martedì 10 dicembre 2024

#Pensieri: Abitare la città. La guida per viverci bene

I smell the trees when I’m in Colorado,
Interior gas station McDonald’s
I left my cellphone dead at the house
I see the stars when the sun goes down

(100 Gecs, “757”)
 
Iniziare un articolo con una citazione tratta da un brano hyperpop potrebbe bastare per invalidarne il contenuto, o peggio, trasmettere ai posteri la terribile carenza di gusto mia e dei miei contemporanei.
Ebbene, per quanto possiate giudicare il gusto in generale (Kant, salvami tu), non potete negare la mia predisposizione da esteta nel senso più ampio. Che sia io artista, critico, filosofo o flâneur; studio le modalità dell’apprezzamento soggettivo di un’esperienza, e per “soggettivo” intendo “mio”, senza necessarie (ma non del tutto escluse) vocazioni accademiche.

Attraverso questa mia predisposizione, tuttavia, non posso limitarmi a teorizzare sul generale (per quanto vorrei farlo) e devo fornire l’esperienza concreta entro la quale il mio pensiero possa manifestarsi (più o meno) chiaramente agli occhi altrui.

Vi chiedo tuttavia di abbandonare ogni pregiudizio, di ascoltarmi con mente e cuore.
Quello di cui tratterò oggi è un concetto terribilmente profondo, qualcosa difficile da maneggiare e pressocché concepire.
Si tratta di abitare la propria città, atto corredato al sentirsi cittadini.

Che pretese posso avere io, cresciuto in provincia? Nell’arco di cinque anni ho vissuto a Roma per periodi abbastanza consistenti, eppure che saranno mai cinque anni nei confronti di chi ha vissuto qui una vita?
Spesso mi sono sentito uno straniero, un turista che rimane in un luogo più a lungo del necessario.

Tuttavia, teorizzo che esistano alcune esperienze limite, non necessariamente piacevoli, che permettono di transitare dallo stato di “turista” (o “straniero”) a quello di “abitante di lunga data (non necessariamente residente)”.

Parliamo allora di questa transizione, analizzando non solo l’esperienza limite, ma introducendo anche i luoghi (e i non-luoghi) entro i quali è più probabile che tale esperienza emerga.

Il centro storico di Roma rende improbabile (non per questo impossibile) che tale esperienza emerga e prenda forma. Il centro storico è per definizione turistico, per i non residenti è quasi impossibile non sentirsi turisti in tale luogo. Le attrazioni del centro storico rimandano a una bellezza idealizzata di Roma, una bellezza che ha radici nell’antichità e che ancora perdura.
Come può un estraneo (con un minimo di sensibilità) non provare una sensazione sublime dinnanzi a tali vestigia del passato? La meraviglia è simile a quella di un infante che si approccia alla vita. Non solo, gli stessi abitanti di Roma, a un livello elevato di consapevolezza che va al di là della routine, potrebbero sentirsi turisti in determinati luoghi.

Vi è un certo grado di separazione fra la nostra contemporaneità e la grandezza della storia narrata da certi luoghi.

Da questo punto di vista è troppo facile attribuire il senso, laddove il senso è stato stratificato nella storia.
Questo senso, prefabbricato, precostituito, già pronto al consumo, crea una comprensione migliore dell’oggetto (la città, il centro storico), ma allo stesso tempo una separazione (appunto ci rende turisti in un luogo di significati stratificati).

L’esperienza limite, dunque, nasce spontaneamente nei luoghi del quotidiano, quelli della storia “più piccola” ma più vicina alla nostra realtà. Non solo, tanto più risulta anonimo e privo di significato il luogo in cui essa avviene, tanto più l’esperienza limite emergerà con violenza. Almeno in quel momento, emergerà anche la possibilità che uno straniero di lunga data si senta finalmente un cittadino.

Come abbiamo già anticipato, per fare tale esperienza, il senso deve essere costruito da zero ed è più semplice laddove il senso sia carente.
Potrebbero esserci numerosi esempi, ma voglio esporvi uno dei più discutibili, proprio per via della sua apparente insignificanza.
Darsi appuntamento a mezzanotte in un fast-food dietro una stazione di benzina in una strada anonima. Entusiasmo immotivato, un incontro proibito e segreto che non ha motivo di essere organizzato. Detto questo, analizziamo il caso specifico.

Vivere a pieno la città, significa anche accoglierne i contrasti, apprezzarla anche laddove la storia deve essere ancora scritta.
Trovare qualcuno che accolga questa idea e vi aiuti a tramutarla in esperienza permette di costruire una storia e un significato condiviso in quello che potrebbe essere un “non-luogo”. Non sarà più un fast-food anonimo dietro una pompa di benzina, ma sarà il fast-food dove abbiamo riso del fatto stesso di esser lì, dove il non-senso, attraverso l’esperienza, assume un significato. Diventa un luogo improvvisato di convivialità e condivisione.

Badate bene che sto parlando di qualcosa di programmato, ma l’esperienza limite non deve essere necessariamente programmata. Potrebbe essere frutto di uno scherzo del caso, sorgendo come qualcosa che non ha semplicemente motivo di essere. Il significato costruito a posteriori, riflettendo sull’esperienza stessa, può valere a qualificarla come esperienza limite e dunque portarci all’idea di una rinnovata appartenenza alla città.
Vi invito dunque ad accogliere tali esperienze, farle vostre e (ri)scrivere il (vostro) senso dei luoghi.

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