C’era una volta una stella che infuse calore al buio dell’universo, la sua luce permise a diversi mondi di svilupparsi e prosperare, persino gli abitanti di galassie lontane la venerarono come una dea benigna.
L’astro vegliò su mondi di luce, colorati, multiformi e pieni di meraviglia; infuse loro energia e speranza, forza e ingegno.
Un giorno la stella, contemplando la bellezza dello spazio che contribuì a creare, notò che non si sentiva ancora pienamente realizzata. La sua galassia era la più bella di tutto l’universo, ma ciò non le bastava.
Passò ere a vegliare sui mondi, a farli crescere e sviluppare, si era dedicata incessantemente a questo compito, giorno e notte.
Eppure, dall’alto della sua immensa luce, percepiva quella mancanza che nel tempo si fece sempre più profonda.
L’immensità s’era fatta troppo larga, e il suo compito di supervisione era colmo di responsabilità.
Ecco che allora la stella decise di infondere l’intera sua essenza in un piccolo frammento di se. La sua enorme mole avrebbe continuato a splendere e scaldare i mondi circostanti, ma il suo essere intero era ormai trasmigrato in una cometa che si staccò dalla massa enorme dell’astro.
La cometa vagò tra i mondi, tra le galassie, fu un viaggio che durò molto tempo.
Sulla sua traiettoria, incontrò un piccolo pianeta già illuminato da un altro astro, e approdò su quel piccolo mondo che l’accolse.
Una volta adagiata sulla superficie del pianeta, la cometa iniziò a guardare da vicino ciò che da lontano poteva solo immaginare. La semplicità del suolo, il piccolo frammento di prospettiva che in quel momento inglobava tutto ciò che poteva essere visibile, così l’atmosfera di un pianeta alieno.
La cometa fu entusiasta di avere l’opportunità di vedere da vicino quel mondo.
Ma anche in quel caso, passarono le ere e nella cometa iniziò a sorgere un senso di insoddisfazione che si fece sempre più cavalcante nel tempo. Adagiata lì nel suolo, non aveva più alcun ruolo che esser passiva spettatrice degli eventi, e dovette anche ammettere a se stessa che le mancavano i mondi meravigliosi su cui vegliava.
Penitente per il suo atto, e stufa della mediocrità a cui s’era condannata, l’essenza una volta appartenuta alla stella si dissolse su tutto il pianeta, benedicendolo con una nuova energia vitale. Quello fu l’ultimo atto creativo di quell’entità che si disperse definitivamente in innumerevoli particelle.
Fu da allora che su quel pianeta iniziò a sorgere la vita e le condizioni necessarie a essa. Fu da allora che dalla manifestazione più alta di quell’essenza si generarono i primi esseri umani, delle creature singolari capaci di creare e di distruggere, capaci di riflettere e di dispiegare la volontà.
Tali esseri ancora oggi continuano a condividere le caratteristiche della forza che li ha generati.
Dunque spiegata l’insoddisfazione, la noia e l’invidia, la sensazione di sentirsi scomodi in qualsiasi situazione che perduri a lungo, indipendentemente dalla sua natura.
La vita, perenne ricerca del nuovo a ogni respiro, si sospinge attraverso il desiderio d’esser altro e d’esser altrove.
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