Buonsalve a tutti! Sono una Millennial costretta a vivere con la generazione Z ma con l’anima di una Boomer qualsiasi che non ha accettato l’idea di avere internet sul proprio telefono, figuriamoci seguire i social.
“C’era una volta la dignità della privacy” così inizierei a raccontare la vita fino ai primi anni del Duemila, ai miei figli, se solo ne volessi. Quella forma privata di pensieri, emozioni, fotografie e ricordi che appartenevano solo a noi e che custodivamo nel cuore come un gioiello prezioso. Non si trattava di paura di esprimersi, di farci fighi rendendoci sempre più misteriosi o di un’armatura fatta di pudicizia, si trattava di semplice, puro, innocuo rispetto. Prima di tutto verso noi stessi, poi verso tutte quelle persone che condividevano con noi pezzi di vita.
Non voglio fare la bacchettona dicendo che non vanno condivise neanche foto, io stessa continuo a farlo, parlo semplicemente dell’ossessione di farlo, di volersi mostrare, come se la trasparenza di tutto ciò che ci accade fosse obbligatoria, come se fuori dai social smettessimo di esistere. Se stiamo bene dobbiamo dimostrarlo, se stiamo male dobbiamo dimostrarlo, ma così facendo i social diventano come un metro per misurare la nostra identità: sono quello che i miei follower vogliono che io sia; sono quello che attira più like e intanto snaturiamo la nostra vera essenza, fino a perderla del tutto.
Frequentando persone che la pensano come me, noto subito la differenza quando – disgraziatamente – mi tocca uscire con chi ama i social e vuole condividere ogni istante. “Aspetta, fermati che faccio un video per il mio reel”; “Figo questo quadro! Ora lo pubblico sui social”. Mi mordo la lingua per non rispondere a tono, perché dopotutto ho passato anche io questa fase, e proprio perché l’ho fatto mi rendo conto di quanto non si stia vivendo, ma si stia osservando una vita che vogliamo mostrare agli altri. Quando ho abbandonato l’idea di fare cose, uscire con gente solo per mostrarlo, ho (ri)scoperto la vera forma dell’amicizia, dell’amore, delle relazioni che non sono a favore di like. Perché si sa, nella smania di farci piacere dagli altri, andiamo a dimenticare chi siamo davvero e la luce dentro di noi che dà forma alla meraviglia del nostro operato, svanisce.
E attenzione, ancora: non voglio demonizzare i social che tanto aiutano a connetterci con gli altri, a scambiare idee e opinioni. Ben vengano, se dosati a dovere. Come detto prima, e come consiglio a chiunque, ho messo un timer di quindici minuti per ogni social, così da non perdermi nella dipendenza dallo scroll, ma soprattutto così da ricordarmi costantemente che i momenti più belli, quelli che davvero amiamo e di cui viviamo nel presente, non finiscono sui social semplicemente perché non ci passa neanche il pensiero di fermare un attimo per pubblicarlo.
Forse tutto questo si capisce davvero quando si fa l’esperienza del segreto, dell’intimità, della sacralità del nostro personale che non appartiene a nessun altro se non a noi stessi. Una persona, un luogo, un’esperienza non mostrati al mondo diventano un angolo tutto nostro, dove non c’è bisogno di spiegare cosa sia, dove ci si sente protetti e pieni di vita.
“Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi”, diceva Cesare Pavese e credo che gli attimi, quelli veramente degni di essere vissuti, non hanno bisogno di testimonianze, solo della nostra piena consapevolezza mentre li stiamo vivendo. Forse, la vera rivoluzione è scegliere cosa non mostrare. E questo, forse, lo sta capendo molto bene la Generazione Alpha…
Per carità, anche io nel passato sono caduta nella trappola di condividere momenti random di vita: dal caffè del mattino, al pranzo veggie, alle uscite… fino a qualsiasi altra cavolata mi venisse in mente.
Ma con la maturità e iniziando a vivere la vita in maniera un po’ più razionale, o forse semplicemente la vita dal vivo, mi sono resa conto che ho cominciato a dedicare sempre meno spazio ai social, arrivando anche a bloccare le app quando vi trascorro più di quindici minuti al giorno.
