Il romanzo è del 1995, ma ambientato del passato, nel decennio precedente. Non mancano, però, vari flashback, fino ad arrivare alla guerra sino-giapponese. (1937-1945)
“Quando non si ha niente da fare, i pensieri vagano sempre più lontano. E quando si sono allontanati troppo, poi non si riesce più a seguirli.”
Toru Okada ne è il protagonista principale, tanto che i fatti sono raccontati dal suo personale punto di vista. A interrompere ogni tanto i suoi ricordi abbiamo le vicende della moglie Kumiko, di May Kasahara, sua vicina di casa, del Tenente Mamiya, di Malta e Creta Kano e di Nutmeg Akasaka, che raccontano a Toru il loro passato, o lo fanno entrare nei loro pensieri attraverso lettere o sogni.
Vi abbiamo già accennato che la lettura non è facile, e meno lo è farne una recensione, provarvelo a descrivere. Viviamo in un Giappone anni Ottanta, che ha vissuto la guerra contro la Russia e che ha lasciato i suoi strascichi più o meno consci su ogni protagonista. Anche chi non ha vissuto quegli anni vive in una sorta di condizionamento riflesso, forse per un fattore di vita precedente, o come direbbe Jung per l’inconscio collettivo.
“Mi domando se sia realmente possibile capire perfettamente un’altra persona. Anche quando ci sforziamo di conoscere qualcuno mettendoci tutto il tempo e la buona volontà possibili, in che misura possiamo cogliere la sua vera natura? Sappiamo ciò che è veramente essenziale riguardo a quell’altro che siamo convinti di comprendere tanto bene?”
Per noi Murakami batte molto su quest’ultimo, facendoci notare che la nostra storia personale è profondamente legata a quella di qualsiasi altra persona. Il nostro partner, il nostro vicino di casa, persino un anziano signore che irrompe nella nostra vita per una conoscenza in comune, ogni persona che orbita attorno alla nostra gravità, ha un legame profondissimo con il nostro essere.
“Mi sono sempre sentito come un guscio vuoto. E quando uno vive come un guscio vuoto, per quanto lunga sia la sua vita, non si può dire che abbia veramente vissuto. Dal cuore e dal corpo di un guscio vuoto, nasce solo la vita di un guscio vuoto.”
Il pozzo, metafora dell’inconscio più profondo, è la lettura chiave dell’intero romanzo. Toru si cala nel suo profondo per parecchi giorni, lontano da tutto e da tutti, circondato solamente dal buio e dal silenzio. La paura che lo attanaglia inizialmente, lascia il posto alla voglia sempre più grande dell’esperienza della sua analisi interiore. Nell’oscurità più remota della sua anima, Toru riprende in mano la sua vita, incontra persone singolari e vive da un altro punto di vista.
Se all’apparenza c’è la classica freddezza nipponica, che non ammette di confidarsi molto con persone sconosciute lontane dal proprio ambiente famigliare, in realtà ogni personaggio si apre al prossimo su livelli così alti da essere lontanissimi da quelli del materiale.
“L’uccello che girava le viti del mondo” è il classico romanzo che va letto e riletto più volte, senza farsi spaventare dalla lunghezza (ben 832 pagine) né dalle scene troppo complesse. Che ci mettiate una settimana o qualche mese per finirlo, non è importante. L’importante è fare in modo che l’enorme lezione in esso contenuta, si faccia strada e germogli dentro di voi.
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