Seguiamo i WakeUpCall da un po’ di tempo, dal loro spettacolo nei teatri “If Beethoven Was a Punk”, e abbiamo già avuto modo di intervistarli.
Dopo più di 450 date in giro per il mondo, due album in inglese, un fumetto e il primo album italiano (“Doveva essere un disco indie”, 2023), i WakeUpCall ci regalano una versione molto personale e molto rock del famosissimo brano italiano.
“Abbiamo deciso di rendere omaggio ad una delle più famose canzoni italiane degli anni ’60, trasformandola in un inno rock contemporaneo e moderno. In un’epoca in cui tutti si sentono di giudicare tutto e tutti, “Nessuno mi può giudicare” ci sembra un messaggio onesto e attuale.”
- WakeUpCall
I WakeUpCall sono una rock band di Roma, formata da Tommaso Forni (voce e chitarra), Oliviero Forni (chitarra), Francesco Tripaldi (basso) e Tommaso Pompa (batteria) con diverse collaborazioni internazionali, tra le quali il produttore americano Beau Hill (più di 50 milioni di dischi venduti nel mondo con Alice Cooper, Eric Clapton e tanti altri) e più di 400 concerti in Europa, Russia e Asia.
Il loro album “If Beethoven Was a Punk” (in lingua inglese) è una vera e propria opera rock che mischia la musica classica dei grandi compositori come Beethoven, Wagner, Mozart alla musica rock della band. Dall’album è nato un fumetto, dal fumetto un’app digitale e infine uno spettacolo teatrale (con vari sold out a Roma e in Italia).
Il progetto vince il bando SIAE/SILLUMINA “Nuove opere multimediali” 2017.
Nel 2019 con il loro primo brano in italiano “Tu Non Ascolti Mai” vengono scelti tra i primi 60 artisti (unica band Rock) su 840 per Sanremo Giovani.
Nel 2020 pubblicano una versione davvero speciale e moderna del famosissimo brano di Modugno “Nel Blu Dipinto di Blu” che diventa la colonna sonora dell’iniziativa del MEI per intitolare il teatro Ariston di Sanremo a Modugno per il 70esimo anniversario del festival. Durante la settimana del festival, vengono premiati a Sanremo, sul palco del MEI 25.
Il 15 Aprile 2020 esce il loro primo brano in italiano “Tu non ascolti mai”.
Alle domande ha risposto il cantante della band, Tommaso
Eccoci ritrovati, dopo circa un anno dalla nostra ultima intervista insieme. Cosa è cambiato nel frattempo, che aggiornamenti ci sono stati?
Abbiamo passato l’ultimo anno a promuovere il nostro primo album italiano (“Doveva essere un disco indie”), per noi è stata un po’ una sfida, perchè siamo sempre stati abituati a confrontarci con un mercato estero e date fuori dall’Italia. Prima di questo album scrivevamo musica in inglese e facevamo tour all’estero principalmente. Ci siamo scontrati con la realtà italiana e grosso modo ci siamo ricordati perchè anni prima eravamo fuggiti all’estero [ride]. C’è veramente poco spazio per una band rock in Italia. Come sempre però, abbiamo fatto tutto quello che potevamo e non ci siamo disperati troppo. Abbiamo trovato la forza nella nostra musica e un po’ di coraggio qua e là, anche quando qualche radio mandava i nostri pezzi e ci chiedeva come mai non fossero già dei successi. Piccolissime gioie e soddisfazioni, ma importanti per andare avanti. Alla fine della giostra l’importante è continuare a fare quello che ci piace, senza gettare la sponda perchè è troppo difficile. Trovare un modo onesto ed equilibrato che ci faccia stare bene. E al momento la band è in piena salute e con tanta voglia di fare ancora e meglio.
È da poco uscita la vostra versione di “Nessuno mi può giudicare”: molto rock, intensa, ma anche emotiva. Com’è stato lavorare su questo brano iconico?
Questa canzone rientrava in quelle che la maggior parte dei musicisti ritiene siano mostri sacri intoccabili, che è meglio lasciare dove sono, perchè se ci metti mano e li cambi poi la gente si incazza. Le persone sono abituate a cantarli e sentire ancora oggi la versione originale in radio centinaia di volte. Un po’ come quando abbiamo messo mano a “Nel blu dipinto di blu” qualche anno fa. Invece a noi piace tantissimo prendere pezzi di altre epoche e stravolgerli, trasformarli in qualche cosa di simile, ma diverso, che passa attraverso di noi. È chiaro che devi sempre approcciare con rispetto, sapere che davanti hai un pezzo di storia a cui la gente è affezionata. Però non abbiamo paura di dire la nostra. Anzi cerchiamo di essere una specie di raccordo e ponte tra generazioni, dare la possibilità ai più grandicelli di sentire qualcosa di più moderno, per i giovani magari di incuriosirli e andare a sentire i classici. E speriamo che alla gente arrivi questo: “La versione originale resta pazzesca e migliore, però lo sai che questa versione più moderna e più rock non è male per niente? Fammi ascoltare cos’altro hanno fatto questi.”
