Torniamo a parlare di musica, facendo un piccolo salto in un passato neanche troppo lontano.
Oggi racconteremo “Nostalgia istantanea” di Dargen D’Amico. rapper e cantautore che ha guadagnato un discreto successo nell’ultimo periodo.
Perché tornare indietro di una decade e raccontare un brano pubblicato in quel contesto storico?
Abbiamo apprezzato da sempre il brano, ma (fino a oggi) non abbiamo mai avuto il coraggio di parlare della complessità di questa opera.
Riteniamo che il brano meriti di essere considerato un “classico” del rap italiano; dunque, ci approcceremo a esso descrivendolo come un’opera storica ma non per questo meno attuale.
“Nostalgia istantanea” viene pubblicata nel 2012, un esperimento che già nella sua struttura non rispecchia logiche “radio-friendly”: la canzone dura oltre 18 minuti, condensando numerosi concetti che si legano e slegano durante tutta la durata del brano.
L’atmosfera è onirica, a tratti impalpabile e tratti molto definita; la strumentale potremmo definirla un campione quasi “chill-out”.
La voce di Dargen ci accompagna come in un audiolibro ritmato, descrivendo immagini a tratti poetiche e a tratti crudi.
Si tratta di un flusso di coscienza, il viaggio dentro l’inconscio di un uomo. Potremmo raccontarla come l’esperienza di un lungo sogno, dove le diverse scene sono connesse tra loro da concetti sottili, le immagini mutano rapidamente, mantenendo un tema che non si riduce a un’unità ma che si esplica nel molteplice.
Per ragioni pratiche selezioneremo nel corso di questo articolo alcuni versi solo esemplificativi, senza ritenere che debbano spiccare su quelli non citati.
“Inizia con qualcosa di semplice,
tanto è la prima cosa che dici
nessuno sa cosa c’era prima,
guarda la Bibbia, comincia semplice
è sempre in classifica e continua a vendere”.
Così Dargen sceglie di aprire il brano, con il rimando alla Genesi biblica potremmo in un certo senso dire che questa è la sua genesi.
Nel brano emerge la tensione tra opposti, per fare alcuni esempi: il reale e l’irreale, il concreto e l’astratto, la terra e il cielo, la materia e lo spirito, la realtà e il sogno.
In questa tensione Dargen iscrive la sua poesia, la lingua italiana amalgamando suoni e concetti.
“Le parole da usare, sempre quelle,
l’arte è cambiare l’ordine”.
Ed è attraverso la lingua italiana che Dargen compie l’operazione di trasformare in parole il flusso di coscienza (o di incoscienza), non solo generando immagini ma incastrandole in una successione che rammenta il concetto di metrica.
“E potrei spiegarlo a parole
ma una fotografia del sole
per quanto si sforzi non scalda uguale”
Qui Dargen entra subito in contatto con il suo stesso limite, ossia la necessaria separazione tra arte ed esperienza. L’immagine retorica è semplice e al contempo profonda e potente. Pensiamo che uno dei significati del titolo di questo brano sia insito nell’immagine sopra descritta. “Istantanea” come la fotografia del sole già pronta appena è stata scattata, “nostalgia” come un sentimento che rimanda a un momento non più comunicabile e/o esperibile.
Il titolo, inoltre, fa parte di uno dei versi finali del brano; si tratta di un’immagine poetica e ironica, profonda e allo stesso tempo grottesca. Prima, però, per contestualizzarla, analizziamo i versi antecedenti:
“Il segno della croce non è nelle dita,
il segno della croce è sulle spalle.
Gesù si rialza ogni volta
e si riprende la croce”.
Indipendentemente dalla fede di riferimento (non siamo neanche sicuri che Dargen sia Cristiano), troviamo che questa sia una delle immagini retoriche più forti del brano.
L’atto di “portare la croce” riguarda figurativamente ogni essere umano, ciascuno di noi porta “sulle spalle” limitazioni date dalla propria esperienza terrena. Gesù che si fa carico delle proprie ambasce e che, nonostante tutto, prosegue il suo travagliato cammino rappresenta qualcosa di sublime che va oltre la fede in sé e che diviene un’immagine poetica.
“Se Dio si incarnasse ancora,
finirebbe su una croce tutta nuova
Ripreso dai telefonini in aria
Ecco cos’è la nostalgia istantanea”.
Questi versi potrebbero prestarsi a diverse interpretazioni, noi ne esporremo solo uno per lasciarvi riflettere sui restanti. Questi versi, crudi e al contempo ironici, mostrano un’umanità, deicida e iconoclasta, permasa immutata nei secoli. La tensione tra meta-narrazione cristiana e società contemporanea trova una sintesi in questi versi, ponendoci a riflettere in senso più lato sul nostro progresso umano, per infine scoprirci antropologicamente immutati.
Nell’outro del brano Dargen chiarisce di aver scritto la canzone nei momenti “che seguono e precedono di poco il sonno”, ispirandosi sia alla Bibbia e sia all’enciclopedia.
Se volete provare ad ascoltare “l’esperimento” di Dargen, potete cliccare qui. Non necessariamente deve essere ascoltata tutta in un giorno, così come un libro non deve necessariamente essere letto tutto d’un fiato.Siamo comunque sicuri che si tratti di un’esperienza unica e irripetibile all’interno della musica italiana.
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