Emilia Hart solletica le nostre menti e anime dandoci un romanzo tutto al femminile, dove realtà e magia si intrecciano assieme ai fili sottili del tempo, così sottili che sentiamo vera la teoria della sua illusione.
Con “Weyward” affrontiamo la vita di tre donne in tre epoche totalmente differenti, tutte (e più) unite dal saldo legame matriarcale e di un potere che si trasmette di madre in figlia.
“Weyward” è sì un romanzo, ma che riesce comunque a trasmettere la forza di ribellione giusta, in una società ancora troppo impaurita dal vero e proprio potere femminile. Le tre donne che conosciamo sono: Altha, Violet e Kate e affrontiamo la loro vita negli anni 1619, 1942 e 2019.
Altha è cresciuta sola con la madre, dalla quale ha appreso ogni segreto della natura. Sono le guaritrici del villaggio e vivono nel cottage di famiglia che porta il loro nome. Non tutti sono disposti ad affidarsi alle loro cure erboristiche, ma nonostante la paura e i preconcetti, i più restii le contattano comunque per i casi estremi e disperati. Per essere ben riconosciute da tutti non hanno mai saltato una domenica in chiesa, né una festa – cristiana o pagana che fosse – del villaggio, eppure, dalla morte della madre, Altha vive ancora di più in solitudine, così da essere facilmente accusata di stregoneria per la misteriosa morte di un cittadino locale. Affronta il processo rinchiusa nelle segrete di un castello, ricordando il suo passato, l’amore che ha nutrito per la madre e per tutte le creature nel cottage.
Violet è cresciuta nella grande tenuta di famiglia assieme al padre e al fratello più piccolo. Della madre ricorda ben poco, vista la prematura scomparsa dopo il secondo parto. Di lei nessuno parla, ogni persona interrogata svia il discorso e Violet si ritrova sola con mille domande che le frullano per la testa, una su tutte: chissà perché ha con sé un medaglione con incisa la lettera W? Se la sua infanzia è stata più o meno felice e ha potuto giocare liberamente per i giardini della tenuta, con l’arrivo dell’adolescenza il padre l’ha costretta a rimanere rinchiusa dentro la loro dimora, anche se lei approfitta di ogni distrazione dei domestici per evadere e studiare da vicino i suoi amati insetti e uccelli. Un terribile incontro, seguito da un’altrettanta terribile esperienza, la costringerà ad andare fuori da casa sua, arrivando al Weyward Cottage. La nuova residenza le darà tutte le risposte che ha sempre cercato, assieme alla forza necessaria per affrontare la nuova parte della sua vita.
Kate vive una relazione tossica con il suo fidanzato. Lui l’ha costretta a lasciare il lavoro, a interrompere i rapporti con le sue amiche e la famiglia e a non uscire più di casa. Lei è terrorizzata da lui, ma non ha modo di evadere, in quanto si sente del tutto inutile. Non ha mai confessato alla madre, che vive in Canada con il suo nuovo compagno, quello che sta passando. Suo padre, poi, è morto salvandola da un fatale incidente quando lei era solo una bambina. Un giorno, però, in lei nasce quel coraggio necessario per scappare dal suo aguzzino e mette su un piano che la porta al Weyward Cottage: la casa di campagna che una sua prozia le ha lasciato in eredità. In quel villaggio riesce a iniziare una nuova vita, scoprendosi prima di tutto forte, coraggiosa e ultima erede di un grande potere.
Ci sarebbe molto di più da dire, ma, come al solito, interrompiamo qui con la trama per non darvi troppi spoiler.
Weyward si può tradurre con parole del tipo: “ribelle”, “selvaggia”, “ostinata” e per secoli noi donne abbiamo dovuto reprimere questa nostra natura, a favore della sottomissione maschile e della frase: “Si è sempre fatto così”. Molto è cambiato, forse così tanto che possiamo dire con quasi certezza che in fondo nulla è mutato: noi donne soprattutto continuiamo a doverci sentire sotto una morale maschilista, tanto da dover giustificare ogni nostra scelta che non la vuole seguire; ci giustifichiamo se non vogliamo figli, se non vogliamo truccarci o sottoporci a qualsiasi trattamento per la rimozione dei peli; ci giustifichiamo se sentiamo il bisogno di vestirci in abiti più maschili, se non abbiamo voglia di andare dall’estetista e dal parrucchiere, persino se diciamo troppe parolacce. Ma chi è, poi, che ha deciso un numero massimo?
Le tre donne hanno storie e caratteri simili, ognuna si riconosce negli occhi dell’altra, con una visione che va oltre lo spazio e il tempo. Sono tante le domande che questa lettura può tirarci fuori, molte non possiamo scriverle qui per questioni di spoiler, ma una troneggia su tutte: certi poteri sono esclusivi di una determinata genealogia, o semplicemente non vengono persi, ma anzi potenziati, perché trasmessi di madre in figlia?
Cosa accadrebbe al mondo se smettessimo di avere paura di ciò che non conosciamo, rispondendo al timore non con la negazione, bensì con la voglia di apprendere? Forse scopriremmo che c’è molto di più di quanto vediamo e sappiamo, forse faremmo passi da giganti verso una società totalmente centrata sull’integrazione, la pace e l’amore.
“Weyward” è comunque una piacevole lettura, soprattutto per chi ama le storie di magia all’inglese sullo stile de “Il giardino segreto” di Frances Hodgson Burnett dove durante la lettura si aprono nuove crepe di consapevolezza.
“Solo di tanto in tanto ci capita di avere la certezza di vivere a lungo, molto a lungo, forse addirittura per sempre. Succede, a volte, quando ci alziamo all’alba e usciamo in quell’ora tenera e solenne, da soli”
- Frances Hodgson Burnett
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