Seconda parte di 1887, potete recuperare la prima parte qui, che fa sempre parte della saga dei racconti psichedelici che potrebbero non avere un senso, ma che in realtà ne custodiscono uno immenso.
Buona lettura.
La serata era trascorsa piacevolmente, come ogni cena assieme a LucaGian, Ilvias e Giois. Intervallare momenti di profonda critica sociale alla filosofia trascendentale, senza mai passare per chiacchierate da pub o sul chiedersi cosa si è mangiato a pranzo, è sempre stato il volere di Erf, anche se questa volta era rimasta piuttosto silenziosa per tutto il tempo.
LucaGian l’aveva sempre tenuta sotto controllo guardandola con la coda dell’occhio, per vedere se aveva bevuto il suo vino rosso, che in realtà era sangue mischiato al seme che le aveva dato. Erf, però, non aveva mai avvicinato le sue labbra carnose all’insolita bevanda.
Ora sono tutti nel salone dei giochi, chiedendosi se sia il caso di interrogare i tarocchi o gli spiriti, tipici passatempi di quest’epoca senza internet, televisione e radio.
Erf è seduta distante dal gruppo, con il bicchiere contenente il liquido rosso ben posato sul tavolino accanto al divano grigio perla in stile barocco.
«Erf, che avete? Siete silenziosa» Ilvias si avvicina a lei, sistemandosi in modo impacciato il vestito marrone. Non si è ancora abituata a questa moda. Le passa il palmo della mano sul viso, Erf la blocca stringendogliela dolcemente.
«Nulla, mia adorata, non preoccupatevi. Conoscete bene la mia situazione al momento, sono solo un po’ timorosa, tutto qui»
«Non avete motivo di esserlo, imponente Musa. Sapete meglio di me e di noi tutti, a dir la verità, che quando veniamo chiamati dall’alto è perché siamo degni servi della grandezza. Pensate forse che gli dèi si sbaglino sul vostro conto?»
«Non potrei mai bestemmiare» Erf guarda fisso negli occhi LucaGian, lui è il solo che sa il vero motivo dietro alla sua inquietudine.
«Siete sicura che non c’entra nulla con…» un colpo di vento fa sbattere la porta dell’ingresso, ma tutti hanno sentito quel nome.
«Per carità. Sapete come la penso: ogni fine libera il posto per il nuovo» Erf si alza, andando fuori dalla finestra. Non c’è nulla, se non il nero della notte, e questa vista le dà tranquillità.
Si avvicina al tavolino e beve il contenuto del bicchiere tutto d’un sorso. LucaGian la guarda dall’alto compiaciuto.
«È compiuto» urla quest’ultimo e in un attimo un tuono squarcia il silenzio; i soli due ignari del grandioso evento si voltano verso di lui, perplessi.
Dopo due settimane e mezzo.
Dal corridoio si sentono le urla di Erf. Nessuno può entrare nella sua camera da letto, se non le donne che con enorme pazienza e maestria nel loro campo, la aiutano nell’atto che ha dell’incredibile.
LucaGian è seduto immobile, con le mani sulle ginocchia, a fissare il muro.
Ilvias e Giois sono tornati nel loro tempo, visti i numerosi impegni.
Dopo un lasso di tempo che può variare dalle due ore alle due settimane e mezzo, il rumore di uno squarcio impercettibile risuona nella testa di LucaGian.
Si alza di scatto, ma non apre lui la porta, è la donna corvo a farlo, che con un inchino svolazzante verso l’umano, si asciuga delle lacrime con le sue ali nere come la notte più oscura.
LucaGian va verso il ventre di Erf, dal quale spunta un piccolo becchetto rosso, completamente aperto e che dà uno strano squittio.
LucaGian accarezza la fronte sudata di Erf, lei è troppo stanca per rimproverarlo del tocco.
La doula è ancora sotto shock, continua a ripetere frasi sconnesse: «In vent’anni di servizio giuro che non mi era mai capitata una cosa del genere. Questa è l’Apocalisse. Un corvo che nasce da una donna. Però, è proprio un bel bambino.»
La donna corvo torna nella stanza, svolazzando sopra la partoriente in una sorte di danza ritualistica.
«Con il potere dell’oscurità, dichiaro Anum re dei corvi umani. Sarà lui il primo, degno, sovrano della stirpe che un giorno colonizzerà il Nuovo Pianeta. Cra. Cra. Cra»
A queste parole Erf fa scendere delle lacrime sul suo volto.