Con questo distacco mi sono resa conto che più si condivide, più si entra in una trappola mentale in cui crediamo di avere pieno controllo in tutto quello che ci accade, e ovviamente non è così; quindi: cosa perdiamo del reale quando pensiamo a cosa condividere?
Ma con la maturità e iniziando a vivere la vita in maniera un po’ più razionale, o forse semplicemente la vita dal vivo, mi sono resa conto che ho cominciato a dedicare sempre meno spazio ai social, arrivando anche a bloccare le app quando vi trascorro più di quindici minuti al giorno.
Con questo distacco mi sono resa conto che più si condivide, più si entra in una trappola mentale in cui crediamo di avere pieno controllo in tutto quello che ci accade, e ovviamente non è così; quindi: cosa perdiamo del reale quando pensiamo a cosa condividere?
“C’era una volta la dignità della privacy” così inizierei a raccontare la vita fino ai primi anni del Duemila, ai miei figli, se solo ne volessi. Quella forma privata di pensieri, emozioni, fotografie e ricordi che appartenevano solo a noi e che custodivamo nel cuore come un gioiello prezioso. Non si trattava di paura di esprimersi, di farci fighi rendendoci sempre più misteriosi o di un’armatura fatta di pudicizia, si trattava di semplice, puro, innocuo rispetto. Prima di tutto verso noi stessi, poi verso tutte quelle persone che condividevano con noi pezzi di vita.
Non voglio fare la bacchettona dicendo che non vanno condivise neanche foto, io stessa continuo a farlo, parlo semplicemente dell’ossessione di farlo, di volersi mostrare, come se la trasparenza di tutto ciò che ci accade fosse obbligatoria, come se fuori dai social smettessimo di esistere. Se stiamo bene dobbiamo dimostrarlo, se stiamo male dobbiamo dimostrarlo, ma così facendo i social diventano come un metro per misurare la nostra identità: sono quello che i miei follower vogliono che io sia; sono quello che attira più like e intanto snaturiamo la nostra vera essenza, fino a perderla del tutto.
Frequentando persone che la pensano come me, noto subito la differenza quando – disgraziatamente – mi tocca uscire con chi ama i social e vuole condividere ogni istante. “Aspetta, fermati che faccio un video per il mio reel”; “Figo questo quadro! Ora lo pubblico sui social”. Mi mordo la lingua per non rispondere a tono, perché dopotutto ho passato anche io questa fase, e proprio perché l’ho fatto mi rendo conto di quanto non si stia vivendo, ma si stia osservando una vita che vogliamo mostrare agli altri. Quando ho abbandonato l’idea di fare cose, uscire con gente solo per mostrarlo, ho (ri)scoperto la vera forma dell’amicizia, dell’amore, delle relazioni che non sono a favore di like. Perché si sa, nella smania di farci piacere dagli altri, andiamo a dimenticare chi siamo davvero e la luce dentro di noi che dà forma alla meraviglia del nostro operato, svanisce.
E attenzione, ancora: non voglio demonizzare i social che tanto aiutano a connetterci con gli altri, a scambiare idee e opinioni. Ben vengano, se dosati a dovere. Come detto prima, e come consiglio a chiunque, ho messo un timer di quindici minuti per ogni social, così da non perdermi nella dipendenza dallo scroll, ma soprattutto così da ricordarmi costantemente che i momenti più belli, quelli che davvero amiamo e di cui viviamo nel presente, non finiscono sui social semplicemente perché non ci passa neanche il pensiero di fermare un attimo per pubblicarlo.
Forse tutto questo si capisce davvero quando si fa l’esperienza del segreto, dell’intimità, della sacralità del nostro personale che non appartiene a nessun altro se non a noi stessi. Una persona, un luogo, un’esperienza non mostrati al mondo diventano un angolo tutto nostro, dove non c’è bisogno di spiegare cosa sia, dove ci si sente protetti e pieni di vita.
“Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi”, diceva Cesare Pavese e credo che gli attimi, quelli veramente degni di essere vissuti, non hanno bisogno di testimonianze, solo della nostra piena consapevolezza mentre li stiamo vivendo. Forse, la vera rivoluzione è scegliere cosa non mostrare. E questo, forse, lo sta capendo molto bene la Generazione Alpha…
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