mercoledì 28 aprile 2021

#MustToWatch: Metafisica in Aladdin

Noi di 4Muses siamo sempre felici quando torniamo a parlare di Disney in chiave metafisica. Sarà la primavera alle porte, ma pensiamo sia sempre il caso di ripassare gli insegnamenti ricevuti e curare il nostro giardino interiore.

Tra l’altro, ricordiamo che l’etimologia di paradiso deriva dal persiano “pairdaeza”, dall’ebraico “parsdeš” e dal greco “παράδεισος”, con significato di “giardino recintato”, “verziere”, “parco”. Potete controllare sulla Treccani, se non ci credete.

Essendo estremamente convinte che paradiso e inferno non sono luoghi distanti da noi, a cui accederemo nel momento della nostra morte, ma anzi: li costruiamo giorno dopo giorno nella nostra realtà, analizzare in chiave metafisica qualcosa, è sempre un buono spunto di riflessione. Stiamo facendo davvero del bene nella nostra vita? O potremmo migliorare qualcosa? Insomma, nel vostro paradiso interiore, i frutti degli alberi, i fiori delle piante, hanno un buon sapore e un buon profumo? Sono belli da vedere?

Aladdin è il trentunesimo film classico della Disney, uscito nelle sale di tutto il mondo nel 1992. Crediamo sia uno dei pilastri fondamentali della Disney, forse perché siamo affascinate dalla raccolta di favole orientali “Le mille e una notte”, da cui il cartone ha tratto ispirazione. Ovviamente con le dovute differenze, forse per accontentare il pubblico occidentale, ma questo non è importante.

“Le notti d’oriente tra le spezie e i bazar son calde lo sai, più calde che mai ti potranno incantar…”

Il film si apre con un mercante che si rivolge da subito a noi. Ci ferma, cerca di venderci qualcosa, proprio come succederebbe in qualsiasi bazar mediorientale. Non siamo particolarmente presi, fino a quando tira fuori una semplice lampada a olio che secondo lui nasconde una storia affascinante.

“Non vi fate ingannare dall’aspetto comune. Come per tante cose non è quello che si vede, ma quello che c’è dentro che conta.”

È un meccanismo inconscio e innato: abbiamo sempre paura di ciò che non conosciamo. Così i primi giorni di scuola, di lavoro, o le prime pagine di un libro, i primi minuti di un film, tendiamo sempre a rimanere scostati. Ma quando la trama comincia a farsi interessante, quando una persona nella nostra classe o a lavoro ci prende davvero, rimaniamo attenti al momento.

E qui inizia la storia del “diamante allo stato grezzo”. Proprio come un diamante, che se non lavorato non può esprimere tutte le sue qualità, così è l’essere umano.

“Ti avverto: soltanto uno può entrare qui, colui che cela in sé il proprio valore, un diamante allo stato grezzo.”

Jafar, il gran visir del sultano, vuole appropriarsi della stessa lampada.. E sa che per recuperarla deve far entrare nella caverna delle meraviglie una persona che ricorda proprio un diamante allo stato grezzo.
Jafar lo credeva che qualsiasi persona che vivesse nella miseria, o fosse un ladrone, nascondesse in sé le proprie virtù. Prova a sacrificare un ladro, un assassino, ma lui non ha nessuna possibilità di entrare nella caverna delle meraviglie e ne viene risucchiato.

Nella scena successiva conosciamo Aladdin: un ladro, uno straccione, un disperato, insomma, un ragazzo che non può vivere di niente e rimedia il cibo rubandolo. Non è cattivo, tanto che viene aiutato da delle donne –anche perché è veramente affascinante- nel momento in cui le guardie di palazzo provano a catturarlo per aver rubato un pezzo di pane.

Quando però, lui va al sicuro e riesce a fuggire, incontra due bambini poveri quanto lui, che non riescono a trovare del cibo. Non esita un momento e cede loro il suo pezzo di pane. Poi se ne va verso il palazzo, dove una grande folla è riunita per vedere l’ennesimo pretendente della principessa Jasmine.

La figlia del sultano, infatti, a causa di una legge, deve sposarsi con un principe entro il suo sedicesimo compleanno. Li ha sempre rifiutati tutti, e il tempo stringe. I due bambini corrono verso il principe a cavallo, e Aladdin dimostra coraggio nel momento in cui il principe sta per frustarli.