I brani intramontabili sono quelli il cui senso non cambia molto col passare degli anni. “Nessuno mi può giudicare” rientra tra queste, forse oggi più di ieri. C’erano altri brani in lista che avreste potuto scegliere e se sì, come siete arrivati alla decisione fatta?
Abbiamo perso un po’ di tempo a pensare e analizzare diverse canzoni. Pensando sia al messaggio generale della canzone, sia a cosa noi potevamo dare di nuovo a qualcosa di già sentito. Ci sono tantissime canzoni che ci piacerebbe molto rifare. Alla fine abbiamo scelto questa perchè volevamo tornare a un sound più diretto e grezzo, meno arrangiamento, un sound più anni 70, rock grintoso. Sotto questo punto di vista la canzone era perfetta. In più, ultimamente soffriamo molto questo nuovo ordine mondiale dei socials, dove tutto passa per loro e dove quello che una volta era un pubblico meno saccente e più attento ai dettagli, oggi tutti si sentono esperti di tutto e di dare il loro insindacabile giudizio dopo aver sentito dieci secondi di qualche cosa. Per cui “Nessuno mi può giudicare” si evolve per noi, ultimi eredi di una generazione a metà tra l’analogico e il digitale, in un grido moderno: questo è quello che faccio e che mi piace, se mi volete giudicare, accomodatevi, io tiro avanti lo stesso.
Con il vostro spettacolo teatrale “If Beethoven was a punk”, già la cover di “Nel blu dipinto di blu (Volare)” e adesso “Nessuno mi può giudicare” si nota quanto sia importante per voi la musica e gli artisti del passato, poi siete più che apprezzati anche dai giovanissimi. Quanto vi emoziona vedere le nuove generazioni avvicinarsi alla musica grazie al lavoro che fate?
Abbiamo da pochissimo riportato a teatro per le scuole il nostro spettacolo “If Beethoven Was a Punk” dove i ragazzi delle scuole medie di Roma, scoprono per la prima volta che cos’è un concerto rock dal vivo, insieme a fumetto, luci, proiezioni e storie sui grandi autori della musica classica. E tutto questo in gita scolastica! È stato per l’ennesima volta un successo veramente coinvolgente, per loro sicuramente, ma per noi è una cosa più profonda, sapere che ogni mattina quei 300, 400 ragazzi tornano a casa entusiasti di raccontare l’esperienza del loro primo concerto rock. La maggior parte di quei ragazzi ancora ci segue e poi è tornato a vederci con i genitori. È senza dubbio la cosa più straordinaria che siamo riusciti a fare con i WakeUpCall. E se tutto va bene stiamo portando il tutto ad un nuovo livello, Beethoven crescerà e arriverà in nuovi posti nel 2025.
Qual è il brano a cui siete più legati? Uno vostro e uno di un altro artista…
Una sola nostra è dura. Scelgo “Alberi” dal nostro primo album italiano, uno dei primi testi che ho scritto direttamente in italiano. Quando suono quella canzone, anche solo in sala alle prove, chiudo gli occhi sul finale e me la immagino con le luci di un crescendo con l’orchestra che fa esplodere l’Ariston. Non sono più un ragazzino, ma ogni tanto sogno ancora. Quella canzone, probabilmente si meritava di più. Di un altro artista scelgo Blood on Blood dei Bon Jovi, una canzone che parla di amicizia, di promesse fatte per durare in eterno, non a caso ce l’abbiamo tatuata io e mio fratello (il chitarrista della band) sulle nostre rispettive spalle da quando abbiamo compiuto 18 anni.
In questi giorni mi sono chiusa con il vostro album “Doveva essere un disco indie” e devo ammettere che mi sono ritrovata a cantare “Verso casa” mentre stavo proprio tornando a casa, in strada, un po’ troppo ad alta voce, forse. Mi vorrei soffermare su “Ho girato il mondo ma/Non ho trovato alcuna risposta/Fuggivo, scappavo forse solo da me” per chiedervi: siete sempre in movimento, in Italia o all’estero… cosa portate a casa dopo ogni tappa?
