lunedì 12 agosto 2024

#Documentari: Atleta A

Nel periodo delle Olimpiadi 2024 abbiamo tutti acclamato e ammirato gli atleti che si sono succeduti nelle diverse discipline.

Nel mio cuore c’è un posto speciale per la ginnastica ritmica e artistica, sia perché amo follemente questo sport, sia perché so quanto lavoro c’è dietro.
A questo si aggiunge la pressione mentale delle atlete, soprattutto americane e lo scandalo nato nel 2017 che coinvolse il dottor Larry Nassar e la USA Gymnastics.

Dopo il documentario HBO del 2019, “At the Heart of God”, anche Netflix, nel 2020, ha prodotto il suo: “Atleta A”, ancora disponibile nella piattaforma streaming.  
 
È il 2015, le atlete della nazionale di ginnastica statunitense si trovano al Karolyil Ranch, in Texas per il loro consueto ritiro che sancirà la squadra olimpionica in vista di Rio 2016.
Il clima è già teso, i coniugi Bèla e Màrta Kàrolyu – coordinatori e proprietari del ranch – seminano il terrore nelle atlete che devono pensare solo ed esclusivamente ad allenarsi: niente chiacchiere, niente risate, niente giochi, niente contatti con amici e famigliari.
L’unico momento di sollievo? Le chiacchierate durante le sedute di fisioterapia con il medico osteopata Larry Nassar.

Larry si comporta da amico, è il confidente delle ragazze, dà loro momenti di allegria, gira sottobanco dolci e merendine, ma a quale prezzo?

Le favole ci insegnano che dietro ogni vecchietta dai modi dolci, gentili e sempre disponibili si nasconde un mostro, Nassar non è da meno.
Con la scusa delle numerose sedute e con un legame indissolubile con le atlete riesce, nel corso della sua carriera, ad abusare sessualmente di almeno 256 ragazzine.

Tutto parte da Maggie Nichols che si confida con la sua compagna e amica Alexandra Raisman. Le due cominciano a chiedersi se sia normale che il medico pratiche strane manovre dove a essere protagonisti sono i loro organi genitali e quanto questo abbia a che vedere con stiramenti o dolori muscolari.
La Nichols ne parla poi con l’allenatrice, la quale avverte i genitori. L’atleta e la famiglia vengono rassicurati dall’USA Gymnastic: sarà l’associazione ad avvertire le autorità e seguire il caso. Steve Penny, l’allora dirigente, però non avvertirà proprio nessuno e, anzi, distruggerà ogni prova contro Nassar.

La notizia comincia a girare, almeno tra le atlete e nello stesso anno McKayla Maroney chiama direttamente l’FBI che non si prende carico della segnalazione. Ma non finisce qui: la Federazione americana di ginnastica fa firmare alla Maroney, sotto minaccia di abbandonare la ginnastica, un accordo di riservatezza per non diffondere la notizia.

Ci teniamo a precisare che, almeno per la legge americana, firmare accordi di riservatezza per reati così gravi è illegale. Ma questo, la giovane Maroney, non poteva saperlo e così le viene proibito di parlarne con qualunque persona.

Nel frattempo e in altri campi in America spopola il movimento #metoo: orde di donne riescono a trovare il coraggio per urlare a gran voce tutti gli abusi fisici, psicologici e sessuali che hanno subito nel corso della loro vita.
In gruppo si è più forti e l’emancipazione femminile passa anche dal liberarsi dei propri aguzzini, anche se questi non sono più presenti nella nostra vita per farci del male.

Il trauma è una vera e propria prigione, ci incatena, non ci fa vivere come vorremmo e può bloccarci improvvisamente in qualsiasi momento della vita.
Iniziano a essere più di trecento le donne che segnalano gli abusi subiti da Larry Nassar, molte di loro atlete olimpioniche come, in ordine alfabetico: Jeanette Antolin, Simone Biles, Jamie Dantzscher, Gabby Douglas, Terin Humphrey, Bailie Key, Madison Kocian, Ashton Locklear, McKayla Maroney, Maggie Nichols, Aly Raisman, Kyla Ross e Jordyn Wieber.

Il documentario descrive in modo diretto e approfondito di tutta la vicenda, arrivando al processo che vedrà condannati Nassar per pedopornografia e abusi sessuali su minori; i coniugi Károlyi per aver insabbiato tutto, Steve Penny come complice e John Geddert – direttore tecnico della squadra statunitense alle Olimpiadi di Londra 2012) per traffico di essere umani.
Sicuramente non facile da mandare giù, soprattutto se pensiamo che la vittima più giovane al momento dei fatti aveva meno di tredici anni, ma sicuramente necessario per applaudire alla forza di tutte loro, vero esempio di come per liberarsi veramente bisogna denunciare.

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