Il ragazzo, un po' attaccabrighe, esordisce con: “Hey, se fossi ricco come te userei un po’ di buone maniere”.
Il principe risponde spingendolo direttamente su una pozzanghera di fango. 
Ma questo non lo abbatte, e parlando alla sua amica scimmia Abu, alza la voce dicendo: “Guarda un po’ Abu, non si incontra tutti i giorni un asino su un cavallo.”
Messo di fronte alla realtà dei fatti, il principe risponde per le rime, utilizzando lo stesso trattamento: 

“Tu non sei altro che uno straccione. Sei nato straccione e morirai straccione. E solo le tue pulci ti piangeranno.”

Parole forti, eh? Ma quante volte il nostro Ego ce le ripete? Quante volte, quando tentiamo di emergere da un abisso, l’Ego ci ripete costantemente: “Se non è mai successo nulla fino ad adesso, perché le cose dovrebbero cambiare? Le cose sono sempre andate così, e andranno sempre così. O ti adatti, o morirai tra atroci sofferenze.” O cose più o meno simili.

“Non è giusto, non è vero, non sono uno straccione. Solo un poveraccio, ma in noi c’è di più. Abbiamo molto più.”

Aladdin, infatti, a queste parole non riesce a rispondere al principe che entra a palazzo, ma si risponde da solo, apparentemente sconfitto. Torna al suo rifugio, dove dorme riparato dalla strada e dove da lì si vede l’intero palazzo reale.

“Un giorno, Abù, saremo ricchi e vivremo in un palazzo. E non avremo nessun problema al mondo.” Visualizza questa immagine, sa che un giorno accadrà.

Entriamo anche noi al palazzo, e conosciamo il sultano con la figlia Jasmine, che ha rifiutato anche il principe che abbiamo già incontrato. Con i tempi che cambiano, Jasmine è la prima principessa che non si innamora sul momento, né accetta di sposare un principe solo perché deve. Rifiuta ogni pretendente, in nome di una legge sbagliata, perché vuole sposarsi per amore. Non è mai uscita dalle mura del suo palazzo, proprio come il nostro vero Essere, che non riesce mai a uscire fuori, a causa delle enormi mura che gli abbiamo costruito attorno, aggiungendo mattone dopo mattone spessore all’Ego.

Il gran sultano vuole confidarsi con Jafar, perché non riesce a trovare una soluzione per Jasmine. Jafar, però, ipnotizza il sultano per prendergli il diamante blu con il quale, grazie a un incantesimo, riuscirà a capire chi è davvero il diamante allo stato grezzo: proprio Aladdin.

Durante la notte Jasmine scappa dal palazzo, intenzionata a lasciarlo per sempre. E poco dopo l’alba, cammina quasi estasiata al mercato pieno di bancarelle, odori, profumi e gente, tutte cose che non aveva mai visto. Non sa come funziona il mondo fuori, e quando vede due bambini che cercano di prendere una mela, gliela dà senza pensare di pagarla. Il mercante, accorgendosene, le dice che le spetta la legge del taglione: non ha pagato, non ha soldi, deve quindi sacrificare la sua mano.
Lei prova a difendersi, dicendo di conoscere il sultano e di farla andare a palazzo per chiedergli i soldi. Ovviamente il mercante non le crede, Gliela sta per tagliare quando Aladdin la salva, facendola passare per sua sorella pazza che crede che la scimmia sia il sultano. Jasmine sta al gioco, ma quando tutto sembra essere risolto, Abu fa cadere tutto l’oro e la frutta rubata nel frattempo, i tre sono così costretti a scappare.

Arrivati in fretta al rifugio di Aladdin, si scambiano i loro sogni di vita: lui ammira sognante il palazzo reale, sperando un giorno di viverci; lei le fa notare quanto sia dura non poter uscire dalle mura e non vivere realmente l’esperienza della vita. In quel momento arrivano le guardie per catturare Aladdin, sotto comando di Jafar. Jasmine si presenta come la principessa figlia del sultano, loro la riconoscono ma questo non ferma le guardie che devono rispondere a un ordine.

