La seconda opera registica di Pietro Castellitto è arrivata al concorso a Venezia80, raccontando una profonda e attenta critica alla borghesia e alla noia che essa comporta. Un film non da tutti apprezzato, che forse è stato anche poco capito, ma che allo stesso tempo si rivela l’opera più fresca di questa mostra. Un nuovo modo di fare cinema, una nuova ondata che si scaglia contro il ristagnare dell’acqua della laguna.
“Enea” ci trasporta in questo suo viaggio tra spiagge sconfinate. Oltre che alla regia, Pietro veste i panni del suo protagonista e con il suo sguardo e con i suoi sorrisi riesce a trasportarci nella sua strafottenza. Fin dai i primi istanti è tutto chiaro: viene spiegato immediatamente di cosa si vuol parlare e se si perde quel passaggio iniziale ci si perde anche il cuore di questa narrazione. Il tutto si apre con un dialogo, l’amico più intimo di Enea, Valentino sta discutendo con la madre del ragazzo sull’incapacità di intraprendere delle relazioni dalla lunga durata. Lui è figlio di pluridivorziati, donne e uomini che preferiscono la scappatoia piuttosto che resistere e lottare per quel sentimento. Coppie che preferiscono lasciarsi andare alla routine finendo col farsi vivere dalla vita piuttosto che godersela. Enea e Valentino rifugiano a tutti i costi quest’idea di vita e per farlo si nascondono dietro un tenore di vita che si possono principalmente permettere grazie ai soldi dei loro genitori.