«Sai,» dice in un sussurro a LucaGian. «ho appena capito che ne è valsa la pena. Di tutto, caro LucaGian, ne è valsa la pena»
«Il piccolo ha fame» fa la donna corvo a LucaGian. «Ora è il vostro turno».
LucaGian l’aveva sempre tenuta sotto controllo guardandola con la coda dell’occhio, per vedere se aveva bevuto il suo vino rosso, che in realtà era sangue mischiato al seme che le aveva dato. Erf, però, non aveva mai avvicinato le sue labbra carnose all’insolita bevanda.
Ora sono tutti nel salone dei giochi, chiedendosi se sia il caso di interrogare i tarocchi o gli spiriti, tipici passatempi di quest’epoca senza internet, televisione e radio.
Erf è seduta distante dal gruppo, con il bicchiere contenente il liquido rosso ben posato sul tavolino accanto al divano grigio perla in stile barocco.
«Erf, che avete? Siete silenziosa» Ilvias si avvicina a lei, sistemandosi in modo impacciato il vestito marrone. Non si è ancora abituata a questa moda. Le passa il palmo della mano sul viso, Erf la blocca stringendogliela dolcemente.
«Nulla, mia adorata, non preoccupatevi. Conoscete bene la mia situazione al momento, sono solo un po’ timorosa, tutto qui»
«Non avete motivo di esserlo, imponente Musa. Sapete meglio di me e di noi tutti, a dir la verità, che quando veniamo chiamati dall’alto è perché siamo degni servi della grandezza. Pensate forse che gli dèi si sbaglino sul vostro conto?»
«Non potrei mai bestemmiare» Erf guarda fisso negli occhi LucaGian, lui è il solo che sa il vero motivo dietro alla sua inquietudine.
«Siete sicura che non c’entra nulla con…» un colpo di vento fa sbattere la porta dell’ingresso, ma tutti hanno sentito quel nome.
«Per carità. Sapete come la penso: ogni fine libera il posto per il nuovo» Erf si alza, andando fuori dalla finestra. Non c’è nulla, se non il nero della notte, e questa vista le dà tranquillità.
Si avvicina al tavolino e beve il contenuto del bicchiere tutto d’un sorso. LucaGian la guarda dall’alto compiaciuto.
«È compiuto» urla quest’ultimo e in un attimo un tuono squarcia il silenzio; i soli due ignari del grandioso evento si voltano verso di lui, perplessi.
Dopo due settimane e mezzo.
Dal corridoio si sentono le urla di Erf. Nessuno può entrare nella sua camera da letto, se non le donne che con enorme pazienza e maestria nel loro campo, la aiutano nell’atto che ha dell’incredibile.
LucaGian è seduto immobile, con le mani sulle ginocchia, a fissare il muro.
Ilvias e Giois sono tornati nel loro tempo, visti i numerosi impegni.
Dopo un lasso di tempo che può variare dalle due ore alle due settimane e mezzo, il rumore di uno squarcio impercettibile risuona nella testa di LucaGian.
Si alza di scatto, ma non apre lui la porta, è la donna corvo a farlo, che con un inchino svolazzante verso l’umano, si asciuga delle lacrime con le sue ali nere come la notte più oscura.
LucaGian va verso il ventre di Erf, dal quale spunta un piccolo becchetto rosso, completamente aperto e che dà uno strano squittio.
LucaGian accarezza la fronte sudata di Erf, lei è troppo stanca per rimproverarlo del tocco.
La doula è ancora sotto shock, continua a ripetere frasi sconnesse: «In vent’anni di servizio giuro che non mi era mai capitata una cosa del genere. Questa è l’Apocalisse. Un corvo che nasce da una donna. Però, è proprio un bel bambino.»
La donna corvo torna nella stanza, svolazzando sopra la partoriente in una sorte di danza ritualistica.
«Con il potere dell’oscurità, dichiaro Anum re dei corvi umani. Sarà lui il primo, degno, sovrano della stirpe che un giorno colonizzerà il Nuovo Pianeta. Cra. Cra. Cra»
A queste parole Erf fa scendere delle lacrime sul suo volto.
«Sai,» dice in un sussurro a LucaGian. «ho appena capito che ne è valsa la pena. Di tutto, caro LucaGian, ne è valsa la pena»
«Il piccolo ha fame» fa la donna corvo a LucaGian. «Ora è il vostro turno».
Nessun commento:
Posta un commento