Siamo sicure di aver fatto capire molto chiaramente quanto la salute mentale sia importante per noi.
Tutte e quattro abbiamo vissuto e viviamo giornalmente con il mostro della depressione (e non solo) sempre alle nostre spalle, pronto a schiacciarci e a prendere il sopravvento su di noi. Nei due articoli pubblicati lo scorso Agosto sul blog "Quindici" e "La vita non è una gara" abbiamo deciso di uscire dal nostro guscio e, per la prima volta, ci siamo esposte come non avevamo mai fatto prima.
Sappiamo che sembrerà strano viste le nostre esperienze personali, ma nonostante si parli spessissimo di malattie mentali e depressione, prima di ascoltare "Storia del mio corpo" (brano inserito nell'album "La geografia del buio" uscito il 29 Gennaio 2021) nessuno era riuscito a toccarci veramente e a farci emozionare sul serio.
Sarà stato forse l'amore incondizionato che proviamo per Michele Bravi, sarà stato forse che lo conosciamo da quando Simona Ventura dopo la sua vittoria a X Factor nel 2013 lo battezzò "tesorino" e sarà forse che per noi Michi sarà sempre un po' il ragazzo appena maggiorenne che cantava "La vita e la felicità", ma nessuna canzone o romanzo riesce a toccarci come ci tocca "Storia del mio corpo".
"Il mio corpo ha una storia di paura addosso
E lo vedo chiaramente in ogni gesto
Come quando ho smesso di parlare
Nell'esatto modo in cui si chiude un rubinetto
Il mio corpo ha una storia che si ripresenta
E lo ascolto come guardo una finestra aperta
L'ho lasciato fermo dentro al letto, fermo dentro
Come in una busta di una lettera
E l'ho vestito tutti i giorni in un modo diverso
E poi mi sono abituato a viverci attraverso
E l'ho sentito urlare vivimi, vivimi, vivimi
Ti prego bruciami come fiammiferi"
Presto o tardi nella vita arriva sempre il momento in cui si viene brutalmente trascinati in quel tempo sospeso che caratterizza tutte le crisi depressive, e la paura di cui parla Michele nella canzone è tipica di questo tempo. La paura è quel mostro che ti fa credere che farai solo del male e che l'esterno ti farà solo dei danni, è quel mostro che ti blocca e ti fa rimanere fermo a letto per ore, giorni, settimane, mesi.
Il nostro corpo, però, non è progettato per i tempi sospesi e chi ha vissuto e vive ogni giorno la depressione, conosce molto bene il bisogno di un corpo che si sente in trappola e che sa che deve vivere e fare esperienze; la meccanicità dei movimenti e delle parole in cui veniamo forzati è innaturale e inaccettabile per un corpo che sa che quello che sta vivendo non è quello per cui è venuto al mondo.
Ci ricordiamo fin troppo bene come ci si sente nel vivere contando ogni singolo minuto; è straziante e crea delle ferite che lasciano il terrore costante che si possano riaprire da un momento all'altro.
Sì, perché il problema è che come ci disse una volta D. "la depressione non passa mai, è come un'allergia stagionale. Per mesi magari stai bene e poi quando sei convinto di stare bene sul serio, ritorna", e questo fa sì che il terrore non si stacchi sempre da noi. Possiamo essere bravi a ignorarlo e a spingerlo in un angolo oscuro del nostro cervello, ma non se ne va mai e rimane in ogni azione che si compie, ogni parola che si dice, ogni esperienza che si vive; non se ne va mai, e tu lo guardi anche un po' titubante chiedendoti quando tornerà quell'allergia stagionale a darti l'ennesima mazzata, a farti vivere per l'ennesima volta nel terrore più assoluto.
Vi ricordate quando a Marzo/Aprile del 2020 si usciva di casa solo per fare la spesa e per andare in farmacia? Vi ricordate la netta sensazione di vivere in un limbo? Bene, quella è la precisa sensazione che alberga nelle persone depresse, con l'unica differenza che le persone depresse sanno perfettamente che gli rimarrà dentro a vita.
A periodi alterni, sì, ma a vita.
"Ho gli occhi così assenti
Che tu mi dici quasi non esisti
Ho gli occhi così persi
Come buttare due monete per caso in mezzo a un prato
Piccoli movimenti
La vaga percezione di una vita fuori
Fammi capire se mi senti, mi vedi
Chiama forte il mio nome
Fai qualcosa di estremo
O ricommetto l'errore"
I periodi di limbo sono... divertenti.
Nei periodi di limbo è come se una persona fosse solo un corpo, poco importa di quel che succede e questa è una delle cose in assoluto più pericolose, anche perché abbiamo tutti qualche abitudine malsana e assolutamente autodistruttiva in cui ci rifugiamo. "L'errore" di cui parla Michele è quell'abitudine, e si percepisce anche nel modo in cui canta le ultime due strofe del ritornello: lo grida, e la disperazione noi la percepiamo tutta.
Nel primo, di ritornello, la sua voce invece è distorta, e noi non riusciamo a non ascoltarlo senza avere un'immagine ben nitida: stare seduti sul letto a guardare il vuoto per ore e ore senza nemmeno rendersene conto, lo sguardo che trasmette il nulla cosmico e il rumore dell'encefalogramma piatto in testa (che poi forse sono anche un po' acufeni).
Che poi, tra l'altro, è anche lo stesso suono che chiude la canzone.
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