Il
signor Cui vive a Pechino ed è in questa città, una che va a un ritmo
troppo veloce, che si ritrova ad affrontare i problemi che la vita gli
mette davanti: è sua la storia di cui Ge Fei parla in Il Mantello dell’invisibilità, opera del 2012 pubblicata da Fazi Editore (collana Le strade) il 5 marzo 2024.
Il romanzo è tanto breve da poter essere divorato in una giornata soltanto, ma non sarebbe il giusto modo di approcciarvisi: la scrittura di Ge Fei e la storia del signor Cui vanno gustate con calma, elaborate e digerite prima di poter proseguire.
Questa storia fa parte di una trilogia che ha fatto guadagnare un premio all’autore, ma a essere onesti non è facile riuscire a capirne il perché, soprattutto non alla prima lettura.
Un po’ come altre storie controverse – la prima a cui si pensa è Trilogia della città di K di Agota Kristoff – probabilmente una lettura soltanto non è sufficiente per comprendere appieno ciò che l’autore voglia raccontare, ciò che non si trova nero su bianco ma tra le righe, nelle virgole, nascosto tra gli spazi delle righe e le pance delle lettere.
Forse anche per questo il viaggio del signor Cui si è percepito come distante, remoto, una vita che non ci appartiene e che non potrà mai farlo. È bello andare alla ricerca di noi stessi e di somiglianze con le nostre vite nei libri; tuttavia questa volta non se ne sono trovate, faticando quindi a empatizzare con il protagonista.
Durante la lettura, non riuscivamo a fare altro che pensare alle somiglianze della storia del protagonista con quella di un altro autore e nemmeno troppo lontano da noi in termini di luogo e tempo.
Chi di noi non è stato costretto a mettere il naso sui libri per studiare Verga e il suo ciclo dei Vinti, mai portato a termine? Ecco, la vita del signor Cui ricorda proprio una delle storie del celebre autore siciliano: una costante lotta alla propria condizione sociale, continuamente vanificata dalle difficoltà che la vita gli prospetta, una dietro l’altra, come un’infinita scala la cui cima non si riesce mai a raggiungere.
Il divorzio dalla moglie Yufen tempo prima predetto dalla madre morente, il rapporto conflittuale con la sorella e il di lei marito, lo strano rapporto con l’amico di sempre Jiang Songping e l’ingaggio del misterioso Ding Caichen, suggeritogli proprio da Jiang Songping. Queste le difficoltà che Cui è costretto a sopportare e superare, sino alla comprensione finale del senso dell’esistenza nell’epilogo.
Il tema dell’invisibilità richiamato nel titolo è presente e costante; in una Pechino che va avanti senza mai guardare indietro e viaggia troppo velocemente, le persone invisibili come il signor Cui – che di per sé si è reso invisibile grazie alla propria professione, la vendita e installazione di attrezzature Hi-Fi, una scelta professionale di nicchia – vivono una vita silenziosa, un’esistenza che passa in sordina e i cui traumi sono ignorati dai più.
Altra tematica importante del romanzo, e questa invece è stata apprezzata particolarmente, è la musica, al punto che ogni capitolo ha come titolo un elemento musicale, che sia una canzone o il tipo di amplificatore. L’onnipresenza delle note e l’importanza del suono nella vita del protagonista sono proprio ciò che dà ritmo al romanzo. L’autore usa la musica pop per criticare la perdita di soggettività e di personalizzazione della società moderna, che invece sono protagoniste nella musica occidentale, elogiata per la propria diversità, per le infinite capacità espressive.
Il romanzo si apre proprio con una citazione di Nietzsche dedicata al sottofondo di tutta la storia: “Senza musica, la vita sarebbe un errore”. E non è forse così?
Una lettura sicuramente non semplice e sulla quale ci si deve soffermare, probabilmente anche dandole seconde occasioni in futuro. Come un ottimo vino, Il mantello dell’invisibilità ha bisogno di decantare per sfoggiare ogni volta un sapore diverso.
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