito. Se è vero che l’Universo si manifesta nelle forme geometriche, deve essere senz’altro un cerchio.
Quindi queste anime non hanno alcuna speranza di rinascita, di cambiamento, di nuovo, proprio perché non riescono ad abbandonare il vecchio. Non mollano i comportamenti deleteri che li condanno all’ignavia.
Si distruggono così tanto internamente da esseri condannati, soprattutto in vita, a provare astio per qualsiasi persona stia facendo qualcosa, seppur all’Inferno. Vi è mai capitato di stare a contatto con una persona così tanto gelosa da invidiarvi persino in un momento di totale oscurità? Ecco, quella persona fa parte degli ignavi.
Non hanno alcun coraggio per affrontare un cambiamento, e provano invidia per chiunque abbiano davanti. Ai giorni nostri sono i classici “leoni da tastiera”. E qui Virgilio dà un consiglio prezioso a Dante (e a noi tutti): “Non ragioniam di loro, ma guarda e passa”.
Chi più, chi meno, tutti siamo stati a contatto con gli ignavi. La cosa migliore da fare è non rispondere mai alle loro provocazioni. Bisogna guardarli e andare oltre. Contano veramente così poco che non meritano alcun contatto.
E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d’un gran fiume;
per ch’io dissi: “Maestro, or mi concedi
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com’i’ discerno per lo fioco lume”.
vidi genti a la riva d’un gran fiume;
per ch’io dissi: “Maestro, or mi concedi
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com’i’ discerno per lo fioco lume”.
Passati senza sosta gli ignavi, Dante nota delle anime alla riva di un fiume. Chiede a Virgilio per quale motivo loro stiano lì, e cosa hanno fatto in vita per meritare una punizione del genere, ma Virgilio, qualche versetto dopo, replica che avrà tutte le risposte al momento giusto.
Anche questa scena dura poco, perché Caronte, il demone traghettatore, si accorge di Dante e lo caccia via in malo modo. Lui infatti, non può attraversare l’Inferno, essendo ancora vivo. Virgilio gli ricorda che il viaggio è voluto da Dio e quindi anche il demone deve sottostare al Suo volere.
Dante intraprende il viaggio, mentre le anime dannate continuano a bestemmiare Dio. Alcune provano a fuggire, ma una forza divina le spinge a voler andare oltre.
“quelli che muovo ne l’ira di Dio
tutti convegnon qui d’ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona.
tutti convegnon qui d’ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona.
Non importa quanti errori abbiano commesso nella nostra vita, prima di intraprendere il cammino interiore (quindi prima di arrivare all’Inferno). A ogni caduta, a ogni passo falso, la nostra anima in realtà ci manda un moto di energia sufficiente a destarci, per ritrovarci, prima o poi, di fronte alla selva oscura.
Per quanti errori abbia fatto Dante, perfino Caronte è arrabbiato con lui, perché non si merita di certo di rimanere all’Inferno, ma è destinato ad avere l’anima salva. Nonostante tutto, però, varca la soglia. In quel momento un tremendo terremoto lo sconvolge così tanto da averne ancora paura mentre scrive.
Alla fine del terzo canto il Poeta sviene. Facciamo bene attenzione da qui in poi, perché ogni svenimento è simbolo di comprensione. Di morte e rinascita, appunto. Ogni volta che Dante sviene, lascia andare una parte di sé. Si libera da un attaccamento, si libera di un contenuto.
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