Dopo tanto tempo finalmente sono riuscita a fare una piacevole chiacchierata con i ragazzi di Orefilm/Colliwood, realtà nota a chi è particolarmente interessato alle produzioni e al cinema indipendenti. La loro missione è proprio quella di sostenere il cinema indipendente come forme d’arte e strumento di espressione libera, fuori dalle logiche commerciale. Per questo sono focalizzata sul costruire una comunità creativa dove il cinema parte dal basso, in modo sostenibile, condiviso e particolarmente umano.
Orefilm/Colliwood nasce con l’obiettivo di dare voce a un cinema libero, artigianale e radicato nella ricerca espressiva. Si occupa della produzione di film, cortometraggi d’autore e progetti audiovisivi a basso budget ma ad alto impatto creativo, posizionandosi come un vero e proprio laboratorio di idee, dove il racconto viene prima del mercato.
Fondata da un collettivo di filmmaker alternativi uniti dalla passione per il linguaggio cinematografico, Orefilm/Colliwood promuove una visione anticonformista, lontana dai modelli industriali. Ogni progetto nasce dal desiderio di esplorare territori narrativi autentici, portando alla luce storie che raramente trovano spazio nei circuiti mainstream.
Il nome “Colliwood” nasce dall’unione tra il quartiere Colli Aniene e la passione per il cinema: una definizione ironica ma identitaria, che rivendica uno spazio creativo diverso dai grandi studi, ma ricco di idee, talento e visione.
Orefilm/Colliwood crede in un cinema “fatto a mano”, dove ogni scelta – dal casting alla fotografia, dalla scrittura al montaggio – è frutto di collaborazione, passione e libertà creativa. La casa di produzione valorizza il territorio, le location e i talenti locali, costruendo una rete artistica e umana in grado di realizzare prodotti competitivi con i low-budget.
Punto di riferimento per chi cerca un approccio indipendente, etico e collettivo alla produzione cinematografica, Orefilm/Colliwood porta avanti una visione che unisce impegno culturale e sperimentazione visiva.
Ciao ragazzi! Innanzitutto grazie per il vostro tempo e la disponibilità di chiacchierare un po’ con noi di 4Muses. Al solito, inizio con chiedervi come e perché avete scelto la strada del cinema e poi della produzione…
Il cinema è tra i nostri primi amori, assieme alla musica. Siamo sempre stati compatibili, sia a livello musicale, sia a livello spettatoriale, non ci spaventano gli “autori” e le loro sfide intellettuali e non ci mettiamo a giudicare chi fa cinema di serie B o peggio. Anzi nel trash abbiamo sempre trovato intuizioni interessanti da approfondire. Il mainstream spesso finisce per essere troppo accademico, il cinema “brutto e povero” sfida le convenzioni, è creativo perché deve superare i limiti imposti dal basso budget e non si formalizza davanti alle questioni scomode.
Come funziona per voi il processo di lavoro insieme? Unire quattro menti con differenti pensieri non è sempre facile, così come riuscite a trovarvi d’accordo quando questo sembra non esserci?
Serve una comunicazione chiara e decisa, di solito ha l’ultima parola chi si sbatte di più per i progetti. Qualcuno si fa trascinare, magari non è totalmente d’accordo, ma se non c’è nessuna alternativa valida si portano avanti le proposte più concrete. Inoltre il cinema si fa dividendo i compiti per competenza, quindi c’è la produzione, la regia, la fotografia, la sceneggiatura. In questo senso le vedute diverse possono trasformarsi in consigli ma è difficile che qualcuno metta bocca sul reparto che non gli compete.
Personalmente vi ho conosciuti con Fantasmagoria, serie disponibile su YouTube che presenta al pubblico le storie più spaventose e inquietante del nostro paese. Come è nato questo progetto, ma soprattutto qual è la sua finalità?
