Quando ho scritto l’articolo sull’ipervisibilità dettata dai social, tramite le ricerche effettuate, ho notato come l’ultima generazione, quella nata dai 2010 in poi per intenderci, tenda a stare sui social in forma più anonima. Nessuna immagine del profilo, nessun post, e se condividono qualcosa lo fanno con account privati.
In un contesto sociale dove tutto deve essere visto affinché esista nella mentalità collettiva, la sempre più popolare scelta opposta, nata dai giovanissimiè solo una moda o una reazione culturale, tra filosofia e riscoperta del pudore? La Gen Z ci ha abituati a contenuti facili, immediati, da condividere su TikTok, Instagram e Snapchat, abbandonando i lunghi post di Facebook e ampliando la propria cerchia di amici dai più stretti al mondo intero. Ma la Generazione Alpha, sebbene sia cresciuta con tutto questo, ha optato per decidere cosa mostrare e a chi, confermando quello che è chiaro dall’alba dei tempi: la generazione dopo migliora quelle passate.
Quando ho intervistato Consuelo Chinè mi sono resa conto che il nostro modo di vestirci è la copertina che mostriamo al mondo. Ma anche se questo è vero, non per questo dobbiamo giudicare gli altri in base a come si vestono, quanto piuttosto possiamo capire un po’ del loro carattere.
Chi, per esempio, è una persona nostalgica, attaccata ai ricordi, semplice, e sempre più lontana dalla brama di consumismo come la sottoscritta, tende ad avere nel proprio armadio capi che ha comprato più di dieci anni fa, con una resistenza non da poco dal buttarli via, se non quando sono completamente distrutti. Vediamo oggi come personaggi noti al mondo dell’arte hanno detto molto di sé solo dal proprio modo di vestirsi.
Non serve davvero spiegare che l’arte non è solo bellezza o contemplazione, ma può servire come grido d’aiuto, come focus su eventi piacevoli o non della natura umana, e persino come arma di resistenza.
Nel corso della storia, infatti, sono stati numerosi gli artisti che hanno usato il loro talento per denunciare ingiustizie, sfidare il potere e dare voce a chi non ce l’aveva. Pensiamo certo ai grandi del passato, ma oggi andiamo verso i più moderni…
“A volte non sei perso: ti stai solo ascoltando per la prima volta”.
Quante volte ci siamo sentiti come spaesati? Quante volte abbiamo avuto come l’impressione di aver corso così tanto da non riuscire più a capire dove siamo, chi siamo, perché stiamo correndo? Credo che la fonte primaria della profondità di certi pensieri che mi faccio derivi proprio dagli anime, soprattutto più quelli della mia generazione, con personaggi dai drammi più assurdi, che nella vita hanno dovuto affrontare così tanti ostacoli che nessuno più di loro mi ha insegnato come superarli. Sì, perché se ai tempi ci si ostinava a chiamarli solo “cartoni animati giapponesi”, rilegandoli a un immaginario che andava bene solo per i bambini, nella realtà dei fatti i loro temi riflettevano moltissimo sull’introspezione, l’alienazione e il ricercare continuamente il senso della vita. Vediamo oggi quali personaggi hanno avuto a che fare con il senso della solitudine, non più come qualcosa che può fare paura, ma un luogo di rifugio. Cercherò poi di capire come i più grandi personaggi degli anime dei miei tempi hanno influenzato il mio rapporto con il senso della solitudine.
Oggi è il cinquantaseiesimo compleanno di Mary McCartney: primogenita di Paul e Linda. È con questa occasione, quindi, che andremo a parlare della sua vita!
Non ho mai visto “Emily in Paris”, ma parlando con i miei amici americani ho notato come forse sopravvalutino lo stile di vita europeo, etichettandolo come elegante e… parigino. Sì, anche se sono stati con me circa una settimana a Roma. Non è, però, questo il momento di prendere in giro gli americani ricordando loro che l’Europa non è solo Parigi o Roma, ma effettivamente sono d’accordo con loro quando dicono che un caffè all’aperto, un foulard che danza al vento, una libreria antica, l’odore di pioggia sui sanpietrini possono effettivamente essere tra le definizioni di eleganza.
Così, da europea mi sono sentita in dovere di consigliare loro piccoli lussi quotidiani per sentirsi il protagonista di un proprio, personale, film europeo (chi conosce il mestiere dei miei amici americani può ridere, in effetti) e chi sono io per non condividerli anche con il mondo? Let’s go, daje!