Jasmine torna a palazzo, vuole liberare Aladdin ma Jafar le dice –fintamente dispiaciuto- che ormai il ragazzo è morto. In realtà il ragazzo è nella prigione del palazzo e scappa perché Jafar, mascheratosi da vecchietto, gli offre una via di uscita. Lo fa esclusivamente per condurlo alla caverna delle meraviglie.


Lì Aladdin riesce a prendere la lampada, ma rimane rinchiuso sotto terra perché Abu ha toccato il diamante proibito. Non sapendo cosa fare, Aladdin sfrega la lampada e compare il genio.

La storia la conosciamo un po’ tutti: Aladdin ha a disposizione tre desideri (nella storia orientale sono infiniti) e come primo desiderio, desidera di diventare un principe. Così facendo ha l’accesso all’entrata del palazzo, per ottenere la mano di Jasmine. Si presenta come principe Alì, di un lontano paese.

“Ti fidi di me?”

I due si ritrovano, si innamorano, ma Jafar ha scoperto che il principe Alì è in realtà Aladdin, sotto l’incantesimo del genio. Gli ruba la lampada, e ottiene un potere immenso, chiedendo però sempre di più.


Ha tutto, ma vuole diventare uno stregone, poi addirittura il genio più potente dell’universo. Ma è proprio per questo desiderio che si ritrova imprigionato nella sua stessa lampada.

“Fenomenali poteri cosmici, in un minuscolo spazio vitale”

Jafar ora ha tutto, ma non è libero. Mentre Aladdin e Jasmine, ritrovati e in pace, si sposano. Aladdin diventa il futuro sultano del regno e libera definitivamente il genio.

Qui finisce la storia. Eviteremo volutamente di parlare di Aladdin 2 e Aladdin 3. Andiamo ora ai riferimenti metafisici:

Jafar rappresenta i contenuti egoici, quelli che vogliono il trono e il comando a tutti i costi. La parte di noi perennemente insaziabile che anche ottenendo qualcosa, scalpita, urla, calcia e strilla perché vuole altro. Proprio come un bambino che non è mai contento, non riesce a comprendere che più ha, più si costruisce la prigione dove è incatenato. Si identifica con i titoli, con le esperienze, con gli averi, ma è vittima del suo stesso gioco. Sempre incontentabile, sempre più affamato.

Il genio sono i mezzi che abbiamo, le capacità con cui nasciamo e che affidandoci a loro ci danno la tanto agognata libertà. La consapevolezza che possiamo tutto, che siamo tutto. All’inizio giochiamo con questi mezzi, chiediamo lo stesso sempre di più, ma quando abbiamo sciolto tutti i legami con i desideri, ci accontentiamo. Nella storia originale, il protagonista smette di chiedere quando ha ottenuto l’amore della principessa. Nella versione Disney, nonostante i tre desideri, anche Aladdin smette di chiedere, liberando definitivamente il genio. Ha l’amore di Jasmine sia perché ha chiesto aiuto, sia perché è stato coraggioso, ha sconfitto l’Ego, ha dato pace al suo Regno.

Aladdin e Jasmine sono la parte di noi (la dualità che diventa unità, sposandosi) consapevole ci sia molto di più. Entrambi sognano un’altra vita, un’altra realtà ed entrambi agiscono in funzione del cambiamento. Si amano e si uniscono riuscendoci, e questo libera anche la loro anima. Siamo sicure che Aladdin saprà governare al meglio un Regno che lo ha visto sia ultimo che primo, e Jasmine non si sentirà più in gabbia.

In tutto ciò, dov’è l’Anima? Beh, nelle azioni dei due protagonisti. Nella loro seduta al trono, nel momento in cui ritorna la pace, quella imperitura. Vedete, spesso abbiamo paura del lasciare che sia. Dell’agire a seconda del nostro desiderio. Ci aspettiamo sempre qualcosa in cambio: “Se faccio così, ottengo questo e sarò felice”. Ma l’ottenere, non è forse Ego? Aladdin e Jasmine, quando smettono di pensare in questo modo, risolvono ogni situazione. Jafar che non smette con questo modus operandi, si imprigiona.

E voi? Siete abbastanza coraggiosi da liberarvi?

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