Nel migliore dei casi un po’ di ricarica nelle batterie che alimentano i nostri sogni. E se tutto va bene qualche soldo per il prossimo album ahahaha. Ormai di date ne abbiamo fatte, ho perso il conto, immagino saremo arrivati intorno alle 400. Sono sincero, ci sono state date toste, dove ci siamo chiesti, ma che stiamo a fare qua, lontani da casa, davanti a venti persone. Poi però attacchi la chitarra, dai il quattro, parti e comunque succede qualcosa di magico (quasi sempre), la musica ti avvolge, butti fuori tutto, rabbia, frustrazioni, sconfitte e se ti piace quello che stai suonando, allora lo suoni al meglio che puoi, per te prima di tutto e per i tuoi compagni di band. E tutta quella energia che metti, travolge anche quelli che si trovano li per sbaglio al bancone a bere una birra, si girano, e brindano con te. E allora va bene così, via alla prossima data, che pensi andrà meglio. E se non andrà meglio, andrà bene lo stesso.
Il loro album “If Beethoven Was a Punk” (in lingua inglese) è una vera e propria opera rock che mischia la musica classica dei grandi compositori come Beethoven, Wagner, Mozart alla musica rock della band. Dall’album è nato un fumetto, dal fumetto un’app digitale e infine uno spettacolo teatrale (con vari sold out a Roma e in Italia).
Il progetto vince il bando SIAE/SILLUMINA “Nuove opere multimediali” 2017.
Nel 2019 con il loro primo brano in italiano “Tu Non Ascolti Mai” vengono scelti tra i primi 60 artisti (unica band Rock) su 840 per Sanremo Giovani.
Nel 2020 pubblicano una versione davvero speciale e moderna del famosissimo brano di Modugno “Nel Blu Dipinto di Blu” che diventa la colonna sonora dell’iniziativa del MEI per intitolare il teatro Ariston di Sanremo a Modugno per il 70esimo anniversario del festival. Durante la settimana del festival, vengono premiati a Sanremo, sul palco del MEI 25.
Il 15 Aprile 2020 esce il loro primo brano in italiano “Tu non ascolti mai”.
Alle domande ha risposto il cantante della band, Tommaso
Eccoci ritrovati, dopo circa un anno dalla nostra ultima intervista insieme. Cosa è cambiato nel frattempo, che aggiornamenti ci sono stati?
Abbiamo passato l’ultimo anno a promuovere il nostro primo album italiano (“Doveva essere un disco indie”), per noi è stata un po’ una sfida, perchè siamo sempre stati abituati a confrontarci con un mercato estero e date fuori dall’Italia. Prima di questo album scrivevamo musica in inglese e facevamo tour all’estero principalmente. Ci siamo scontrati con la realtà italiana e grosso modo ci siamo ricordati perchè anni prima eravamo fuggiti all’estero [ride]. C’è veramente poco spazio per una band rock in Italia. Come sempre però, abbiamo fatto tutto quello che potevamo e non ci siamo disperati troppo. Abbiamo trovato la forza nella nostra musica e un po’ di coraggio qua e là, anche quando qualche radio mandava i nostri pezzi e ci chiedeva come mai non fossero già dei successi. Piccolissime gioie e soddisfazioni, ma importanti per andare avanti. Alla fine della giostra l’importante è continuare a fare quello che ci piace, senza gettare la sponda perchè è troppo difficile. Trovare un modo onesto ed equilibrato che ci faccia stare bene. E al momento la band è in piena salute e con tanta voglia di fare ancora e meglio.
È da poco uscita la vostra versione di “Nessuno mi può giudicare”: molto rock, intensa, ma anche emotiva. Com’è stato lavorare su questo brano iconico?
Questa canzone rientrava in quelle che la maggior parte dei musicisti ritiene siano mostri sacri intoccabili, che è meglio lasciare dove sono, perchè se ci metti mano e li cambi poi la gente si incazza. Le persone sono abituate a cantarli e sentire ancora oggi la versione originale in radio centinaia di volte. Un po’ come quando abbiamo messo mano a “Nel blu dipinto di blu” qualche anno fa. Invece a noi piace tantissimo prendere pezzi di altre epoche e stravolgerli, trasformarli in qualche cosa di simile, ma diverso, che passa attraverso di noi. È chiaro che devi sempre approcciare con rispetto, sapere che davanti hai un pezzo di storia a cui la gente è affezionata. Però non abbiamo paura di dire la nostra. Anzi cerchiamo di essere una specie di raccordo e ponte tra generazioni, dare la possibilità ai più grandicelli di sentire qualcosa di più moderno, per i giovani magari di incuriosirli e andare a sentire i classici. E speriamo che alla gente arrivi questo: “La versione originale resta pazzesca e migliore, però lo sai che questa versione più moderna e più rock non è male per niente? Fammi ascoltare cos’altro hanno fatto questi.”
I brani intramontabili sono quelli il cui senso non cambia molto col passare degli anni. “Nessuno mi può giudicare” rientra tra queste, forse oggi più di ieri. C’erano altri brani in lista che avreste potuto scegliere e se sì, come siete arrivati alla decisione fatta?
