giovedì 21 marzo 2024

#Intervista: Francesco Cavestri

Al momento non sappiamo se ci prenderemo una pausa dalle interviste in vista della Pasqua e del Romics, ma intanto celebriamo anche questo giovedì assieme a un musicista emergente che dire talentuoso è davvero dire poco: Francesco Cavestri.

Lasceremo parlare la sua musica e le sue parole, intanto, al solito, inizieremo con una breve biografia. 
 
Cavestri nasce nel 2003 e già a quattro anni comincia i suoi studi di pianoforte, laureandosi a venti proprio in pianoforte jazz al Conservatorio di Bologna, risultando come il più giovane laureato in quel dipartimento.
Si trasferisce negli Usa, dove studia al Berklee College of Music di Boston; ha qui modo di conoscere la cultura americana, la musica newyorkese e di conoscere diversi artisti che lo accompagneranno nelle sue rassegne estive tra Boston e Bologna.     
Sono numerosi i luoghi dove si è esibito, tra Festival e Jazz Club, possiamo citare in Italia: Bravo Caffè e la Cantina Bentivoglio (Bologna), l’Alezanderplatz Jazz Club e la Casa del Jazz, entrambi a Roma; il Festival Time in Jazz in Sardegna e il Festival JazzMi a Milano. A Boston si è esibito al Wally’s Jazz Club.

Pubblica il suo primo album con nove tracce inedite e feat di Fabrizio Bosso: “Early17” dove combina hip-hop, soul e R&B agli elementi del jazz contemporaneo; questo suo progetto ottiene subito consenso di pubblico e critica.

Ma il suo lavoro non finisce qui: come divulgatore ha presentato la sua lezione-concertoJazz/hip hop – due generi fratelli” nelle scuole, nei teatri – a fianco di Paolo Fresu – e nei festival. Se non siete stati presenti, tranquilli perché a breve uscirà anche una pubblicazione.


Nel 2023 partecipa al Festival Strada del Jazz 2023, con il concerto in Piazza Maggiore a Bologna registrato e prodotto dalla Regione Emilia Romagna per la rassegna Viralissima e dove vince il Premio come migliore giovane pianista che unisce presente e futuro.
Ha da poco registrato la sua prima colonna sonora per un podcast di produzione Rai, il cui album è in uscita.
Ma oggi isamo qui per parlare del suo nuovo album: “IKI – Bellezza ispiratrice”, uscito in tutte le piattaforme di streaming digitale il 19 gennaio 2024.

Hai 21 anni, sei un giovanissimo e chi meglio di te può sfatare un grosso mito: il jazz non è da vecchi, né è un genere da rilegare a inizi Novecento. Com’è che ti ci sei avvicinato?


Il mio incontro con il jazz è avvenuto intorno ai 12-13 anni. Frequentavo le medie musicali, e, sotto consiglio della mia professoressa di pianoforte, ascoltai l’album probabilmente migliore della storia del jazz, ovvero “Kind of Blue” di Miles Davis con un monumentale Bill Evans al pianoforte. Questi due artisti hanno costruito le fondamenta sulle quali si è sviluppato il mio amore per questo genere, nutrito dal lirismo della tromba di Davis e il virtuosismo sempre misurato e comunicativo del pianismo di Evans. Da lì in poi è stata una continua scoperta: mi sono avvicinato alle sperimentazioni elettroniche di Herbie Hancock, che lo hanno reso uno dei più grandi innovatori di questa musica, fino ad arrivare ad artisti che hanno legato il jazz al mondo dell’hip hop (come il pianista Robert Glasper o i produttori Madlib e J Dilla) e dell’elettronica (come il produttore Sam Shepherd, il tastierista Kamaal Williams o il trombettista Avishai Cohen), arrivando dunque a comprendere come il jazz sia il genere meticcio per eccellenza, ovvero quella musica che è costantemente in ascolto e in interscambio con generi e forme sonore anche molto diverse tra loro.

Continuando a sfatare il grosso mito sul jazz, come ti sei trovato a parlare di questo genere agli studenti?

Il potenziale divulgativo ed educativo che offre questa musica, per la motivazione riportata nella risposta precedente, mi ha sempre affascinato: oltre ai racconti di tipo storico/sociale (il jazz come genere nato dalle minoranze e dall’incontro di culture diverse) è interessante proporre anche i notevoli legami che sussistono tra la musica jazz e i temi critici ricorrenti nel quotidiano: dall'adattarsi a ciò che ci accade intorno tramite la capacità di improvvisare, fino ad arrivare alla necessità di mostrarsi in costante ascolto e interazione con l’altro, gli spunti migliorativi che offre l’approccio jazzistico anche sul piano della vita di tutti i giorni sono numerosi. Per questo essere protagonista di incontri a carattere divulgativo mi ha sempre interessato, dagli incontri nelle scuole insieme all’Associazione Il Jazz Va a Scuola fino ai festival (come il Time in Jazz in Sardegna, JazzMi a Milano o Casa del Jazz a Roma in occasione dell’International Jazz Day) in cui ho portato lezioni-concerto il cui tema fondamentale è sempre il rapporto e i punti in comune tra il jazz e generi solo in apparenza distanti come l’hip hop o la musica elettronica.

