Dopo Thor Love and Thunder la Marvel ci porta nuovamente al cinema con il secondo capitolo di Black Panther. Torniamo in sala con una pellicola dal sapore totalmente commemorativo, in molte delle scelte fatte (soprattutto in alcuni punti più che altri) è evidente la voglia di ricordare l’attore scomparso: Chadwick Boseman.
Sì, non è un vero e proprio spoiler, sappiamo tutti da dove la storia doveva pur in qualche modo ripartire. Che “Wakanda Forever” sarebbe stato un vero e proprio passaggio di testimone era certo, il dubbio iniziale era solo sul “chi” avrebbe dovuto prendere in mano la situazione, ma i vari trailer avevano lasciato ben poco all’immaginazione. Noi vi diamo il solito avviso: questo articolo conterrà spoiler, quindi se non volete sapere nulla chiudete tutto e tornate dopo la visione della pellicola.
Il film si apre con la visione più tragica: T-Challa è stato colpito da un male incurabile e Shuri (Letitia Wright) – sua sorella – cerca di trovare una soluzione abbastanza forte da poterlo portare in salvo. A nulla valgono i suoi sforzi e titoli di testa ci accolgono in un silenzio decisamente votivo. La scritta Marvel si riempie delle immagini che hanno portato sullo schermo il volto iconico dell’attore che interpretava la pantera nera, non una mosca vola nelle sale di tutto il mondo. Il silenzio, per una storia che ha colpito un po’ tutti, riempie la sala e unisce gli spettatori.
La grande potenza della Marvel si vede proprio da ciò: l’unione che riesce a creare nel suo pubblico. Tutti sono stati uniti dal dispiacere per la perdita di un giovanissimo attore. Le pellicola, bisogna ammetterlo, risente proprio di questa assenza, motivo per cui gli sceneggiatori sono stati costretti a dover ripensare a ciò che avevano inizialmente ideato. In due ore e quaranta minuti, infatti, le maggiori problematiche risiedono in una storia che è stata ri-scritta per cause di forza maggiore perché è evidente come il corpo centrale del film doveva essere la battaglia tra Black Panther e Namor (il nuovo anti-eroe appena introdotto).
È come se la storia si potesse dividere in due parti, proprio per poter cercare di far in modo che il passaggio di testimone possa avvenire nel modo quasi più doloroso possibile. Le prime due ore passano in una serie di spiegoni narrativi che servono principalmente a calcare la mano su ciò che il Cinematic Universe ha tentato di creare quasi ex-novo, il tutto unito con la crescente voglia di vendetta nel personaggio di Shuri. Il senso di rivincita e di protezione sono le emozioni che guidano la maggior parte dei protagonisti in scena, le uniche motivazioni che in realtà spingono l’agire comune. Il movente di trama è, difatti, molto debole tanto che i personaggi sono ben poco interessanti da indagare e scoprire.
Il climax secondo il quale il nuovo eroe deve nascere, per tanto, viene diluito in un tempo narrativo che appare quasi infinito. Il film si chiama Black Panther e non il dramma emotivo di Shuri, che per carità è giustissimo nella misura meta-cinematografica della perdita di un fratello, ma il lutto poteva esser portato meglio. Prendere in mano una maschera appartenuta a qualcuno che si reputava importante non è mai facile, ma non per questo il lutto deve essere drammaticamente lento. Questo lutto fa perdere mordente persino alle scene d’azione che si alternano sullo schermo.
Come dicevamo, però, il corpo centrale del film sarebbe dovuto essere l’introduzione degli Atlantoidei, che però Atlantoidei non sono. Ovvero il mito viene riscritto e Namor cambia accento con una storia incentrata sulle sue origini Maya/Inca/Azteche. La sua struttura fisica è stata, per lo più, mantenuta: abbiamo la sua mutazione, lì, ben visibile, come il fatto che un calabrone non possa volare con le sue piccole alucce, ma in realtà lo fa. La riscrittura delle origini di un personaggio, dal passaggio al cinema, funziona, ma anche in questo caso assistiamo a una spiegazione che si sarebbe potuta tagliare in diversi punti così da poter snellire tutto ciò che di originale non c’è. Deludente, sotto questo punto di vista, è la visione della città subacquea perché non è poi così diversa da altri regni visti già nell’universo MCU. Il Wakanda affascina anche sotto il punto di vista visivo, qua invece mancava quella particolarità e ogni tanto le orche avevano delle dimensioni un tantino ridotte per essere poste accanto agli uomini (ma questa potrebbe esser stata una nostra impressione).
Registicamente parlando le scene d’azione risultano un tantino forzate, lente non solo per l’uso del rallentatore, ma proprio per la strutturazione del combattimento. I guerrieri di sesso maschile sono usati come pali ai quali attaccare la corda delle guerriere donne mentre loro scendono in campo. Gli uomini, infatti, sono totalmente schiacciati in un ruolo stereotipato che sinceramente quasi infastidisce. Non è necessario usare solo (o quasi) donne per pensare che questo possa essere un film progressista.
Al di là di altre cose che potremmo elencare, tra cui anche la scena post-credit che serve solo come scena aggiuntiva per concludere il tutto, quello che vogliamo sottolineare è l’uso della musica. In tutta sincerità la composizione musicale fin troppe volte storpiava le emozioni che venivano portate in scena dagli attori, risultando molto forviante e straniante. Altre volte, il suono dei tamburi, la musica tribale, risultava perfetta per gli inserti più drammatici e più toccanti. L’attenzione che, infatti, è sempre stata data alla costruzione di una mitologia solita dietro la storia del Wakanda è stata rispettata, bisognava solo snellire le spiegazioni della nazione che si contrappone.
Siamo davanti a un film che perde molto del suo mordente, molto del suo potenziale classificandosi nell’ennesima pellicola della fase 4 che vista una volta può essere archiviata. Commenteremo, con buona probabilità, altri aspetti di questo film più avanti, quindi lasciate un commento qui sotto per dirci la vostra. Alcuni spunti? Beh... il costume di Midnight Angel, che sembra essere quello di Sapiens di Hellboy, così come la sottotrama tra l'Agente Ross e Val.
Nessun commento:
Posta un commento