Il progetto è nato dalla proposta di Byron di realizzare una versione nostrana di “Lore”, un podcast ideato da Aaron Mahnke (che a sua volta era divenuto una serie tv). Il primo episodio di Fantasmagoria l’ha praticamente realizzato da solo ed eravamo sotto lockdown. Cercava di smuoverci perché appena avevamo fondato lo studio il mondo era sprofondato nella Pandemia, evento eccezionale che nessuno di noi aveva mai vissuto prima. La prima puntata è infatti molto personale e utilizza materiale di repertorio che prima di allora era rimasto privato. Le storie dell’orrore rispondono a una profonda necessità umana di esplorare la paura in un ambiente sicuro e controllato. Oltre a essere un intrattenimento gradito, l’horror offre benefici psicologici e sociali unici, permettendoci di affrontare ansie e conflitti interni. Ma Fantasmagoria non aveva solo intenti terapeutici, voleva alzare la qualità delle produzioni online dedicate ai mondi misteriosi e analizzare i casi in una maniera più razionale. Si potrebbe dire che la serie sia stata scritta da uno scettico che adora il paranormale.
Sono particolarmente legata ai racconti più dark tutti nostrani. Spesso quando si pensa all’horror la mente viaggia sulle storie americane, o del Nord Europa, eppure ne siamo pieni anche qui in Italia. Ce ne è una in particolare a cui siete più legati e che ancora non avete portato al pubblico?
In Italia le storie dell’orrore hanno sofferto storicamente di un pregiudizio intellettuale che le ha relegate ai margini della letteratura “alta”. Le vicende che abbiamo cercato di raccontare sono più legate alle nostre esperienze personali o ai racconti che ci piaceva ascoltare da bambini. Purtroppo è molto difficile divulgare in rete. Le piattaforme online prediligono contenuti brevi e sensazionalistici, rendendo più complicato per i testi (o i filmati) lunghi catturare e mantenere l’interesse dell’utente, che è stato sovraccaricato cognitivamente ed è ormai abituato a un flusso costante di informazioni brevi, immediate e purtroppo tremendamente superficiali. Comunque abbiamo ancora dei segreti nel cassetto, ma rimarranno tali fino a quando decideremo di raccontarli.
Sia da Fantasmagoria, che dal lavoro che fate vedo che riuscite a integrare anche un pubblico internazionale. C’è differenza, secondo voi, con quello italiano e se sì, in cosa?
Abbiamo avuto ospiti importanti che ci hanno permesso di far arrivare la serie anche al pubblico estero. In questo ci hanno aiutato anche i festival. Si può dire che il vero successo sia stato riuscire a spostare Fantasmagoria fuori dalla rete. Poche realtà sono riuscite a spostarsi nel mondo reale e a concorrere per dei premi, questo perché, come accennavamo, i contenuti online sono spesso futili oppure semplicemente televisivi, con qualche influencer al posto del presentatore. Noi invece abbiamo puntato alla cinematografia documentaria. Tutto decisamente più complesso. Il pubblico internazionale è maggiormente aperto ai generi, di solito sono più multiculturali e per questo può capitare di vedere opere particolarmente rilevanti e dalle tipologie più varie. Da noi i temi sono sempre gli stessi: il crimine, la politica, i drammi di coppia o l’innocua critica sociale delle nostre commedie. È la commedia italiana ad avere sempre un forte impatto sul nostro pubblico, che tende ad accogliere con successo le produzioni domestiche di questo genere.
Ci sono progetti in ballo di cui potete già parlare?
Abbiamo appena terminato il nostro primo lungometraggio “Cinghia”, un giallo all’italiana ambientato durante la Pandemia. L’intuizione era quella di creare un mostro tipico degli slasher che non aveva bisogno di maschera poiché era costretto a portarne una. Un uomo psicologicamente provato da quello che stava vivendo e che si lasciava cadere nel baratro della follia. A indagare, più che la polizia, sarebbe stata una podcaster chiusa nella sua stanza. Una Nero Wolfe obbligata. Queste erano le coordinate inziali per “Cinghia” e tutto sommato sono state rispettate. Il film è stato un lavoro spossante per tutti, durato ben quattro anni e che siamo riusciti a portare all’Apulia Web Fest 2025 per miracolo dove è stato premiato per il miglior montaggio. In questi mesi stiamo organizzando un percorso festivaliero e di sale, la corsa di questo lavoro deve ancora cominciare e non sarà facile senza una distribuzione.
