Certo, Mainetti ha ammesso di non essere molto ferrato sul reparto costumi, ma ha prestato attenzione al colore, a come inserire il personaggio nel contesto e come il suo colore si debba staccare (o unire) dal fondo. Per Freaks Out, ammette, è stato come lavorare alla costruzione di un quadro, in equilibrio tra risvolto cinematografico e forza simbolica. Tutta questa operazione è stata come mettere in scena una danza, dove tutto deve cooperare alla riuscita del progetto. Uno dei vantaggi di Mainetti è il fatto che viene dal teatro, ragiona quindi su come muovere i soggetti sulla scena. Non si affida solo al montaggio, non fa muovere solamente la macchina tra primi piani e corpo intero, no, lui fa muovere tutto in simbiosi. Le opzioni di regia sono tre: o si muove la ripresa, o si muove l’attore o si muovono entrambi con le varie distanze. In Freaks Out, Mainetti ha fatto sì che tutto riuscisse alla perfezione e grazie alla pandemia i tempi si sono rallentati, così da lavorare con la dovuta calma. Riguardo il livello di apprezzamento che ha percepito della pellicola, ha ammesso:
Nel film ci sono diverse citazioni, tra cui “Guerrieri, giocate a fare la guerra” (da “I guerrieri della notte”, 1979). Le generazioni più giovani potrebbero non capire i riferimenti, però funzionano lo stesso. In sostanza si gioca con lo spettatore che appartiene a quel periodo storico, si copia e si fa proprio l’immaginario di un altro, senza perdere la propria voce. Anche se si prendono degli spunti, tutto deve essere organico nella narrazione.
Per
il casting, Mainetti ha fatto fare i provini anche agli attori importanti.
Claudio Santamaria, ad esempio, non è stato selezionato di default, così come
Giorgio Tirabassi e Pietro Castellitto.
“Ci si sceglie insieme [attore e regista] e l’attore sta sul set perché si è sentito scelto, non perché è famoso. L’attore famoso presente senza provino potrebbe sabotare il suo stesso lavoro. L’attore deve respirare tutta la scena.”
Anche
sul rapporto generale con gli attori è stato molto chiaro:
“È viscerale, ho fatto l’attore per quindici anni, quindi penso di intuire quali sono le problematiche di ogni attore o almeno mi sforzo di capirle. Per Freaks Out ho scelto di ritirarci in una casa di campagna per una settimana in cui abbiamo lavorato sull’ improvvisazione e sulla ricerca del personaggio. È un qualcosa che non si fa quasi mai.”
Nel pubblico erano presenti molti ragazzi che vogliono intraprendere una carriera legata al mondo del cinema e il consiglio di Mainetti è stato quello di fare un passo alla volta, fino a scendere a patti con la propria parte più oscura. Un giovane regista deve imparare il proprio limite, tra quanto c’è di proprio e quanto è fruibile, perché il cinema italiano è troppo spesso caduto nel tranello di raccontare i fatti propri. Questo è sfidare il cinema italiano. Invita i giovani a non spaventarsi di fare qualcosa, se ne devono fregare se qualcosa viene male e fare ciò che più apprezzano, anche se possono creare all’inizio stupidaggini. A vent’anni, dice, si può osare, si può giocare, mentre arrivati ai quaranta ecco che iniziano i paletti autoimposti.
“Dovete divertirvi, fare anche le cose più stupide ma più libere, perché nella libertà sei tu che scegli che raccontare e capirai chi sei. Tu sei le storie che racconti.”
L’Heroes Film Festival ha deciso di premiarlo per il coraggio e l’ostinazione con la quale seguita a sfidare il cinema italiano, per la passione contagiosa che sa trasmettere a tutte le maestranze e noi non possiamo che esserne pienamente d’accordo.
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