venerdì 23 settembre 2022

#Arte: Colazione sull'erba

C’è un tempo e un luogo per ogni cosa” intimava il Professor Oak nei primi giochi Pokèmon se provavamo a utilizzare la bicicletta nei momenti meno opportuni. Questa frase è davvero iconica e può benissimo essere applicata anche all’arte. Pensate al fatto che Manet, il pittore francese che visse tra il 1832 e il 1883, venne aspramente criticato per la sua pittura a macchie, per poi diventare il padre dell’Impressionismo, la corrente pittorica dove veniva data larga importanza alla luce, con pennellate “picchiettate” e veloci in modo tale che il quadro acquistasse un senso se visto a una certa distanza. Tempi precoci? Paradossalmente, Manet non partecipò a nessuna mostra Impressionista e, anzi, il termine venne coniato solo in seguito con un’opera di Claude Monet: “Impression. Soleil Levant”. Critiche e scandali accompagnarono la produzione artistica di Manet, ma il vero scalpore ci fu con una delle sue opere più famose: “Colazione sull’erba” (“Le Déjeuner sur l’herbe”), un olio su tela realizzato tra il 1862 e il 1863 e oggi conservato nel museo d’Orsay di Parigi.

giovedì 22 settembre 2022

#Arte: Laocoonte e i suoi figli

Nella storia dell’Eneide, la fiducia nel prossimo non è che fosse una cosa così scontata, e lo sapeva bene Laocoonte. Nell’articolo di oggi parleremo dell’opera “Laocoonte e i suoi figli” (abbreviato poi in “Gruppo del Laocoonte”). Situata presso i Musei Vaticani, si tratta probabilmente di una copia di una versione del 150 a.C. di tre scultori: Agesandro, Atenodoro e Polidoro. Viene citata per la prima volta da Plinio il Vecchio, che la descrive presso l’abitazione dell’imperatore Tito (decimo imperatore romano). 

Ma perché si parla di “copia”? Se ci rifacciamo sempre al trattato di Plinio, l’autore scrisse: “Nel Laocoonte, che è nel palazzo dell'imperatore Tito, opera che è da anteporre a tutte le cose dell'arte sia per la pittura sia per la scultura. Da un solo blocco per decisione di comune accordo i sommi artisti Agesandro, Polidoro e Atenodoro di Rodi fecero lui e i figli e i mirabili intrecci dei serpenti.” L’opera mostra come non si possa parlare di un solo blocco di marmo, ma di più pezzi composti insieme. Vediamo insieme la storia di Laocoonte e l’opera che potete trovare all’interno della Città del Vaticano.

#Musica: Il niente

Nell’articolo “Non abbiamo armi” abbiamo parlato di quanto possa essere pericoloso il niente. Momenti di silenzio, di vuoto, di nulla, alla lunga ci uccidono, anche se in apparenza rimaniamo vivi. Ci trasciniamo come zombie, rischiando di diventare cinici e insofferenti, o talmente frustrati da sentire il bisogno di commentare in maniera negativa qualsiasi post sui social. Ammettiamolo: lo abbiamo fatto tutti, o comunque potremmo farlo.

Mentre stavamo scrivendo l’articolo sulla canzone di Ermal Meta, ci è tornata in mente la frase di Marco Masini: “Bisogna imparare ad amare anche il niente”, perché in effetti i momenti di niente arrivano, e forse l’unico modo per passarli indenni è proprio quello di imparare ad amarli.

Ecco perché oggi vogliamo parlarvi di questo brano, Il niente, appunto, scritto assieme a Giancarlo Bigazzi e Giuseppe Dati. È contenuto nell’album “Malinconoia”, pubblicato nel 1991. Un album già di per sé forte, lo si evince dal titolo, che unisce i due termini: “malinconia” e “paranoia” e in effetti ogni testo presente ci fa scavare meglio nel nostro dolore, proprio per trovare la cura adatta alla nostra vita.

