venerdì 21 novembre 2025

#StorieRomane: Monte dei Cocci

Quando cinque anni fa abbiamo scritto di Testaccio, abbiamo accennato al suo monte dei Cocci, dal quale il rione prende il nome. È quindi giunto il momento di parlarne in maniera più approfondita con questo articolo.

La collina artificiale misura un’altezza di circa trentasei metri e una circonferenza di un chilometro. È composta da strati ordinati di cocci provenienti da oltre cinquantatré milioni di anfore di terracotta, per lo più utilizzate durante la Roma antica per il trasporto dell’olio d’oliva.
  
Tra il periodo augusteo e la metà del III secolo d.C., il luogo era utilizzato come discaricata organizzata per smaltire le anfore svuotate nel vicino porto fluviale dell’Emporium. Una volta svuotate, le anfore venivano frantumate e i cocci ricavati venivano accatastati in modo sistematico. Presenza di calce tra gli strati, suggerisce inoltre intelligenti misure per attenuare gli odori derivanti dai residui organici.

Per la sua funzione iniziale, Monte Testaccio rappresenta una preziosa fonte per lo studio del commercio romano. Ogni oggetto, si sa, è un testimone della storia e le anfore stesse, spesso contrassegnate con bolle del fabbricante e tituli picti, a oggi forniscono informazioni dettagliate sulla provenienza, il contenuto e la data di spedizione. Sappiamo così che la maggior parte di esse proveniva dalla Betica (odierna Andalusia) e dalla Bizacena (attuale Tunisia).

Con la dismessa a scarica, il monte ha assunto differenti funzioni. Nel Medioevo era teatro delle celebrazioni carnevalesche, poi divenne punto di arrivo per la Via Crucis del Venerdì Santo
Sia durante l’assedio di Roma del 1849 che durante la Seconda Guerra Mondiale, fu utilizzato come postazione militare.

A oggi il monte è visitabile solo tramite visite guidate, tutte organizzate dalla Sovraintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

Il monte è facilmente raggiungibile scendendo alla fermata della metro B Piramide e con una piccola passeggiata di quindici minuti circa.

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