«Ma toglimi un dubbio: perché voi romani dite sempre “tante volte…” prima delle locuzioni?» Gianluca mi ha spiazzato di colpo sfoderando questa domanda, mentre stavo al telefono con lui e, intenta ad attraversare la strada, gli ho detto: «Tante volte arrivo prima…»
Sono quei modi di dire dialettali che chi nasce e cresce a Roma dice tanto per sentito dire, non accorgendosi che alle orecchie di un non romano possono sembrare bizzarri.
Quindi eccomi qui a spiegare a Gianluca – e anche a tutti voi – il perché di questo modo di dire, ovviamente corretto solo nell’italiano colloquiale. Consiglio la lettura a tutti, tante volte ve dovesse servì…
Radice culturale: dal latino al volgare
Come quasi tutti i modi di dire, dobbiamo risalire al latino, con il termine “toties” che significa, appunto: “tante volte” o “molte volte”. Questo veniva utilizzato comunemente, in qualsiasi tipo di linguaggio: nel latino classico, nell’uso liturgico e morale, e nelle retoriche.
Nel latino classico
Alcuni esempi li troviamo in Cicerone, nel suo “Pro Cluentio 75”: “Toties autem accusatus est, toties absolutus” (trad. “Fu accusato tante volte, tante volte fu assolto”, con la ripetizione a indicare il susseguirsi dei numerosi eventi che hanno portato alle accuse e alle loro assoluzioni.
Con Virgilio, nelle Georgiche troviamo: “Toties correpta relinquis?” (trad. “Perché tante volte, dopo aver afferrato, lasci?” come rafforzativo dell’azione ripetitiva, dando un senso di frustrazione.
E ancora, stessa indicazione emotiva, con Orazio, nelle sue Epistole I: “Toties testatus, caelum qui summa sonaret” (trad. “Avendo tante volte testimoniato, lui che cantava le altezze del cielo”)
Nell’uso liturgico e morale
La ripetizione è fondamentale nella preghiera o nella meditazione, e lo sapevano anche i nostri antenati che hanno utilizzato il termine “toties” con toni penitenziali o riflessivi.
Sant’Agostino, nelle Confessiones: “Toties monuisti, et ego surdus fui” (trad. “Tante volte mi hai ammonito, e io sono stato sordo”.
Nella preghiera medievale: “Toties peccavi, toties veniam peto” (trad. “Tante volte ho peccato, tante volte chiedo perdono”.
Nella retorica latina
Qui la ripetizione di “toties” servita per enfatizzare un punto. Per esempio, nelle Satire di Giovenale troviamo: “Toties servus fuit, toties dominus” (trad. “Tante volte fu servo, tante volte padrone”) e in questa ripetizione si riesce a capire meglio la portata del cambiamento nella e della persona.
Da “toties” a “tante volte”
La lingua è in continuo movimento, non rimane mai la stessa per lungo tempo e con il passare degli anni abbiamo mutato il termine “toties” in “tante volte”, ma non è cambiato il senso che, soprattutto qui a Roma – lontana da altre influenze linguistiche europee – diamo alla frase: quella di enfatizzare o richiamare la ripetitività, la potenzialità di un evento o, come nel mio caso, come una sorta di speranza.
“Attraverso qui, tante volte riesco ad arrivare prima” può essere tranquillamente tradotto con: “Attraverso qui, metti caso (speriamo) io riesca ad arrivare prima”.
Con il romano arriva sempre anche l’ironia. Così, quando vogliamo far notare a qualcuno che ha fatto lo gnorri qualcosa di ovvio possiamo utilizzare tale locuzione. Esempio: “Tante volte non lo sapessi, Roma è la capitale d’Italia” che traducendolo arriva a essere: “Qualora tu non lo sapessi, Roma è la capitale d’Italia”. Fa ridere perché si presuppone che tutti conoscano la capitale d’Italia.
Come tutte le forme per lo più dialettali, serve a dare enfasi a un contesto, magari già drammatico di per sé. “Faccio scorta di medicine, tante volte me viè la febbre”. Nel senso tragico del: “Sta arrivando il freddo, si alzano le probabilità di stare male, forse è meglio fare scorta di medicinali”.
Se vogliamo rimanere nel teatrale, ma con uno sguardo al positivo, “tante volte” presuppone la presenza di molte variabili. Esempio: “Mi vesto bene per la festa di Giulia, tante volte ci fosse Marco”. A indicare che è probabile Marco non ci sia, ma quel minimo di speranza mi porta a vestirmi bene, nel caso – seppur remoto – io possa ritrovarmelo davanti.
Conclusioni
Insomma, se vi dovesse capitare di venire a Roma, ora sapete cosa vogliono dirvi i romani con l’utilizzo di “tante volte…” e per poterlo utilizzare nel modo giusto anche voi – un po’ come nel caso del “daje” e le sue molteplici inclinazioni potrebbe sembrare ostico i primi tempi – basta fare solo un po’ di pratica.