P.s. per entrare meglio nel brano, vi consigliamo la lettura durante il suo ascolto, perché la musica aiuta a percepire meglio i cambi d’umore qui presenti. Ovviamente il tutto è una nostra interpretazione.

mercoledì 21 settembre 2022

#Pensieri: L’estate che non è mai arrivata

The seed of autumn in my mind
(Chicane & Justine Suissa, Autumn tactics)


Il 21 giugno è la data che ha dato formalmente inizio all’estate, ma come mai anche dopo che è finito agosto, io ancora non l’ho sentita?

Sarà forse cambiata la mia sensibilità, sarà che il disincanto si accumula anno dopo anno, o sarà semplicemente che sono cresciuto.

#Costume&Società: Radici

Banalità che si dicono senza rendersene conto, espressioni che lì per lì proferiamo, ma che riflettendoci, non hanno senso.

Alberi immobili, magari secolari, destinati dalla natura a crescere e morire nello stesso posto in cui sono nati.

Ma per gli esseri umani? Il Creatore, a quanto pare, ci ha dotati di gambe, delle facoltà di apprendimento e di adattamento.

Ecco dire: “Io non posso allontanarmi da qui, qui ci sono le mie radici”, è sicuramente un’espressione mortificante per la natura umana e una scusa per mascherare la paura dell’ignoto.

Ma non interpretate male queste parole, questa non è di certo una critica verso chi sceglie di crescere e vivere consapevolmente in un luogo, né verso le persone che hanno scelto per vocazione di restare dove sono sempre state.

Ovviamente neanche si deplora l’esperienza accumulata in un luogo e l’importanza che quel posto ha rivestito per l’individuo.

Questo articolo si pone invece come analisi di un problema radicato nel timore dell’ignoto.

martedì 20 settembre 2022

#Cinema&SerieTV: Crimes of the future

Da diverse settimane è disponibile nei cinema italiani il film “Crimes of the future”. Il regista della pellicola è David Cronenberg, divenuto una figura cardine nella storia del genere horror-fantascientifico.

La seguente recensione è esente da spoiler significativi, per cui può essere letta sia da chi deve ancora vedere il film e sia da chi l’ha visto. In entrambi i casi, questa recensione fornisce allo spettatore ulteriori chiavi interpretative.

Il mondo in cui si svolgono gli eventi del film sembra essere un futuro a tratti distopico, un futuro dalle sfumature attuali in cui lo spettatore viene subito immerso.

Dal film, infatti, emergono molteplici tematiche, spesso correlate tra loro, sulle quali lo spettatore contemporaneo può riflettere, quali: l’estetica, le arti performative, l’evoluzione, la bioetica, la chirurgia e l'immagine di sé.

#Libri: Le lupe di Pompei

Come erano trattati gli schiavi di Roma? Più o meno come noi trattiamo gli elettrodomestici.” Questa frase, di Alberto Angela, ci è rimasta impressa per interi anni. Non abbiamo mai giudicato i comportamenti umani del passato, soprattutto se risalgono a più di duemila anni fa, ma la sensazione nel leggerla ci ha gelate, marcandoci esattamente come quando vediamo i documentari sui campi di concentramento. È normale connettersi maggiormente con quanto accaduto negli anni quaranta del Novecento, avendo diverse fonti storiche: visive e orali; sono sotto ai nostri occhi costantemente, soprattutto se vive nelle grandi città e sopratutto se si ha avuto la fortuna di ascoltare i fatti direttamente da chi li ha vissuti.

Da romani – anche se due di noi sono siciliani, ma sappiamo bene quanto il nome di Roma appartenga un po’ a tutti su questo spicchio di pianeta – assaporiamo la storia a trecentosessanta gradi, ma è davvero difficile tastare con mano quello che è accaduto, soprattutto quando si tratta della vita degli schiavi.

Fortunatamente la Fazi Editore ci ha dato l’opportunità di leggere in anteprima il romanzo di Elodie Harper: “Le lupe di Pompei”, da oggi disponibile in ogni libreria. Abbiamo ancora addosso gli odori, i sapori, i rumori di una sudicia, quanto ricca, Pompei.