Uno dei capolavori architettonici del barocco romano è sicuramente la chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, nel rione Sant’Eustachio e a due passi da piazza Navona. Realizzata tra il 1642 e il 1660 da Francesco Borromini, questo gioiello sorge nel cortile dell’antica sede dell’Univeristà La Sapienza, di cui ancora porta il nome.
A rendere il tutto ancora più magico è il fatto che la chiesa sia nascosta, pronta a rivelarsi solo ai più attenti passeggiatori di Corso Rinascimento che la possono intravedere dal portone aperto. La chiesa, infatti, è visitabile solo poche ore alla settimana, più precisamente ogni domenica dalle 9:00 alle 11:00, ecco perché è poco conosciuta anche dai romani doc.
Nel 1632 papa Urbano VIII comincia a parlare della chiesa che sarebbe dovuta sorgere all’interno dell’università La Sapienza. Il cortile, al tempo, era già stato creato da Giacomo della Porta che ne aveva previsto anche una chiesa a pianta circolare. Borromini conferma questa volontà, ma ha intenzione di rendere la geometria della struttura ancora più complessa. È proprio per questo che i lavori iniziano nel 1643, dopo dieci anni di progetti, per finire definitivamente vent’anni dopo.
La chiesa viene comunque consacrata nel 1660, quando i lavori rimasti erano di minore importanza.
Non è facile per il Borromini lavorare al progetto di Sant’Ivo alla Sapienza, soprattutto perché lo spazio lasciato da della Porta per la chiesa è davvero piccolo, chiuso, quasi soffocante. Ma è da qui che si riconosce il genio: Borromini sfodera la sua creatività senza limiti, raddoppia la pianta triangolare già esistente creando una stella a sei punti in grado di ottimizzare al meglio la superficie a disposizione. Da qui aggiunge e sottrae altri spazi circolari, seguendo un suo schema logico e poetico allo stesso tempo. L’architetto, infatti, voleva replicare il lavoro a San Carlino alle Quattro Fontane (nel rione Monti) e dare vita non a una normalissima chiesa, ma a una che parlasse di fede, conoscenza e mistero attraverso i suoi simboli.
Così la pianta forma una stella, all’apparenza puramente semplice. All’epoca era normale che la cupola si posasse su grandi archi separati, a Sant’Ivo, invece, la cupola si poggia direttamente sulla linea mistilinea della pianta stessa, trasformando la complessa geometria in un cerchio perfetto, simbolo di Dio e dell’Unità assoluta.
Al cerchio si aggiunge il simbolo della Trinità, presente nelle 111 stelle che decorano la cupola (1+1+1=3) e che si distribuiscono su otto livelli (l’8 è il simbolo dell’equilibrio cosmico e dell’infinito). Non è finita qui: le stelle si alternano tra quelle a otto punte e quelle a sei, il 6 è il numero biblico della creazione, perché Dio creò il mondo in sei giorni.
Ovviamente è presente anche il numero 12, nel numero di gradini che sovrastano il tamburo della cupola. Come se salendo ognuno di essi, si facesse un cammino di apostolato verso Dio.
Non possiamo non citare la lanterna spiraliforme che avviandosi verso il cielo, richiama il Faro di Alessandria, ed è così che Sant’Ivo diventa per i fedeli: un faro che guida verso la Verità. questa luce è rappresentata dalle piccole fiamme in pietra.
Immancabili anche le api, simbolo della famiglia Barberini – di cui papa Urbano VIII faceva parte, essendo nato Matteo Vincenzo Barberini – ma anche simbolo cristiano di carità, prudenza e laboriosità.
Sono ancora tanti altri i guizzi geniali che Borromini ha messo a Sant’Ivo alla Sapienza, arrivando a raggiungere la vetta dello stile gotico in Italia, uno spazio dove tutto sembra vivo e se pensiamo che tutto ciò è nato in una condizione di quasi impossibilità ai lavori, ci fa capire che spesso l’arte ha a che fare con qualcosa di molto più grande di noi, che diveniamo solo un tramite per mettere nel mondo materiale quello che è divino.
La chiesa rimane attiva nel campo universitario fino all’Unità d’Italia, quando viene chiusa al pubblico e viene utilizzata come archivio, fino al 1926 quando don Giovanni Battista Montini – che nel 1963 diventerà papa Paolo VI – preme il rettore, Giorgio Del Vecchio, e il Ministro della Pubblica Istruzione, Pietro Fedele, affinché la chiesa venga riaperta.