Una volta Roberto Bessi, un produttore della vecchia guardia (Ladyhawke, Sandokan, I colori dell’anima) ci disse: “Ma voi con tutto questo sforzo come pensate di farli i soldi? I film vanno venduti…”, in effetti siamo al puro artigianato, lontanissimi dalle logiche industriali e di mercato. Il film vorremmo mostrarlo al cinema prima di farlo cadere in qualche piattaforma. Recentemente Rustblade e Drag me to Fest hanno prodotto un dvd con uno dei nostro cortometraggi: “Olivia”, ma è un caso. In questo senso abbiamo molto da imparare…
Orefilm/Colliwood nasce con l’obiettivo di dare voce a un cinema libero, artigianale e radicato nella ricerca espressiva. Si occupa della produzione di film, cortometraggi d’autore e progetti audiovisivi a basso budget ma ad alto impatto creativo, posizionandosi come un vero e proprio laboratorio di idee, dove il racconto viene prima del mercato.
Fondata da un collettivo di filmmaker alternativi uniti dalla passione per il linguaggio cinematografico, Orefilm/Colliwood promuove una visione anticonformista, lontana dai modelli industriali. Ogni progetto nasce dal desiderio di esplorare territori narrativi autentici, portando alla luce storie che raramente trovano spazio nei circuiti mainstream.
Il nome “Colliwood” nasce dall’unione tra il quartiere Colli Aniene e la passione per il cinema: una definizione ironica ma identitaria, che rivendica uno spazio creativo diverso dai grandi studi, ma ricco di idee, talento e visione.
Orefilm/Colliwood crede in un cinema “fatto a mano”, dove ogni scelta – dal casting alla fotografia, dalla scrittura al montaggio – è frutto di collaborazione, passione e libertà creativa. La casa di produzione valorizza il territorio, le location e i talenti locali, costruendo una rete artistica e umana in grado di realizzare prodotti competitivi con i low-budget.
Punto di riferimento per chi cerca un approccio indipendente, etico e collettivo alla produzione cinematografica, Orefilm/Colliwood porta avanti una visione che unisce impegno culturale e sperimentazione visiva.
Ciao ragazzi! Innanzitutto grazie per il vostro tempo e la disponibilità di chiacchierare un po’ con noi di 4Muses. Al solito, inizio con chiedervi come e perché avete scelto la strada del cinema e poi della produzione…
Il cinema è tra i nostri primi amori, assieme alla musica. Siamo sempre stati compatibili, sia a livello musicale, sia a livello spettatoriale, non ci spaventano gli “autori” e le loro sfide intellettuali e non ci mettiamo a giudicare chi fa cinema di serie B o peggio. Anzi nel trash abbiamo sempre trovato intuizioni interessanti da approfondire. Il mainstream spesso finisce per essere troppo accademico, il cinema “brutto e povero” sfida le convenzioni, è creativo perché deve superare i limiti imposti dal basso budget e non si formalizza davanti alle questioni scomode.
Come funziona per voi il processo di lavoro insieme? Unire quattro menti con differenti pensieri non è sempre facile, così come riuscite a trovarvi d’accordo quando questo sembra non esserci?
Serve una comunicazione chiara e decisa, di solito ha l’ultima parola chi si sbatte di più per i progetti. Qualcuno si fa trascinare, magari non è totalmente d’accordo, ma se non c’è nessuna alternativa valida si portano avanti le proposte più concrete. Inoltre il cinema si fa dividendo i compiti per competenza, quindi c’è la produzione, la regia, la fotografia, la sceneggiatura. In questo senso le vedute diverse possono trasformarsi in consigli ma è difficile che qualcuno metta bocca sul reparto che non gli compete.
Personalmente vi ho conosciuti con Fantasmagoria, serie disponibile su YouTube che presenta al pubblico le storie più spaventose e inquietante del nostro paese. Come è nato questo progetto, ma soprattutto qual è la sua finalità?
Il progetto è nato dalla proposta di Byron di realizzare una versione nostrana di “Lore”, un podcast ideato da Aaron Mahnke (che a sua volta era divenuto una serie tv). Il primo episodio di Fantasmagoria l’ha praticamente realizzato da solo ed eravamo sotto lockdown. Cercava di smuoverci perché appena avevamo fondato lo studio il mondo era sprofondato nella Pandemia, evento eccezionale che nessuno di noi aveva mai vissuto prima. La prima puntata è infatti molto personale e utilizza materiale di repertorio che prima di allora era rimasto privato. Le storie dell’orrore rispondono a una profonda necessità umana di esplorare la paura in un ambiente sicuro e controllato. Oltre a essere un intrattenimento gradito, l’horror offre benefici psicologici e sociali unici, permettendoci di affrontare ansie e conflitti interni. Ma Fantasmagoria non aveva solo intenti terapeutici, voleva alzare la qualità delle produzioni online dedicate ai mondi misteriosi e analizzare i casi in una maniera più razionale. Si potrebbe dire che la serie sia stata scritta da uno scettico che adora il paranormale.
