Se siete
deboli di stomaco evitate come la peste il film approdato su Netflix qualche anno fa. “Il Buco”, infatti, è una di quelle pellicole fatte per chi nel grottesco
naviga da un po’. Presentato in anteprima mondiale al Toronto International
Film Festival il 6 settembre 2019, rappresenta l’esordio per il regista Galder
Gaztelu-Urrutia.
Goreng (Ivan
Massagué) si risveglia all’interno del livello 48 di un luogo chiamato “La
fossa”, al suo fianco vi è l’anziano Trimagasi (Zorion Eguaileor) che inizia a
spiegargli come funzionano le cose. La fossa è un luogo di contenimento, simile
a un carcere, ma in verticale, una sorta di purgatorio dantesco anche per via
di quella che dovrebbe essere la sua funzione.
Ogni livello
di quel luogo ha due persone al suo interno e ogni mese vengono spostati insieme,
in maniera apparentemente casuale, da un livello all’altro. Più si è in alto,
più si mangia bene; più si è in basso, meno probabilità ci sono che arrivi del
cibo. L’unica cosa che lega i vari livelli tra loro, infatti, è la piattaforma
che ogni giorno scende portando ogni sorta di leccornia ai vari piani.
Chiunque può
portare con sé un oggetto, paradossale è il fatto che Goreng abbia portato con sé
un libro. L’uomo, infatti, si trova all’interno della struttura per sua spontanea
scelta, così da poter essere isolato dal mondo per poter leggere, di certo non
si sarebbe mai aspettato di vivere l’esperienza che il Buco offre.
Esistono
quindi tre tipi di uomini all’interno di questa struttura:
- quelli che
stanno in alto, e che per tale ragione non aiutano quelli che stanno in basso ;
- quelli che
stanno in basso, che per lo più muoiono di fame o mangiano ciò che è stato sbocconcellato
dagli altri;
- quelli che cadono: coloro sono quelli che da questa esperienza hanno ottenuto
tutto o che hanno esaurito ogni possibilità.
Quella che viene
proposto al pubblico è una distopia dissacrante che però riesce a scandagliare
l’animo umano ponendolo all’interno di questo purgatorio verticale. Per certi
versi, il film può essere accostato a trame simili come quella di Saw o di Cube,
ma in realtà vi è qualcosa di profondamente diverso. In tutti e tre le
pellicole la cattura e la “prova” viene fatta per il raggiungimento di una
catarsi. Vi è il peccato commesso dal singolo individuo e la sua espiazione
attraverso la paura, quasi come se venisse loro applicata la legge del taglione.
Qui non è così. Il Buco, nella sua verticalità, unisce sia chi deve essere
realmente redento a chi in realtà non ha nulla da perdere, come se oltre i “veri”
peccatori si dovessero punire anche gli ignavi o gli accidiosi. Attraverso l’espiazione
del protagonista, soprannominato durante il corso degli eventi il Messia, si
può accedere a una più profonda analisi della società e all’egoismo che la
permea.
Una frase
appare chiara per poter decodificare l’interna narrazione: “Se tutti
mangiassero quello di cui hanno bisogno il cibo arriverebbe anche ai livelli
più bassi”. Parole che fanno comprendere allo spettatore quanto in realtà,
quella sadica struttura, non sia altro che un centro di correzione comportamentale
per cercare di sviluppare una solidarietà spontanea che ormai il capitalismo ha
ridotto allo stremo. Perché proprio il capitalismo? Questo viene riflettuto
proprio nel rapporto che i “detenuti” hanno con il cibo. Chi si trova a un
livello più alto non si preoccupa che quelli dei piani inferiori possano anche non
mangiare, ma preferiscono arraffare e consumare fino anche a scoppiare. Non
mangiano il giusto, ma tutto quello che possono. Ed è un po’ ciò che spinge a
fare il capitalismo nella sua accezione negativa: arraffare tutto quello che ci
si può permettere solo per il gusto del possedere.
Quello che Il
Buco dà, attraverso il grottesco e l’horror, è una visione del marcio
collettivo che ormai affligge la nostra quotidianità.
Forse non è
il film più adatto per il periodo che stiamo vivendo, ma sicuramente merita una
visione perché è in grado di incollare il suo spettatore allo schermo. Siamo davanti
a una pellicola che è in grado di scioccare, anche attraverso l’uso della fotografia,
delle luci, dei colori, il proprio pubblico.
Ben fatto Spagna!
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