Ho passato il mio primo maggio in chiesa.
Non spiegherò il perché e non andrò nei dettagli del perché ho passato questa
giornata – che dovrebbe essere di svago – in chiesa a pregare e a scrutare la
Bibbia, se mai lo farò, lo spiegherò bene e non in un paio righe come invece farei
ora.
Comunque, quando faccio la scrutatio solitamente per rimanere su un sentiero
ben preciso ho una serie di versetti da leggere; posso sì andare oltre (nessuno
mi punta un fucile addosso), ma tendenzialmente per rimanere “in tema” preferisco
non allontanarmi troppo da quelle che sono i consigli dati.
Ci sentiamo tutti giudici e tutti pensiamo che il giudizio che abbiamo da
imporre sull’altro conti effettivamente qualcosa, quando in realtà ho una
notiziona per i più giudicanti che leggeranno questo articolo: non importa
niente a nessuno.
Comunque, su questo discorso potrei aprire un discorso infinito e non è mia
intenzione farlo… quello che voglio fare è condividere la mia risposta alle
domande: “Come è nato questo giudice dentro di te? Come colpisce la tua vita personale?”
Per poter rispondere a queste due domande sono partita dal quattordicesimo
capitolo della Lettera ai Romani, dal primo al quarto versetto, che recita:
“Accogliete tra voi chi è debole nella fede, senza discuterne le esitazioni. Uno
crede di poter mangiare di tutto, l'altro invece, che è debole, mangia solo
legumi. Colui che mangia non disprezzi chi non mangia; chi non mangia, non
giudichi male chi mangia, perché Dio lo ha accolto. Chi sei tu per giudicare un
servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma
starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare.”
- [RM. 14, 1-4]