Avete trovato questo articolo interessante? Tante volte ve dovesse scappà ‘n commento…
Sono quei modi di dire dialettali che chi nasce e cresce a Roma dice tanto per sentito dire, non accorgendosi che alle orecchie di un non romano possono sembrare bizzarri.
Quindi eccomi qui a spiegare a Gianluca – e anche a tutti voi – il perché di questo modo di dire, ovviamente corretto solo nell’italiano colloquiale. Consiglio la lettura a tutti, tante volte ve dovesse servì…
Radice culturale: dal latino al volgare
Come quasi tutti i modi di dire, dobbiamo risalire al latino, con il termine “toties” che significa, appunto: “tante volte” o “molte volte”. Questo veniva utilizzato comunemente, in qualsiasi tipo di linguaggio: nel latino classico, nell’uso liturgico e morale, e nelle retoriche.
Nel latino classico
Alcuni esempi li troviamo in Cicerone, nel suo “Pro Cluentio 75”: “Toties autem accusatus est, toties absolutus” (trad. “Fu accusato tante volte, tante volte fu assolto”, con la ripetizione a indicare il susseguirsi dei numerosi eventi che hanno portato alle accuse e alle loro assoluzioni.
Con Virgilio, nelle Georgiche troviamo: “Toties correpta relinquis?” (trad. “Perché tante volte, dopo aver afferrato, lasci?” come rafforzativo dell’azione ripetitiva, dando un senso di frustrazione.
E ancora, stessa indicazione emotiva, con Orazio, nelle sue Epistole I: “Toties testatus, caelum qui summa sonaret” (trad. “Avendo tante volte testimoniato, lui che cantava le altezze del cielo”)
Nell’uso liturgico e morale
La ripetizione è fondamentale nella preghiera o nella meditazione, e lo sapevano anche i nostri antenati che hanno utilizzato il termine “toties” con toni penitenziali o riflessivi.
Sant’Agostino, nelle Confessiones: “Toties monuisti, et ego surdus fui” (trad. “Tante volte mi hai ammonito, e io sono stato sordo”.
Nella preghiera medievale: “Toties peccavi, toties veniam peto” (trad. “Tante volte ho peccato, tante volte chiedo perdono”.
Nella retorica latina
Qui la ripetizione di “toties” servita per enfatizzare un punto. Per esempio, nelle Satire di Giovenale troviamo: “Toties servus fuit, toties dominus” (trad. “Tante volte fu servo, tante volte padrone”) e in questa ripetizione si riesce a capire meglio la portata del cambiamento nella e della persona.
Da “toties” a “tante volte”
La lingua è in continuo movimento, non rimane mai la stessa per lungo tempo e con il passare degli anni abbiamo mutato il termine “toties” in “tante volte”, ma non è cambiato il senso che, soprattutto qui a Roma – lontana da altre influenze linguistiche europee – diamo alla frase: quella di enfatizzare o richiamare la ripetitività, la potenzialità di un evento o, come nel mio caso, come una sorta di speranza.
“Attraverso qui, tante volte riesco ad arrivare prima” può essere tranquillamente tradotto con: “Attraverso qui, metti caso (speriamo) io riesca ad arrivare prima”.
Con il romano arriva sempre anche l’ironia. Così, quando vogliamo far notare a qualcuno che ha fatto lo gnorri qualcosa di ovvio possiamo utilizzare tale locuzione. Esempio: “Tante volte non lo sapessi, Roma è la capitale d’Italia” che traducendolo arriva a essere: “Qualora tu non lo sapessi, Roma è la capitale d’Italia”. Fa ridere perché si presuppone che tutti conoscano la capitale d’Italia.
Come tutte le forme per lo più dialettali, serve a dare enfasi a un contesto, magari già drammatico di per sé. “Faccio scorta di medicine, tante volte me viè la febbre”. Nel senso tragico del: “Sta arrivando il freddo, si alzano le probabilità di stare male, forse è meglio fare scorta di medicinali”.
Se vogliamo rimanere nel teatrale, ma con uno sguardo al positivo, “tante volte” presuppone la presenza di molte variabili. Esempio: “Mi vesto bene per la festa di Giulia, tante volte ci fosse Marco”. A indicare che è probabile Marco non ci sia, ma quel minimo di speranza mi porta a vestirmi bene, nel caso – seppur remoto – io possa ritrovarmelo davanti.
Conclusioni
Insomma, se vi dovesse capitare di venire a Roma, ora sapete cosa vogliono dirvi i romani con l’utilizzo di “tante volte…” e per poterlo utilizzare nel modo giusto anche voi – un po’ come nel caso del “daje” e le sue molteplici inclinazioni potrebbe sembrare ostico i primi tempi – basta fare solo un po’ di pratica.
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