Durante tutto il periodo della guerra, Sant’Ivo alla Sapienza diviene la sede di riunioni segrete per la Resistenza.
A oggi le visite sono permesse solo la domenica, due ore prima della messa delle 11:00.
A rendere il tutto ancora più magico è il fatto che la chiesa sia nascosta, pronta a rivelarsi solo ai più attenti passeggiatori di Corso Rinascimento che la possono intravedere dal portone aperto. La chiesa, infatti, è visitabile solo poche ore alla settimana, più precisamente ogni domenica dalle 9:00 alle 11:00, ecco perché è poco conosciuta anche dai romani doc.
Nel 1632 papa Urbano VIII comincia a parlare della chiesa che sarebbe dovuta sorgere all’interno dell’università La Sapienza. Il cortile, al tempo, era già stato creato da Giacomo della Porta che ne aveva previsto anche una chiesa a pianta circolare. Borromini conferma questa volontà, ma ha intenzione di rendere la geometria della struttura ancora più complessa. È proprio per questo che i lavori iniziano nel 1643, dopo dieci anni di progetti, per finire definitivamente vent’anni dopo.
La chiesa viene comunque consacrata nel 1660, quando i lavori rimasti erano di minore importanza.
Non è facile per il Borromini lavorare al progetto di Sant’Ivo alla Sapienza, soprattutto perché lo spazio lasciato da della Porta per la chiesa è davvero piccolo, chiuso, quasi soffocante. Ma è da qui che si riconosce il genio: Borromini sfodera la sua creatività senza limiti, raddoppia la pianta triangolare già esistente creando una stella a sei punti in grado di ottimizzare al meglio la superficie a disposizione. Da qui aggiunge e sottrae altri spazi circolari, seguendo un suo schema logico e poetico allo stesso tempo. L’architetto, infatti, voleva replicare il lavoro a San Carlino alle Quattro Fontane (nel rione Monti) e dare vita non a una normalissima chiesa, ma a una che parlasse di fede, conoscenza e mistero attraverso i suoi simboli.
Così la pianta forma una stella, all’apparenza puramente semplice. All’epoca era normale che la cupola si posasse su grandi archi separati, a Sant’Ivo, invece, la cupola si poggia direttamente sulla linea mistilinea della pianta stessa, trasformando la complessa geometria in un cerchio perfetto, simbolo di Dio e dell’Unità assoluta.
Al cerchio si aggiunge il simbolo della Trinità, presente nelle 111 stelle che decorano la cupola (1+1+1=3) e che si distribuiscono su otto livelli (l’8 è il simbolo dell’equilibrio cosmico e dell’infinito). Non è finita qui: le stelle si alternano tra quelle a otto punte e quelle a sei, il 6 è il numero biblico della creazione, perché Dio creò il mondo in sei giorni.
Ovviamente è presente anche il numero 12, nel numero di gradini che sovrastano il tamburo della cupola. Come se salendo ognuno di essi, si facesse un cammino di apostolato verso Dio.
Non possiamo non citare la lanterna spiraliforme che avviandosi verso il cielo, richiama il Faro di Alessandria, ed è così che Sant’Ivo diventa per i fedeli: un faro che guida verso la Verità. questa luce è rappresentata dalle piccole fiamme in pietra.
Immancabili anche le api, simbolo della famiglia Barberini – di cui papa Urbano VIII faceva parte, essendo nato Matteo Vincenzo Barberini – ma anche simbolo cristiano di carità, prudenza e laboriosità.
Sono ancora tanti altri i guizzi geniali che Borromini ha messo a Sant’Ivo alla Sapienza, arrivando a raggiungere la vetta dello stile gotico in Italia, uno spazio dove tutto sembra vivo e se pensiamo che tutto ciò è nato in una condizione di quasi impossibilità ai lavori, ci fa capire che spesso l’arte ha a che fare con qualcosa di molto più grande di noi, che diveniamo solo un tramite per mettere nel mondo materiale quello che è divino.
La chiesa rimane attiva nel campo universitario fino all’Unità d’Italia, quando viene chiusa al pubblico e viene utilizzata come archivio, fino al 1926 quando don Giovanni Battista Montini – che nel 1963 diventerà papa Paolo VI – preme il rettore, Giorgio Del Vecchio, e il Ministro della Pubblica Istruzione, Pietro Fedele, affinché la chiesa venga riaperta.
Durante tutto il periodo della guerra, Sant’Ivo alla Sapienza diviene la sede di riunioni segrete per la Resistenza.
A oggi le visite sono permesse solo la domenica, due ore prima della messa delle 11:00.
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