Il 20 e il 21 luglio il “Loud Kids Tour” è arrivato a Roma, una tappa estremamente importante per i Måneskin che, nonostante la loro internazionalità, continuano a restare radicalmente legati alle loro origini. Per chi sta scrivendo questo articolo è stata la prima occasione grazie alla quale ha avuto modo di metter piede dentro lo stadio Olimpico. Una sensazione incredibile, per chi (nonostante gli anni passati nella capitale) non è ancora abituata all’imponenza. Non era solo l’idea di esser allo stadio, ma più che altro in un contesto così tanto grande da sentirsi piccoli.
Questa volta la fila è stata più rapida, proprio perché gli spazi dell’Olimpico concedono un visione ben più ampia dell’esibizione e il palco è disposto su tutta l’ampiezza del campo di gioco. Una “T” che si estende dal prato gold al prato, in modo che tutti potessero godere della visione ravvicinata con i quattro ragazzi della band. Entrare e capire dove potersi posizionare non è stato per niente facile, al contrario è stato quasi un calcolo matematico per poter cercare di capire come poter vedere al meglio. Perché sì, ci si voleva godere a pieno questo spettacolo fatto di luci, fiamme e caldo, tanto caldo.
Ma se le ore in fila sono state ridotte rispetto a ciò che avevamo avuto modo di vivere a Capanelle, il tempo all’interno dello stadio non è stato da meno. Seduti a terra, in attesa che il sole sparisse sul retro della copertura, era inevitabile sentirsi già carichi. Era come se ci fosse della corrente in grado di passare da corpo a corpo. Quasi come se tutti fossimo consapevoli di cosa ci attendeva da lì a poche ore.
Entrata effettuata alle 16, controlli superati in fila per due. Inizio concerto alle 21:30 circa. “Don’t wanna sleep” che inizia dopo il buio calato in tutto lo stadio. In un silenzio quasi assordate che, fino a pochi attimi prima, era stato riempito da cori e da “onde” umane di chi stava in tribuna. Gente che iniziava a spingere, come se volesse andare chissà dove facendo sparire chi stava davanti. Gente incapace di fare un passo indietro per poter far respirare gli altri, tutto che si muove in un “morte tua, vita mia”, come se pochi centimetri fossero in grado di modificarne la visione.
Successivamente inizia “Gossip”, subito dopo arriva la commozione di cantare “Zitti e buoni” insieme a loro. Si ricordano, in questo modo, le emozioni che ci hanno fatto vibrare quando vinsero l’Eurovision. Dalla “caciara” dei primi cinque pezzi si è passati alla dolcezza di “Le parole lontane”. Tutto è stato pensato per poter costruire una montagna russa d’emozioni in grado di alzare e scendere di tono, esattamente come riesce a fare ogni loro singola canzone. Damiano, inoltre, ferma tutto per poter dedicare una canzone a cappella ai suoi compagni di viaggio. Una dedica talmente tanto sentita da aver fatto venire la pelle d’oca al pubblico che è rimasto incantato dal virtuosismo della sua voce.
Ci si allunga, si passa al palco in platea e si canta insieme “Gasoline” mentre il palco principale si accende di puro fuoco. Col caldo che si stava provando, bisogna ammettere, che quelle fiamme non erano una magnifica idea, ma visivamente erano perfette. È stato sconvolgente esser distratti dai movimenti alla batteria di Ethan mentre il calore baciava i nostri volti sulla nostra destra. Sì, ci si è resi conto delle fiamme solo per via del cambiamento di temperatura. Inaspettato.
Il tutto è stato pensato per essere perfettamente coordinato. Tutto fatto per poter far sì che il pubblico fosse distratto mentre loro si preparavano e tornavano in posizione. Così, Victoria e Ethan spariscono per tornare al palco centrale, mentre Damiano e Thomas scendono sul b-stage per concedere al pubblico la versione acustica di “Torna a casa” e “Vent’anni”.
Ritorno sul palco finale per poter cantare le ultime canzoni prima del bis.
Nonostante la stanchezza, nonostante le spinte, nonostante i salti e il caldo, dal concerto dei Måneskin si torna a casa ancor più carichi di quando si è arrivati. Un brivido durato un’ora e quaranta ininterrotta, una potenza in grado di lasciare l’impronta sull’intero stadio.
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