mercoledì 24 agosto 2022

#Pensieri: Sul concetto di musica


“Son dolci le melodie udite, ma più dolci ancora sono quelle non udite”

(John Keats, Ode a un’urna greca)

È estate, immaginatevi sdraiati e rilassati dove riuscite a sentirvi a vostro agio e… anzi no, è una stagione qualsiasi e state in una posizione qualunque, l’importante è che vi immaginiate con delle cuffie mentre ascoltate musica. Bene, ora scegliete degli artisti, dei generi musicali o un insieme di brani da scoprire.

Passa un pomeriggio intero, le vostre orecchie forse stanno chiedendo pietà ma la vostra voglia di ampliare la vostra cultura in fatto di musica è ancora persistente. E allora continuate, scoprendo nuovi dettagli, alla ricerca di qualcosa che non sapete bene neanche voi cosa sia. E allora cercate quel qualcosa tra le pagine di Wikipedia di artisti che non avete mai sentito nominare e tra le tracklist di compilation improbabili.

Quando sarà finita la giornata, forse potreste aver drasticamente ridotto in maniera irreversibile la salute del vostro apparato uditivo, ma sicuramente vi sentirete più arricchiti da informazioni che non interessano a nessuno se non a voi. Potrete dire qual è la canzone che preferite dell’artista che avete scoperto quel giorno stesso, oppure saprete spiegare a menadito le caratteristiche delle sonorità appartenenti a quello stile musicale di cui non avevate mai sentito parlare prima d’ora.

Comunque, sì, è tutto autoreferenziale e ho trascorso davvero delle giornate del genere. Ma non è oggi mia intenzione dirvi cosa ho appreso da una canzone, piuttosto vi parlerò di quello che ho imparato dal silenzio.

E sì, perché prima o poi, vuoi o non vuoi, le cuffie vanno posate e dopo un lungo lasso di tempo ti ritrovi in una realtà che scopri non essere mai silenziosa. Questo sempre escludendo acufene e mal di testa a parte, che potrebbero farvi visita per punire l’ingordigia delle vostre orecchie. Ma escluse percezioni distorte da malesseri temporanei, riuscirete a sentire in maniera diversa.

Soffermatevi, anche per solo brevi secondi, a tutto ciò che accade intorno a voi. Quando sto scrivendo questo articolo è piena notte e sento in lontananza le auto che sfrecciano, scandite dalle lancette dell’orologio presente in cucina.

La prima volta che invece pensai a fare ciò, avevo appena tolto le cuffie dopo una lunga sessione di ascolto, era estate e stavo in balcone. Ho sentito il cinguettare delle rondini seguito dal vento che soffiava leggero.

E poi qualche giorno seguente, mentre le mie orecchie erano ancora leggermente in hangover per le lunghe sessioni di musica, stavo passeggiando in un luogo dal soundscape immersivo. Il suono dell’acqua era dolce e lento. Così morbido e soffice, talmente armonico che provai la medesima sensazione di quando sentii il canto delle rondini dopo aver tolto le cuffie.

Era come se l’esperienza di ascolto della musica si fosse manifestata al di fuori della musica stessa. Era quell’orizzonte dell’esperienza che si coglie nell’arte ma che è presente anche altrove.


L’eterna sonata della natura

nel luogo incantato che presenzio,

qui vedo l’occulto senza premura,

qui sento la musica nel silenzio.

(Gianluca Boncaldo, endecasillabi sul silenzio)


Chissà quanti suoni non ho mai sentito, chissà quanti canti sono nascosti nel quotidiano.

Ogni fruscio delle foglie può accarezzare le orecchie, ogni auto che sfreccia in lontananza può dissiparsi in un suono nel vento, lo scrosciare dell'acqua esegue la sua enigmatica melodia. Cosa rimane della musica quando la musica finisce? Altra musica, altri strumenti che suonano inavvertitamente melodie che non siamo abituati a sentire.

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