Abbiamo perso un po’ di tempo a pensare e analizzare diverse canzoni. Pensando sia al messaggio generale della canzone, sia a cosa noi potevamo dare di nuovo a qualcosa di già sentito. Ci sono tantissime canzoni che ci piacerebbe molto rifare. Alla fine abbiamo scelto questa perchè volevamo tornare a un sound più diretto e grezzo, meno arrangiamento, un sound più anni 70, rock grintoso. Sotto questo punto di vista la canzone era perfetta. In più, ultimamente soffriamo molto questo nuovo ordine mondiale dei socials, dove tutto passa per loro e dove quello che una volta era un pubblico meno saccente e più attento ai dettagli, oggi tutti si sentono esperti di tutto e di dare il loro insindacabile giudizio dopo aver sentito dieci secondi di qualche cosa. Per cui “Nessuno mi può giudicare” si evolve per noi, ultimi eredi di una generazione a metà tra l’analogico e il digitale, in un grido moderno: questo è quello che faccio e che mi piace, se mi volete giudicare, accomodatevi, io tiro avanti lo stesso.
Con il vostro spettacolo teatrale “If Beethoven was a punk”, già la cover di “Nel blu dipinto di blu (Volare)” e adesso “Nessuno mi può giudicare” si nota quanto sia importante per voi la musica e gli artisti del passato, poi siete più che apprezzati anche dai giovanissimi. Quanto vi emoziona vedere le nuove generazioni avvicinarsi alla musica grazie al lavoro che fate?
Abbiamo da pochissimo riportato a teatro per le scuole il nostro spettacolo “If Beethoven Was a Punk” dove i ragazzi delle scuole medie di Roma, scoprono per la prima volta che cos’è un concerto rock dal vivo, insieme a fumetto, luci, proiezioni e storie sui grandi autori della musica classica. E tutto questo in gita scolastica! È stato per l’ennesima volta un successo veramente coinvolgente, per loro sicuramente, ma per noi è una cosa più profonda, sapere che ogni mattina quei 300, 400 ragazzi tornano a casa entusiasti di raccontare l’esperienza del loro primo concerto rock. La maggior parte di quei ragazzi ancora ci segue e poi è tornato a vederci con i genitori. È senza dubbio la cosa più straordinaria che siamo riusciti a fare con i WakeUpCall. E se tutto va bene stiamo portando il tutto ad un nuovo livello, Beethoven crescerà e arriverà in nuovi posti nel 2025.
Qual è il brano a cui siete più legati? Uno vostro e uno di un altro artista…
Una sola nostra è dura. Scelgo “Alberi” dal nostro primo album italiano, uno dei primi testi che ho scritto direttamente in italiano. Quando suono quella canzone, anche solo in sala alle prove, chiudo gli occhi sul finale e me la immagino con le luci di un crescendo con l’orchestra che fa esplodere l’Ariston. Non sono più un ragazzino, ma ogni tanto sogno ancora. Quella canzone, probabilmente si meritava di più. Di un altro artista scelgo Blood on Blood dei Bon Jovi, una canzone che parla di amicizia, di promesse fatte per durare in eterno, non a caso ce l’abbiamo tatuata io e mio fratello (il chitarrista della band) sulle nostre rispettive spalle da quando abbiamo compiuto 18 anni.
In questi giorni mi sono chiusa con il vostro album “Doveva essere un disco indie” e devo ammettere che mi sono ritrovata a cantare “Verso casa” mentre stavo proprio tornando a casa, in strada, un po’ troppo ad alta voce, forse. Mi vorrei soffermare su “Ho girato il mondo ma/Non ho trovato alcuna risposta/Fuggivo, scappavo forse solo da me” per chiedervi: siete sempre in movimento, in Italia o all’estero… cosa portate a casa dopo ogni tappa?
Nel migliore dei casi un po’ di ricarica nelle batterie che alimentano i nostri sogni. E se tutto va bene qualche soldo per il prossimo album ahahaha. Ormai di date ne abbiamo fatte, ho perso il conto, immagino saremo arrivati intorno alle 400. Sono sincero, ci sono state date toste, dove ci siamo chiesti, ma che stiamo a fare qua, lontani da casa, davanti a venti persone. Poi però attacchi la chitarra, dai il quattro, parti e comunque succede qualcosa di magico (quasi sempre), la musica ti avvolge, butti fuori tutto, rabbia, frustrazioni, sconfitte e se ti piace quello che stai suonando, allora lo suoni al meglio che puoi, per te prima di tutto e per i tuoi compagni di band. E tutta quella energia che metti, travolge anche quelli che si trovano li per sbaglio al bancone a bere una birra, si girano, e brindano con te. E allora va bene così, via alla prossima data, che pensi andrà meglio. E se non andrà meglio, andrà bene lo stesso.
Una band dalla straordinaria forza espressiva, esplosiva nell’ultimo singolo.
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