venerdì 26 aprile 2024

#DivinaCommedia: Canto II - Purgatorio

Immagine presa dal web
Continua il nostro viaggio alla scoperta della Divina Commedia dal punto di vista esoterico.
Oggi analizziamo il secondo canto del Purgatorio. Ci troviamo ancora alla spiaggia, ma il canto è straordinario perché vedremo sia il primo Angelo, sia le prime anime, ora festanti perché viaggiano verso la salvezza.

Già questo canto ci pone davanti le grandi tematiche della cantica: l’amore verso gli amici, le differenze tra materia e spiritualità, fisica e metafisica; e infine la consapevolezza di essere arrivati in un punto del viaggio in cui non ci si può più fermare.

Al solito, vi ricordiamo che analizziamo il canto solo ed esclusivamente dal punto di vista esoterico, comparandolo con quello che è stato ed è il nostro cammino spirituale.
Questi articoli, insomma, servono solo come spunti di riflessione su noi stessi, dove ogni protagonista che incontriamo è una parte di noi
 
Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto
lo cui meridïan cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto;

e la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando soverchia;

sì che le bianche e le vermiglie guance,

là dov’i’ era, de la bella Aurora
per troppa etate divenivan rance.

A volte ci dispiace veramente tanto analizzare la Divina Commedia solo dal punto di vista esoterico, perché perdiamo la bellezza di certi versi che possiamo comunque vedere, anche se in maniera più superficiale.
In questa prima parte, che funge sempre da introduzione, Dante ci fa sapere che è il momento dell’alba, quando il cielo passa dal rosso, al bianco e poi al dorato.

A questo serve sia a farci capire lo scorrere del tempo, siamo partiti la notte del Giovedì Santo e ora è la domenica di Pasqua all’alba, sia a farci comprendere che più proseguiamo il cammino, più abbandoniamo la notte nera dell’anima.

Dante rende l’Aurora e la Notte delle vere e proprie persone, personaggi che in questo canto hanno come il compito di cambiare scenografia allo spettacolo che ci apprestiamo a guardare.

Noi eravam lunghesso mare ancora,
come gente che pensa a suo cammino,
che va col cuore e col corpo dimora.

Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
per li grossi vapor Marte rosseggia
giù nel ponente sovra ‘l suol marino,

cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia,
un lume per lo mar venir sì ratto,
che ‘l muover suo nessun volar pareggia.

Dal qual com’io un poco ebbi ritratto
l’occhio per domandar lo duca mio,
rividil più lucente e maggior fatto.

Poi d’ogne lato ad esso m’appario
un non sapeva che bianco, e di sotto

a poco a poco un altro a lui uscìo.


Mentre Dante sta guardando Marte all’orizzonte, ecco che gli appare un lumino – che col senno di poi spera di rivedere un giorno, poi capiremo il perché – e giusto il tempo di un attimo per distogliere lo sguardo e interrogare Virgilio su cosa sia, ecco che la luce si è avvicinata così tanto che appare più nitida e il nostro Poeta distingue due luci bianche molto vicine le une dalle altre. Una simboleggia le ali, laltra il vestito della Meravigliosa Creatura.

Lo mio maestro ancor non facea motto,
mentre che i primi bianchi apparver ali;
allor che ben conobbe il galeotto,

gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco l’angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.

Vedi che sdegna li argomenti umani,
sì che remo non vuol, né altro velo
che l’ali sue, tra liti sì lontani.

Vedi come l’ha dritte verso ‘l cielo,
trattando l’aere con l’etterne penne,
che non si mutan come mortal pelo».

Vediamo già un grande cambiamento in Virgilio rispetto a quando era la guida dell’Inferno: ora non risponde subito alle domande di Dante perché non sa cosa rispondere.
Virgilio rappresenta certamente la Guida Interiore che ci porta alla Salvezza, ma è solo la prima, quella ancora legata alla logica.
Ora il suo aiuto comincia a vacillare, sebbene quando riconosce l’Angelo davanti a loro sprona Dante a inginocchiarsi e a congiungere le mani, in segno di rispetto e devozione. È una logica non totalmente legata al materiale, che sa c’è molto altro fuori dal terreno, ma ancora non può comprenderlo all’istante. È una logica, però, che non ha superbia o orgoglio, quindi attende con fiducia di capire, prima di rispondere.    

E quando Virgilio comprende di stare davanti l
’Angelo, fa notare a Dante, umano che la barca non ha bisogno di alcun mezzo umano per procedere (quindi nessuna vela o remi) perché fanno tutti le ali, che si muovono rapidamente come solo una creatura divina può fare.
 
Poi, come più e più verso noi venne
l’uccell divino, più chiaro appariva:
per che l’occhio da presso nol sostenne,

ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
con un vasello snelletto e leggero,
tanto che l’acqua nulla ne ‘nghiottiva.

Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che faria beato pur descripto;
e più di cento spirti entro sediero.

‘In exitu Isrãel deAegypto’ 
cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo è poscia scripto.

Poi fece il segno lor di santa croce;
ond’ei si gittar tutti in su la piaggia: 
ed el sen gì, come venne, veloce.

