Se si passa un giorno a Madrid e si è amanti dell'arte e dei musei, l'ardua scelta ricade su due musei: Il Museo Nacional del Prado e il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía.
Ora, la scelta è difficile, sì, ma il mio tempo nella città era limitato (avrei avuto il volo di ritorno per Roma dopo poche ore) e il Museo del Prado è conosciuto per essere uno dei musei più grandi del mondo, quindi purtroppo mi sono trovata a doverlo escludere dalle mie possibilità quasi subito.
Non fraintendetemi, per me il Reina Sofía non è stato affatto una seconda scelta; so bene che se avessi escluso questo museo l'avrei fatto altrettanto a malincuore.
Ora, la scelta è difficile, sì, ma il mio tempo nella città era limitato (avrei avuto il volo di ritorno per Roma dopo poche ore) e il Museo del Prado è conosciuto per essere uno dei musei più grandi del mondo, quindi purtroppo mi sono trovata a doverlo escludere dalle mie possibilità quasi subito.
Non fraintendetemi, per me il Reina Sofía non è stato affatto una seconda scelta; so bene che se avessi escluso questo museo l'avrei fatto altrettanto a malincuore.
Ubicato nell'antico Ospedale generale di Madrid - in effetti a vederlo ha l'aspetto di una struttura sanitaria -, l'edificio fu costruito originariamente nel settecento da Fernando Sabatini sotto il volere di Carlo Sebastiano di Borbone, conosciuto ai più con il nome di Carlo III di Spagna ma fu restaurato più volte: negli anni Ottanta da Antonio Fernández Alba e negli anni Novanta da Antonio Vázquez de Castro e José Luis Iñíguez de Onzoño.
Nel 1986 venne adibito a centro d'arte, ma solo due anni dopo prese il nome di "Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía", quando venne parzialmente aperto al pubblico con esposizioni temporanee. Il Reina Sofía come lo conosciamo oggi venne inaugurato solo il 10 Settembre 1992 e oggi la sua collezione è divisa in tre diverse esposizioni distinte per periodo storico: dal 1900 al 1945, dal 1945 al 1968 e dal 1962 al 1982.
Per motivi a me ignoti, parte della collezione era chiusa il giorno in cui ho visitato il museo e ho avuto modo di poter ammirare solo due delle collezioni presenti al suo interno, ma sono più che contenta di poter dire che una volta messo piede fuori da questo museo non potevo decisamente ritenermi insoddisfatta, anzi.
Nel 1986 venne adibito a centro d'arte, ma solo due anni dopo prese il nome di "Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía", quando venne parzialmente aperto al pubblico con esposizioni temporanee. Il Reina Sofía come lo conosciamo oggi venne inaugurato solo il 10 Settembre 1992 e oggi la sua collezione è divisa in tre diverse esposizioni distinte per periodo storico: dal 1900 al 1945, dal 1945 al 1968 e dal 1962 al 1982.
Per motivi a me ignoti, parte della collezione era chiusa il giorno in cui ho visitato il museo e ho avuto modo di poter ammirare solo due delle collezioni presenti al suo interno, ma sono più che contenta di poter dire che una volta messo piede fuori da questo museo non potevo decisamente ritenermi insoddisfatta, anzi.
Il Reina Sofía è famoso principalmente per le sue opere dal 1900 al 1945 (la Collezione 1), complice sicuramente di questa fama la presenza del famosissimo - leggendario, quasi - ed emblematico Guernica di Pablo Picasso.
Brividi. Solo così posso descrivere questa Collezione 1, e il motivo è molto semplice e piuttosto intuibile: qui sono racchiuse tutte le opere di uno dei periodi più bui e terrificanti della storia. "Uno dei", ma forse anche il periodo buio per eccellenza.
Che l'intento dei quadri sia quello di investigare sull'inconscio e sull'irrazionalità come succede nelle opere degli artisti Surrealisti e Dadaisti o che si voglia puntare al progresso e alla modernità come nei quadri Cubisti, le caratteristiche che accomunano i movimenti del Novecento sono la progressiva "morte" dell'arte figurativa così come si era sempre conosciuta e l'incessante ricerca di guardare oltre.