Sono particolarmente legata ai racconti più dark tutti nostrani. Spesso quando si pensa all’horror la mente viaggia sulle storie americane, o del Nord Europa, eppure ne siamo pieni anche qui in Italia. Ce ne è una in particolare a cui siete più legati e che ancora non avete portato al pubblico?
In Italia le storie dell’orrore hanno sofferto storicamente di un pregiudizio intellettuale che le ha relegate ai margini della letteratura “alta”. Le vicende che abbiamo cercato di raccontare sono più legate alle nostre esperienze personali o ai racconti che ci piaceva ascoltare da bambini. Purtroppo è molto difficile divulgare in rete. Le piattaforme online prediligono contenuti brevi e sensazionalistici, rendendo più complicato per i testi (o i filmati) lunghi catturare e mantenere l’interesse dell’utente, che è stato sovraccaricato cognitivamente ed è ormai abituato a un flusso costante di informazioni brevi, immediate e purtroppo tremendamente superficiali. Comunque abbiamo ancora dei segreti nel cassetto, ma rimarranno tali fino a quando decideremo di raccontarli.
Sia da Fantasmagoria, che dal lavoro che fate vedo che riuscite a integrare anche un pubblico internazionale. C’è differenza, secondo voi, con quello italiano e se sì, in cosa?
Abbiamo avuto ospiti importanti che ci hanno permesso di far arrivare la serie anche al pubblico estero. In questo ci hanno aiutato anche i festival. Si può dire che il vero successo sia stato riuscire a spostare Fantasmagoria fuori dalla rete. Poche realtà sono riuscite a spostarsi nel mondo reale e a concorrere per dei premi, questo perché, come accennavamo, i contenuti online sono spesso futili oppure semplicemente televisivi, con qualche influencer al posto del presentatore. Noi invece abbiamo puntato alla cinematografia documentaria. Tutto decisamente più complesso. Il pubblico internazionale è maggiormente aperto ai generi, di solito sono più multiculturali e per questo può capitare di vedere opere particolarmente rilevanti e dalle tipologie più varie. Da noi i temi sono sempre gli stessi: il crimine, la politica, i drammi di coppia o l’innocua critica sociale delle nostre commedie. È la commedia italiana ad avere sempre un forte impatto sul nostro pubblico, che tende ad accogliere con successo le produzioni domestiche di questo genere.
Ci sono progetti in ballo di cui potete già parlare?
Abbiamo appena terminato il nostro primo lungometraggio “Cinghia”, un giallo all’italiana ambientato durante la Pandemia. L’intuizione era quella di creare un mostro tipico degli slasher che non aveva bisogno di maschera poiché era costretto a portarne una. Un uomo psicologicamente provato da quello che stava vivendo e che si lasciava cadere nel baratro della follia. A indagare, più che la polizia, sarebbe stata una podcaster chiusa nella sua stanza. Una Nero Wolfe obbligata. Queste erano le coordinate inziali per “Cinghia” e tutto sommato sono state rispettate. Il film è stato un lavoro spossante per tutti, durato ben quattro anni e che siamo riusciti a portare all’Apulia Web Fest 2025 per miracolo dove è stato premiato per il miglior montaggio. In questi mesi stiamo organizzando un percorso festivaliero e di sale, la corsa di questo lavoro deve ancora cominciare e non sarà facile senza una distribuzione.
Una volta Roberto Bessi, un produttore della vecchia guardia (Ladyhawke, Sandokan, I colori dell’anima) ci disse: “Ma voi con tutto questo sforzo come pensate di farli i soldi? I film vanno venduti…”, in effetti siamo al puro artigianato, lontanissimi dalle logiche industriali e di mercato. Il film vorremmo mostrarlo al cinema prima di farlo cadere in qualche piattaforma. Recentemente Rustblade e Drag me to Fest hanno prodotto un dvd con uno dei nostro cortometraggi: “Olivia”, ma è un caso. In questo senso abbiamo molto da imparare…

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