Dobbiamo immaginare questa luce che si avvicina molto rapidamente e più lo fa, più la luminosità diventa così grande che è impossibile sostenerla con lo sguardo, infatti Dante abbassa per non accecarsi. Possiamo paragonarlo a quando proviamo a fissare il sole, non riusciamo se non per pochi secondi.

L’Angelo cocchiere siede a poppa, in estrema beatitudine, la nave procede velocemente, come stesse volando sull’acqua, mentre tutte le anime intonano il canto “Quando Israele uscì dall’Egitto”, che parla proprio di quando gli Ebrei si liberarono dalla schiavitù. Questo a significare che le anime sono ben liete di procedere verso il Purgatorio e continuare il loro cammino di salvezza. Aggiungiamo anche che ai tempi della Commedia questo era il canto che accompagnava i defunti all
inizio del rito funebre.

Arrivati alla spiaggia, l’Angelo li congeda con il segno della croce, e veloce come è arrivato, così riparte verso l’alto mare.

La turba che rimase lì, selvaggia
parea del loco, rimirando intorno
come colui che nove cose assaggia.

Da tutte parti saettava il giorno
lo sol, ch’avea con le saette conte
di mezzo ‘l ciel cacciato Capricorno,

quando la nova gente alzò la fronte
ver’ noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,
mostratene la via di gire al monte».

E Virgilio rispuose: «Voi credete
forse che siamo esperti d’esto loco;
ma noi siamo peregrin come voi siete.

Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
per altra via, che fu sì aspra e forte,
che lo salire omai ne parrà gioco».

L’anime, che si fuor di me accorte,
per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,
maravigliando diventaro smorte.

E come messagger che porta ulivo
tragge la gente per udir novelle,
e di calcar nessun si mostra schivo,

così al viso mio s’affissar quelle
anime fortunate tutte quante,
quasi oblïando d’ire a farsi belle.


Immagine presa dal web
Le anime appena arrivate si guardano attorno smarrite, non sapendo cosa fare. Vedendo Dante e Virgilio chiedono a loro la strada per arrivare al monte e la Guida risponde che sono pellegrini, arrivati poco prima del loro stesso sbarco. In più i due sono arrivati da un’altra via, più faticosa e dura che “salire il monte sarà come un gioco”.

Quello che non possiamo ancora sapere – perché lo vedremo procedendo con l’analisi del Purgatorio – è che il cammino verso la Salvezza dovrebbe iniziare proprio dalla vita terrena, perché una volta lasciato il nostro corpo sarà molto più facile per l’anima, più leggera, proseguire con la purificazione. Chi si pente in prossimità della sua morte avrà sì la possibilità di redimersi, ma con maggiori complicazioni.

Certo, questo concetto può valere per i credenti (consigliamo la visione del film Nosso Lar) ma per chi invece non lo è possiamo assicurare che prima si abbassa l’Ego, più si vivrà meglio. Dopotutto nessuno può avere la certezza di cose c’è dopo la morte, quindi tanto vale vivere per l’amore nel qui e ora.

Comunque, ad ascoltare le parole di Virgilio le anime si accorgono anche che Dante è un vivo e ne rimangono meravigliate al punto di dimenticarsi del proprio cammino.

Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi, con sì grande affetto,
che mosse me a far lo somigliante.

Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.

Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.

Soavemente disse ch’io posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.

Rispuosemi: «Così com’io t’amai
nel mortal corpo, così t’amo sciolta:
però m’arresto; ma tu perché vai?».

«Casella mio, per tornar altra volta
là dov’io son, fo io questo vïaggio»,
diss’io, «ma a te com’è tanta ora tolta?».


Tra le anime stupite, una si avvicina a Dante e l’abbraccia con così tanto affetto che il Poeta non può fare altro che ricambiare il gesto, anche se effettivamente abbraccia se stesso, perché l’anima non ha la consistenza di un corpo. Dante non riesce a capacitarsi da subito di questo, e infatti tenta l’approccio altre due volte (quindi tre in tutto), invano.
Chi sembra più dispiaciuto per ciò è proprio il vivo, infatti l’anima si allontana di poco da lui, sorridendo. Dante prosegue il cammino ed è lì che la persona ormai morta gli intima di fermarsi. È proprio dalla voce che Dante lo riconosce e gli prega di parlare un po’. Già capiamo che i due si conoscono e che molto probabilmente per Dante quello è un incontro desiderato da tempo.

L’anima gli dice forse le più belle parole che un amico può dire: “Così come ti amai quando avevo il corpo mortale, così ti amo ora che ne sono slegato: perciò mi fermo; ma tu perché fai questo cammino?” Già vi sentiamo: “Ma come, voi grandi fan della McLennon che non credete al ‘solo amici’ della Storia, ora definite questo rapporto come amicizia?’” Ci arriveremo.