Nel tuo primo album, “Early17” hai coniugato il jazz con l’hip-hop, il soul e l’R&B; in questo, “IKI – la bellezza ispiratrice” con la musica elettronica. Ti immagino divertirti in questa combinazione di suoni, proprio come fa un pittore con i colori. Ti vedi anche tu così, o ti senti di avere una componente un po’ più logica, derivata dai tuoi studi?


Accolgo il tuo parallelismo con la pittura, e aggiungo che secondo me può applicarsi a tutte le forme d’arte. Una regola fondamentale dell’espressione artistica, a mio modo di vedere, è l'assoluta e totale immersione nella pratica di quel momento, un’astrazione che ti porti ad annullare momentaneamente l’interazione con l’esterno in favore di una profonda ricerca rivolta verso sé stessi e verso il messaggio che il nostro Io interiore vuole comunicare. Un approccio logico, dettato quindi dal calcolo e dal raziocinio, è avverso a questa astrazione creativa e artistica. Tuttavia, analizzando più nel dettaglio la pratica artistica, mi sono reso conto di come questa astrazione sia possibile solo se segue a uno studio attento e profondo. Bill Evans diceva che l’essenza del jazz e dell’improvvisazione risiede nel dimenticare tutto ciò che si è studiato per anni così da potersi abbandonare interamente al momento artistico lasciando agire queste conoscenze nel subconscio.
Per rispondere alla domanda, dunque, mi pare che la mia musica abbia una componente fortemente emotiva e sensoriale, vicina al parallelismo cromatico con il pittore che hai proposto tu, ma questa spontaneità e creatività (tutte le tracce dell’album presentano sorprese e sonorità anche diverse tra loro) credo di averla raggiunta solo in seguito a tanti anni di studio, sia in Italia (mi sono laureato al Conservatorio di Bologna a luglio 2023) che all’estero (con periodi di studio al Berklee College of Music).

Del tuo album hai detto: “Il legame di questo album con l’IKI, filosofia che racchiude l’essenza del pensiero giapponese, risiede proprio in questa concezione libera e 'distaccata': l’IKI, infatti, per raggiungere la propria condizione ideale, esige un’anima aperta e disponibile al mutamento, rappresentata dal simbolo del Mitsudomoe disegnato in contrasto sulla copertina.” Non posso, quindi, non chiederti come vivi i mutamenti che ti dà la vita e se in un qualche modo ti aiuta proprio il jazz…

Paradossalmente, sono una persona piuttosto abitudinaria nella vita quanto non lo sono nella musica che propongo e che scrivo. Mi piace variare e proporre una visione sonora diversa in ogni progetto artistico, e sono convinto che l’essenza jazzistica giochi un ruolo fondamentale in questo: il jazz per definizione è quel genere volto all’innovazione e alla continua ricerca di mondi sonori inesplorati.


All’album hanno partecipato grandi nomi, come il trombettista, filicornista e compositore Paolo Fresu e il batterista americano Cleon Edwards e, ripetiamolo, hai solo 21 anni! Come sono nate queste collaborazioni, e come ti sei sentito quando si sono concretizzate?


Le collaborazioni presenti nell’album hanno rivestito un ruolo fondamentale nello sviluppo musicale del progetto. A differenza di "Early 17" (il mio album uscito a marzo 2022 e registrato in trio), il mio ultimo album “IKI - Bellezza Ispiratrice” l’ho prodotto in solo, lavorando in home-studio e trovando così un reale punto di incontro tra jazz e musica elettronica. Nella mia visione musicale, tuttavia, la collaborazione con altri artisti è sempre fondamentale, in quanto aggiunge un punto di vista ulteriormente differente rispetto a quello che puoi proporre tu come leader e ideatore del progetto. Per questo ho scelto di affiancare alla mia musica musicisti appartenenti anche a diverse mondi musicali: dal lirismo dolce e jazzistico del grande Paolo Fresu, passando per il batterismo tipico del new jazz americano di Cleon Edwards, fino ad arrivare alle collaborazioni di giovani artisti come Francesco Argento (che ho conosciuto durante un periodo di studio al Berklee College of Music di Boston) o DAISY (una giovane cantante con cui ho condiviso gli studi al conservatorio di Bologna).
Il lavoro di questi artisti mi ha reso molto soddisfatto e, soprattutto nel caso di Paolo Fresu, molto orgoglioso.


Riallacciandomi alla domanda precedente, ti chiedo se sogni altri nomi con cui collaborare…


Non ho ancora cominciato a pensare al prossimo progetto, per ora mi concentro sul promuovere e portare in giro il più possibile “IKI - Bellezza Ispiratrice” e la colonna sonora che ho registrato per il Podcast Rai “Una Morte da Mediano”. Mi piacerebbe avere un giorno l’occasione di collaborare con produttori e dj che hanno contribuito tanto all’unione di jazz e musica elettronica, come ad esempio Floating Points o Four Tet, oppure in Italia Mace o il trombonista Gianluca Petrella.

21 anni – lo ripeto perché è incredibile il tuo talento – e hai già un signor curriculum, quali sono, però, i tuoi progetti per il futuro?

Ho ancora 20 anni… 21 li compio a giugno. Mi è venuta voglia di tornare a registrare qualcosa con una formazione in trio, o in quartetto, simile quindi a quella che aveva caratterizzato la nascita del mio primo album “Early 17”. Magari presto ci saranno novità…

Allora noi aspettiamo con entusiasmo queste novità, aggiungendo Francesco Cavestri tra gli artisti da seguire!

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