L’arte asiatica, si sa, in Italia è quasi sconosciuta. Le ragioni sono abbastanza ovvie: noi siamo un popolo di artisti, eppure le arti sono le prime a essere bistrattate. Abbiamo visto chiudere i musei, cinema e teatri, per di più i giovani sono abituati a entrare in contatto con l’arte solo attraverso la scuola, ma di certo l’apprezzamento di un’opera vista su di un libro è ben diverso rispetto al partecipare a una mostra.
L’arte è una scoperta continua e per caso noi di 4Muses abbiamo scoperto l’esistenza di questo artista, Koson Ohara, e siamo rimaste affascinate dalle sue opere inerenti alla natura e al mondo animale. Koson Ohara è lo pseudonimo di Ohara Matao ed era un disegnatore e pittore giapponese, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Si fa conoscere come artista realizzando alcuni trittici silografici (un’opera divisa in tre e realizzata creando una matrice che viene prima inchiostrata e, con un torchio, riportata su carta o tela) in stile “ukiyo-e” (la stampa su carta appunto) che illustrano episodi della guerra russo-giapponese (1904-1905). Questo è solo l’inizio, perché la sua maggior produzione artistica è costituita da pitture e stampe kachō-e (la tecnica di stampa ukiyo-e con uccelli e fiori come soggetti).
A partire dal 1926, collaborò con l’editore Shōzaburō Watanabe e decise di iniziare a firmare i suoi lavori con il nome di Shōson, utilizzando in segno di stima e secondo una delle pratiche dell’epoca, il primo ideogramma del nome di Watanabe. Grazie a questa collaborazione e al da parte di Ernest Fenollosa (che viene considerato il fondatore della moderna storia dell'arte giapponese secondo canoni occidentali) le opere di Ohara furono conosciute all’estero e le sue stampe riscossero un grande successo nel mercato occidentale, in particolare negli Stati Uniti.
KACHO-E
La maggior parte delle opere di Ohara riguarda il mondo della natura e, anche se abbiamo parlato di rappresentazioni di fiori e uccelli, l’artista non si limitava ai pennuti, ma espanse il gruppo dei suoi soggetti anche agli insetti, senza scordare anche tutto il resto del mondo animale. Gli umani, se non all’inizio della sua produzione, non compaiono mai o, se lo fanno, rientrano nello sfondo, senza mai andare a togliere il centro della rappresentazione dal mondo naturale. Le sue opere vivono di contrasti, che vanno dal bianco al nero o nel rapporto tra pesante e leggero, come possiamo vedere nel contrapporsi di un pappagallo bianco appoggiato su un ramo di melograno con lo sfondo nero, o un uccello di grandi dimensioni appollaiato su un sottile ramo ricoperto di neve. Lo stesso piumaggio degli uccelli, spesso ottenuti attraverso l’utilizzo di acquerelli, ha i colori in contrasto con il fogliame che li circonda.
Le sue opere, con i soggetti raffigurati, sembrano fare dei riferimenti alla cultura buddhista: Ohara spesso rappresenta degli aironi che si stagliano nella notte o in un corso d’acqua, che stanno a significare “purezza”. Altra immagine cara al buddhismo è anche la scimmia, che rappresenta la mente. La scimmia non è mai ferma, ma caotica, in più è ubriaca e punta da uno scorpione. Se non la controlliamo, afferma il buddhismo, ci troveremo con una mente impazzita, incapace di concentrarsi su un unico pensiero ma sempre in movimento e senza la possibilità di prendere coscienza di qualsiasi aspetto della vita. In Ohara vediamo rappresentazioni di scimmie quiete, concentrate, aggrappate a un ramo e, in alcuni casi, anche tese a sfiorare il profilo della luna riflessa sull’acqua. La scimmia (mente) quando è calma e concentrata può facilmente arrivare all’inconscio (mare) e raggiungere il divino (su cui si specchia la luna, l’universo).
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