Dante gli risponde chiamandolo per nome: Casella, e aggiunge che sta compiendo questo cammino proprio per poter tornare lì quando morirà. Questa risposta è anche nella spiegazione del perché desidera rivedere quella luce, un giorno: ora sa che nel momento della morte avrà uno dei due esseri sovrannaturali ad attenderlo, o Caronte, o l’Angelo nocchiero. Ovviamente si augura sia il secondo. Poi Dante chiede al grande amico come mai sia arrivato solo ora, e troviamo preoccupazione nel suo tono.

Di Casella sappiamo veramente poco, solo le parole che lo stesso Dante ha voluto riservargli. Scopriremo così che è stato un musico e che aveva messo in canti alcuni dei versi di Dante.

Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio,
se quei che leva quando e cui li piace,
più volte m’ha negato esto passaggio;

ché di gusto voler lo suo si face:
veramente da tre mesi elli ha tolto
chi ha voluto intrar, con tutta pace.

Ond’io, ch’era ora a la marina vòlto
dove l’acqua di Tevero s’insala,
benignamente fu’ da lui ricolto.

A quella foce ha elli or dritta l’ala,
però che sempre quivi si ricoglie
qual verso Acheronte non si cala».

E io: «Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l’amoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie,

di ciò ti piaccia consolar alquanto
l’anima mia, che, con la sua persona
venendo qui, è affannata tanto!».

‘Amor che ne la mente mi ragiona’
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona.

Lo mio maestro e io e quella gente
ch’eran con lui parevan sì contenti,
come a nessun toccasse altro la mente.


"Dante e Casella", Amos Cassioli 1860 circa
Casella calma l’amico, dicendogli che non è stato vittima di nessun oltraggio e spiega cosa accade alle anime destinate al Purgatorio quando muoiono: si radunano tutte alla foce del Tevere, in attesa dell’arrivo dell’Angelo. I tempi di attesa dipendono direttamente dalla volontà Divina, perciò non ha nulla da temere. Quanto abbia aspettato Casella, però, non possiamo saperlo. Del perché si sia scelta la foce del Tevere possiamo dedurre che sia per via della città santa di Roma, che alla fine dei tempi accoglie tutti i pentiti ed è la prima, con il suo fiume, a trasportarli verso la purificazione.

Rinfrancato, Dante chiede al musico di allietare la sua anima con una sua canzone, proprio come faceva quando erano in vita. Usa la parola “doglie” (secondo altri “voglie”) e noi ci rendiamo effettivamente conto di quanto fosse stato importante Casella per lui: era l’unica persona che riusciva a distrarlo dai suoi tormenti. Sappiamo quanto ha sofferto Dante prima dell’esilio e soprattutto dopo. Chissà se mettendo Casella qui, se scrivendo di lui in un periodo più che nero, si sia sentito un pochino meglio.

Casella inizia a intonare le note del primo verso della seconda canzone del Convivio: “Amor che la mente mi ragiona”, che Dante dedica alla “donna gentile” in riferimento alla stessa filosofia. È proprio questa ad acquietare l’animo umano da ogni tumulto egoico. È un amore metafisico, quello filosofico, perché troviamo in lei molto di più di quello che i cinque sensi ci comunicano sul mondo. Ecco perché ci sentiamo di relegare il rapporto tra Dante e Casella a quello di amici: non vi è nulla di passionale, nulla di tangibile; è un amore grandissimo che ha sempre riguardato le loro anime e che non finisce neanche con la morte.
 
Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?

qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
ch’esser non lascia a voi Dio manifesto».

Come quando, cogliendo biado o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,

se cosa appare ond’elli abbian paura,
subitamente lasciano star l’esca,
perch’assaliti son da maggior cura;

così vid’io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,
com’om che va, né sa dove rïesca;

né la nostra partita fu men tosta.

Mentre sono tutti catturati dalla voce di Casella, una voce tuona; è quella di Catone che li rimprovera, dando loro dei pigri. Devono sbrigarsi a salire il monte, a togliersi la dura scorza che impedisce di vedere Dio.
Le anime si agitano, hanno paura, proprio come i piccioni quando sono intenti a beccare a terra e improvvisamente qualcuno li scaccia via con un rumore grave. A questa scena non sono di meno Dante e Virgilio, che per la prima volta vengono trattati esattamente come le anime.

Perché?

Lo troviamo abbastanza chiaro: se prima eravamo solo spettatori dei nostri peccati, senza mai identificarci con essi, ora dobbiamo essere i primi responsabili delle nostre azioni. Non possiamo più ignorare la pigrizia, né di perdere tempo con i piaceri che ci distolgono dal nostro obiettivo.
Se all’Inferno le anime erano per lo più statiche, con movimenti lenti e lamentosi, ora è tutta una questione di movimento.

Pensiamo proprio all’immagine dell’acqua di ruscello: è fresca e pura perché in perenne corsa, ma se l’arrestassimo quella stessa acqua diverrebbe stagnante con il passare del tempo. Così accade per la nostra anima. Dopo aver visto con i nostri occhi l’Inferno è bene ricordarci che lì andremo, se non proseguiremo con il lavoro interiore che adesso è più pratico che teorico.

Da qui in poi, infatti, conteranno i fatti e non le parole.

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