Non ricordo quando ho letto “La distanza tra le stelle”, romanzo d’esordio di Lily Brooks-Dalton del 2016, ma rientra tra quelli che più mi hanno fatta sognare, e sicuramente ha fatto sognare George Clooney, visto che nel 2020 ha diretto e interpretato “The Midnight Sky”, suo adattamento cinematografico.
Con il suo tema fantascientifico, ma anche con una storia d’amore – prima di tutto verso noi stessi – “La distanza tra le stelle” invita a riflettere su quello che è davvero importante nella nostra vita.
Augustine è un astronomo che allo studio delle stelle ha dedicato tutto se stesso, sacrificando ogni aspetto della sua vita. Il telescopio è stato il suo unico e fedele compagno di viaggio, e se da giovane gli è stato facile trasferirsi nell’Artico per studiare il cosmo, all’avvicinarsi della vecchiaia senza una famiglia, un amico ma soprattutto senza aver conosciuto il vero significato dell’amore, si chiede se tutto questo ne sia valsa davvero la pena.
Un pensiero del genere è tossico, perché non fa altro che intrappolarci nei rimorsi e nei rimpianti, ma a volte la vita ci mette davvero faccia a faccia con noi stessi, e per Augustine accade quando scatta un allarme e tutti gli scienziati sono richiamati a casa. Lui, chiedendosi quale sia davvero la sua casa, rifiuta di seguirli: ormai gli manca poco alla morte, e preferisce attenderla sotto il manto delle sue amate stelle, piuttosto che in un luogo sicuro ma a lui sconosciuto.
Dall’altra parte, letteralmente, Sully, come Augustine, ha sacrificato la tua intera esistenza per diventare astronauta. Niente amici, amori, o famiglia, ma un’unica certezza: sarà ricordata in eterno sulla Terra come il primo essere umano ad aver raggiunto l’orbita di Giove, nella missione Aether. Quando le sembra di aver toccato l’apice dell’esistenza, e a un passo dal ritornare sul suo pianeta, le comunicazioni con la base si interrompono. Sully è completamente sola, nel silenzioso e buio Universo. Tutto ciò che può fare è lanciare un SOS, senza alcuna certezza che questo verrà ascoltato. Eppure, qualcuno lo fa, e risponde…
Sully e Augustine: due vite così distanti in spazio e tempo, eppure così vicine. Due caratteri che non hanno esitato a vivere da eremiti per assecondare l’impulso della conoscenza, in quella linea sottile che fa da confine tra il genio e la follia. A pochi secondi dalla fine, però, la domanda se ne è valsa la pena attende il responso finale, che ovviamente non starò qui a scrivere.
Posso, però, dire la mia, secondo la mia esperienza di vita e di come ho percepito il libro.
Sì, ne vale sempre la pena. Credo che questo valga per chiunque, tutti noi abbiamo la fiamma interiore che ci spinge a fare qualcosa ed essere in un modo, assecondarla è l’unico modo per vivere in uno stato di pace e serenità, anche se queste sensazioni non sono esenti dall’essere interrotte da dubbi che partono tutti con un “E se…?” Ma se siamo davvero centrati sui noi stessi, la risposta è sempre e solo una: “Non sarei come sono”. Certo, non possiamo sapere se meglio o peggio, ma la certezza di aver vissuto per come si è, mette a tacere qualsiasi altra provocazione.
Con il suo tema fantascientifico, ma anche con una storia d’amore – prima di tutto verso noi stessi – “La distanza tra le stelle” invita a riflettere su quello che è davvero importante nella nostra vita.
Augustine è un astronomo che allo studio delle stelle ha dedicato tutto se stesso, sacrificando ogni aspetto della sua vita. Il telescopio è stato il suo unico e fedele compagno di viaggio, e se da giovane gli è stato facile trasferirsi nell’Artico per studiare il cosmo, all’avvicinarsi della vecchiaia senza una famiglia, un amico ma soprattutto senza aver conosciuto il vero significato dell’amore, si chiede se tutto questo ne sia valsa davvero la pena.
Un pensiero del genere è tossico, perché non fa altro che intrappolarci nei rimorsi e nei rimpianti, ma a volte la vita ci mette davvero faccia a faccia con noi stessi, e per Augustine accade quando scatta un allarme e tutti gli scienziati sono richiamati a casa. Lui, chiedendosi quale sia davvero la sua casa, rifiuta di seguirli: ormai gli manca poco alla morte, e preferisce attenderla sotto il manto delle sue amate stelle, piuttosto che in un luogo sicuro ma a lui sconosciuto.
Dall’altra parte, letteralmente, Sully, come Augustine, ha sacrificato la tua intera esistenza per diventare astronauta. Niente amici, amori, o famiglia, ma un’unica certezza: sarà ricordata in eterno sulla Terra come il primo essere umano ad aver raggiunto l’orbita di Giove, nella missione Aether. Quando le sembra di aver toccato l’apice dell’esistenza, e a un passo dal ritornare sul suo pianeta, le comunicazioni con la base si interrompono. Sully è completamente sola, nel silenzioso e buio Universo. Tutto ciò che può fare è lanciare un SOS, senza alcuna certezza che questo verrà ascoltato. Eppure, qualcuno lo fa, e risponde…
Sully e Augustine: due vite così distanti in spazio e tempo, eppure così vicine. Due caratteri che non hanno esitato a vivere da eremiti per assecondare l’impulso della conoscenza, in quella linea sottile che fa da confine tra il genio e la follia. A pochi secondi dalla fine, però, la domanda se ne è valsa la pena attende il responso finale, che ovviamente non starò qui a scrivere.
Posso, però, dire la mia, secondo la mia esperienza di vita e di come ho percepito il libro.
Sì, ne vale sempre la pena. Credo che questo valga per chiunque, tutti noi abbiamo la fiamma interiore che ci spinge a fare qualcosa ed essere in un modo, assecondarla è l’unico modo per vivere in uno stato di pace e serenità, anche se queste sensazioni non sono esenti dall’essere interrotte da dubbi che partono tutti con un “E se…?” Ma se siamo davvero centrati sui noi stessi, la risposta è sempre e solo una: “Non sarei come sono”. Certo, non possiamo sapere se meglio o peggio, ma la certezza di aver vissuto per come si è, mette a tacere qualsiasi altra provocazione.
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