Vi ricordate quando a scuola dovevamo spiegare e interpretare le poesie? Ecco, non sapendo bene il perché, abbiamo perso l’abitudine di farlo anche con le canzoni. Pensiamo che un testo abbia solo il significato letterale, al massimo allegorico. Ma se non fosse solo ciò?
Certo, non vogliamo dire che le nostre interpretazioni siano le uniche sole giuste; non crediamo neanche al giusto o sbagliato. Vogliamo però darvene una in più, così, tanto per riflettere da un altro punto di vista.
Oggi siamo qui per analizzare un’altra canzone di Lucio Battisti, scritta da Mogol: La luce dell’est. E se non fosse solo una canzone che parla di un amore passato, frutto di una vacanza nell’Europa dell’Est? E se fosse anche una canzone di iniziazione alla metafisica?
Vi sentiamo, sappiamo che state pensando: “Vedete la metafisica ovunque.” No, la risposta è che vediamo la metafisica dove c’è.
“La nebbia che respiro ormai/si dirada perché davanti a me/un sole quasi bianco sale ad est”
La nebbia è la nostra vita fatta di azione, reazione e dovere. Mille impegni, mille scadenze, tutto per arrivare tranquilli alla fine del mese, o per accumulare titoli con i quali non vediamo l’ora di identificarci giorno dopo giorno. Ogni persona che è sul cammino iniziatico, quando vede per la prima volta la luce del proprio sole interno, ha l’impressione di una tenda tirata via, o di una nebbia dilatata. Il sole, ovviamente, è l’Anima, il nostro Essere. L’Essenza che c’è sempre stata e sempre ci sarà. Non cambia, è fissa e la sua luce dipende esclusivamente da quanto l’abbiamo coperta nel corso della Vita. A Est il sole sorge, sale in alto verso il cielo. Il protagonista è quindi all’inizio del cammino.
“La luce si diffonde ed io/questo odore di funghi faccio mio/seguendo il mio ricordo verso est”
Per i più maliziosi l’odore di funghi può riferirsi a quelli allucinogeni, tanto utilizzati dalla new age proprio per aprire la mente e iniziare il percorso dell’Anima. Avendovi già parlato di LSD e droghe psichedeliche, preferiamo, in questo articolo, andare oltre. Il protagonista si trova in un bosco (lo ritroveremo anche dopo), e sta cominciando la sua meditazione. Nei primi istanti si inizia con dei respiri profondi, e si accettano tutte le sensazioni attorno, accogliendole dentro di noi. Quindi lui sente forte l’odore di funghi e lo accoglie facendolo suo. Si abbandona alla meditazione, al respiro, tenendo il pensiero fisso verso Est: il sorgere della sua anima.
“Piccoli stivali e sopra lei/una corsa in mezzo al fango e ancora lei/poi le sue labbra rosa e infine noi/”Scusa se non parlo ancora slavo”/mentre lei che non capiva disse: “Bravo”/e rotolammo fra sospiri e “Da”"
Se avete provato la meditazione almeno una volta nella vita, sapete che la mente comincia a vagare, vagare e vagare. Il nostro compito è quello di osservare il tutto, senza seguire il vortice dei pensieri. Quando ci accorgiamo della loro presenza, basta tornare fissi al punto. Il ragazzo ripensa a una donna, parte dai suoi stivali, poi va sull’”Ancora lei”, riferito all’anima, poi di nuovo a loro che corrono nel fango, poi all’anima, fino a quando il ricordo si fa più piacevole e lui non riesce a tornare all’Anima.
“Poi seduti accanto in un’osteria/bevendo un brodo caldo, che follia/io la sentivo ancora profondamente mia/ma un ramo calpestato ed ecco che/ritorno col pensiero/e ascolto te/il passo tuo/il tuo respiro dietro me”
Il ricordo torna a loro in un’osteria, felici, ma un rumore di un ramo calpestato da qualcuno attorno, lo riporta al presente. Così può fissare la mente all’anima, la riascolta, continua a seguire il proprio respiro.