Che poi sia un "guardare oltre" alla parte conscia dell'essere umano o un "guardare oltre" sconosciuto
anche all'artista stesso, è un'altra storia.
"E per forza devi voler guardare oltre", mi dicevo io mentre camminavo per le ventidue stanze che mi hanno dato il benvenuto in questo museo, "se vivi negli anni della Prima Guerra Mondiale, della Guerra Civile Spagnola e della Seconda Guerra Mondiale, per sopportare il peso di questi anni e del terrore della vita che vivi - da persona più o meno privilegiata - ti credo che senti il bisogno di guardare oltre e di scomporre immagini, storpiarle, renderle irriconoscibili e talvolta inquietanti, devi pur andare avanti in qualche modo".Non me lo sono proprio riuscita a spiegare.
Ammirando i quadri di Joan Miró (che ho a cuore da sempre) o osservando con gli occhi lucidi gli studenti che ascoltavano le spiegazioni della loro professoressa davanti al Guernica (il cubismo non riesco proprio a farmelo andare giù) non mi riuscivo proprio a spiegare come si potesse vivere in un'epoca che annullasse così tanto il concetto di umanità da portare degli artisti a voler rendere i volti e le persone totalmente irriconoscibili anche nelle opere stesse.
Sarà banale e scontato magari; lo so bene che l'arte è lo specchio di un dato periodo storico, questo ragionamento fila liscissimo nel mio cervello ma converrete con me che ventidue stanze son tante così come son tante le opere da digerire.
Diciamo che non ero proprio lucidissima, ecco.
Brividi. Solo così posso descrivere questa Collezione 1, e il motivo è molto semplice e piuttosto intuibile: qui sono racchiuse tutte le opere di uno dei periodi più bui e terrificanti della storia. "Uno dei", ma forse anche il periodo buio per eccellenza.
Che l'intento dei quadri sia quello di investigare sull'inconscio e sull'irrazionalità come succede nelle opere degli artisti Surrealisti e Dadaisti o che si voglia puntare al progresso e alla modernità come nei quadri Cubisti, le caratteristiche che accomunano i movimenti del Novecento sono la progressiva "morte" dell'arte figurativa così come si era sempre conosciuta e l'incessante ricerca di guardare oltre.
Che poi sia un "guardare oltre" alla parte conscia dell'essere umano o un "guardare oltre" sconosciuto
Tête d'homme (Testa di un uomo), Joan Miró, 1935. |
"E per forza devi voler guardare oltre", mi dicevo io mentre camminavo per le ventidue stanze che mi hanno dato il benvenuto in questo museo, "se vivi negli anni della Prima Guerra Mondiale, della Guerra Civile Spagnola e della Seconda Guerra Mondiale, per sopportare il peso di questi anni e del terrore della vita che vivi - da persona più o meno privilegiata - ti credo che senti il bisogno di guardare oltre e di scomporre immagini, storpiarle, renderle irriconoscibili e talvolta inquietanti, devi pur andare avanti in qualche modo".
Ammirando i quadri di Joan Miró (che ho a cuore da sempre) o osservando con gli occhi lucidi gli studenti che ascoltavano le spiegazioni della loro professoressa davanti al Guernica (il cubismo non riesco proprio a farmelo andare giù) non mi riuscivo proprio a spiegare come si potesse vivere in un'epoca che annullasse così tanto il concetto di umanità da portare degli artisti a voler rendere i volti e le persone totalmente irriconoscibili anche nelle opere stesse.
Sarà banale e scontato magari; lo so bene che l'arte è lo specchio di un dato periodo storico, questo ragionamento fila liscissimo nel mio cervello ma converrete con me che ventidue stanze son tante così come son tante le opere da digerire.
Diciamo che non ero proprio lucidissima, ecco.
Sarò onesta, e onestamente vi dirò che della Collezione 2 che va dal 1945 al 1968 non mi ricordo molto, soprattutto perché mi ha dato il colpo di grazia.
Sapete com'è, anche la Guerra Fredda non è stato proprio un altro momento felicissimo della storia dell'umanità.
Sapete com'è, anche la Guerra Fredda non è stato proprio un altro momento felicissimo della storia dell'umanità.
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