Comunque, senza fare ulteriori polemiche, oggi vogliamo parlarvi di Scerbanenco, delle sue opere e di come effettivamente non servano attestati per fare ciò che si vuole fare nella vita. Se quindi state vivendo un periodo di dubbi e incertezze, vi consigliamo di continuare con la lettura di questo articolo, e chissà, magari potremmo aiutarvi.
“Era molto felice che io scrivessi, non doveva avere alcun senso pratico e non si preoccupava che io non avessi in mano nessun mestiere.”
Dopo aver fatto l’operaio e il conducente di ambulanze, Rizzoli lo assunse come redattore, e nel 1937 divenne caporedattore dei periodici Mondadori. Proprio per questo gruppo editoriale cominciò a pubblicare la serie di romanzi dedicati ad Arthur Jelling (sette in tutto, pubblicati tra il 1940 e il 1944), un funzionario della polizia di Boston. Nello stesso periodo tenne una rubrica su Grazia: “La posta del cuore”, e collaborò con L’Ambrosiano, la Gazzetta del Popolo, il Resto del Carlino e il Corriere della Sera.
Nel 1943 si rifugiò in Svizzera, per tornare in Italia solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Da quel momento tornò di nuovo alla Rizzoli, come direttore del periodico Novella, fondò la rivista Bella, e collaborò anche con Annabella, curando la posta del cuore di tutte e tre. Fu grazie a queste esperienze così dirette e vicine al femminile e alle loro angosce, che riuscì a maturare il suo stile noir.
Ma cosa lo rende così particolare? Sicuramente la sua capacità di passare in maniera abile e sempre impeccabile tra più stili. Vedete, forse noi di 4Muses siamo troppo selettive e maniache della perfezione, lo ammettiamo, ma crediamo che un vero scrittore sia quello in grado di spaziare tra più generi. Scerbanenco è riuscito in modo eccellente nei generi: western, fantascientifico, rosa e soprattutto giallo.
Da amanti dei gialli, ormai conosciamo certe dinamiche, tanto che riusciamo a capire il colpevole da metà libro, ma con Scerbanenco non è andata così. Siamo rimaste letteralmente a bocca aperta e sorprese da come le nostre intuizioni si rivelassero sempre sbagliate.
Nei suoi romanzi ambientati in Italia, inoltre, possiamo respirare l’aria di una società anni Sessanta in pieno boom economico, eppure del tutto contraddittoria dall’immagine che ci è stata data. Scerbanenco, infatti, non la descrive spensierata, allegra, come siamo soliti pensarla ancora adesso. Effettivamente la rappresenta per com’era in realtà: cattiva, spietata, in piena ansia sociale, dove tutti cercavano un pretesto per emergere.
La mente è moderna, tanto da aver creato il personaggio Duca Lamberti, medico radiato dall’Ordine per aver praticato l’eutanasia su un paziente in stato terminale. A lui ha dedicato quattro romanzi, dal 1966 al 1969: “Venere privata”, “Traditori di tutti”, “I ragazzi del massacro”, “I milanesi ammazzano al sabato”.
Oltre a ricevere il successo italiano, nel 1968 “Traditori di tutti” vince il premio francese Grand prix de littérature policiére nella categoria: miglior romanzo straniero. Insomma, sappiamo bene quanto sia dura per l’Italia ottenere i riconoscimenti all’estero, soprattutto in Francia.
Di questi, “I ragazzi del massacro” e “Venere privata”, diventano dei film: il primo del 1969, sotto la regia di Fernando Di Leo; il secondo 1970, regia di Yves Boisset.
Nel 2018 viene pubblicato “L’isola degli idealisti”, romanzo scritto in gioventù e conservato dalla prima moglie Teresa Bandini. A lui è dedicato il Premio Scerbanenco per la letteratura poliziesca e noir, istituito nel 1993.
Scerbanenco muore il 27 ottobre 1969, è sepolto nel Cimitero Maggiore di Milano.
Nessun commento:
Posta un commento