“A te che sei il mio presente/a te la mia mente/e come uccelli leggeri/fuggon tutti i miei pensieri/per lasciar solo posto al tuo viso/come come un sole rosso accesso/arde per me”
La nostra parte romantica sogna e pensa che ora il protagonista sia pensando alla donna attuale, il suo vero e unico amore. E se invece stesse parlando all’Anima? Nella meditazione bisogna rimanere fermi nel presente. Non importa per quanto tempo, l’importante è ascoltare solo ed esclusivamente il presente. E come vi abbiamo già spiegato, osservare i pensieri senza seguirli, proprio come osserviamo gli uccelli volare in cielo e poi scomparire. Facendo così quella luce interna che prima era pallida e annunciava l’alba, ora è più viva che mai, e arde per noi, proprio come il sole di mezzogiorno.
“Le foglie ancor bagnate/lascian fredda la mia mano/e più in là un canto di fagiano sale ad est”
Ci immaginiamo il protagonista sdraiato su un tappeto di foglie, ed è la parte della meditazione che, dopo aver lasciato correre i pensieri ed essersi concentrata sulla respirazione, ora deve porre l'attenzione sulla sensazione del proprio corpo a contatto con la seduta: letto, pavimento, tappetino, o appunto, su delle foglie bagnate dopo un po’ di pioggia. Sappiate che il fagiano, nella metafisica, non è solo simbolo di sessualità, ma anche di rinascita, di iniziazione. Di lasciar andare il passato per accogliere il futuro. Significato che ha questa canzone anche se la si legge dal punto di vista letterale.
“Qualcuno grida il nome mio/smarrirmi in questo bosco volli io/per leggere in silenzio un libro scritto ad est”
Forse qualcuno lo sta chiamando per interrompere la meditazione, forse un ricordo che riappare, non è importante. Sofferiamoci su: “smarrirmi in questo bosco volli io”. Chi altro vi ricorda? Chi altro abbiamo già incontrato che si è smarrito in una selva oscura? “Per leggere in silenzio un libro scritto ad est”. Per alcuni è la Bibbia, ma se vi dicessimo che anche la Divina Commedia è un testo iniziatico? Vi sembra troppo? Non preoccupatevi, ne parleremo in futuro. Il protagonista, quindi, potrebbe aver deciso di sua spontanea volontà di intraprendere l’iniziazione e ogni iniziatico sa che per raggiungere lo scopo, bisogna partire dal puro dolore. Ecco il perché del “smarrirmi.” Se non proviamo il panico, come possiamo evolvere? Anche Dante inizia il suo cammino dall’Inferno.
“Le mani rosse un poco ruvide/la mia bocca nell’abbraccio cercano/il seno bianco e morbido tra noi/”Dimmi perché ridi amore mio,/proprio così buffo sono io?”/La sua risposta dolce non seppi mai”
Qui il protagonista sembra essersi perso in altri ricordi. Oppure sta ripercorrendo una storia terminata ancora prima di iniziare?
“L’auto che partiva e dietro lei/ferma sulla strada lontano ormai/Lei che rincorreva inutilmente noi/un colpo di fucile ed ecco che/ritorno col pensiero/e ascolto te”
Nel turbinare dei pensieri, l’anima del protagonista sa che il passato è passato e non può tornare. “La macchina con dentro noi” è la vita che scorre in avanti –o almeno ci offre questa illusione- “e dietro lei ferma sulla strada lontano ormai”. La vita va, il passato rimane nel passato e non può raggiungerci. Tutto cambia, tutto muta. La nostra mente ha la capacità di andare indietro e in avanti, ma è solo fantasia. Riportare a galla un ricordo, non ci fa rivivere un ricordo. Tornare a pensare a quella volte che a vent’anni abbiamo fatto quella cosa, non ci fa tornare a essere in quel modo. Anzi, spesso neanche ci riconosciamo più nelle persone che eravamo mesi o anni fa. Il passato è fermo, lo guardiamo, pensiamo che lui ci guardi, in realtà è morto. Non esiste più. Poi, un colpo di fucile, forse dato da un cacciatore poco più in là per prendere il fagiano, lo riporta al presente.
Il ritornello, che è lo stesso di prima, è l’inno alla ritrovata presenza dell’anima al momento presente.
Non trovate sia fantastico analizzare una canzone sentita e risentita, e trovarne un nuovo significato? Conoscevate questa canzone? Ritrovate il vostro pensiero in qualche nostro passaggio, o ne avete di diversi? Non esitate a dircelo, lasciando un commento!
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