Cardiff, 1952. È febbraio quando re Giorgio VI muore e al trono gli succede quella che poi sarà uno dei sovrani più longevi del Regno Unito, Elisabetta II. Qualsiasi testo viene corretto con la dicitura Queen al posto di King, ed è in questo clima che vive Mahmood Mattan, il protagonista di I gentiluomini di fortuna, romanzo di Nadifa Mohamed, tradotto da Silvia Castoldi per Fazi Editore e in tutte le librerie e store digitali dal 28 marzo 2025.
Lo spettro della Seconda Guerra Mondiale, della bomba atomica e dei discorsi sulla razza sono più che presenti nelle menti e nei cuori delle persone. La pena capitale nel Regno Unito è ancora lontanissima dalla sua abolizione, che avverrà soltanto nel 1998, sebbene negli anni i reati capitali siano stati ristretti a una limitata cerchia.
Nel 1952 l’omicidio era ancora un reato che prevedeva la punizione con la pena di morte, ed è sotto questa legge che viene giudicato Mahmood Hussein Mattan, marinaio nato nella Somalia Britannica nel 1923, trasferitosi ancora ragazzino in Galles.
Quando l’ebrea Violet Volacki viene brutalmente assassinata nel proprio negozio, la gola squarciata e il locale imbrattato di sangue, la polizia brancola nel buio. La sorella e la nipote, nelle stanze sul retro della bottega, non hanno sentito nulla, ma hanno soltanto visto la sagoma di un uomo di colore sulla soglia del negozio, ed è proprio questo che farà nascere tutti i problemi di Mahmood.
Mattan viene accusato e processato su una serie di false deposizioni, la forte discriminazione nei confronti delle persone di colore, dei musulmani, in un Paese che, come tanti nel mondo, sta passando dall’estremo razzismo alla tolleranza per tutti con estrema difficoltà, perché le idee radicate sono difficili da estirpare.
Il protagonista è sposato con una donna bianca – con la quale l’avevano implorato di non avere a che fare, ché avrebbe soltanto portato problemi – e con lei ha avuto tre figli, che non vede perché Laura è decisa a chiedere il divorzio. L’arresto di Mahmood sarà ciò che li farà riavvicinare, il ritrovato collante del loro rapporto, che avrà una sola, inevitabile fine.
Nel 1952 l’omicidio era ancora un reato che prevedeva la punizione con la pena di morte, ed è sotto questa legge che viene giudicato Mahmood Hussein Mattan, marinaio nato nella Somalia Britannica nel 1923, trasferitosi ancora ragazzino in Galles.
Quando l’ebrea Violet Volacki viene brutalmente assassinata nel proprio negozio, la gola squarciata e il locale imbrattato di sangue, la polizia brancola nel buio. La sorella e la nipote, nelle stanze sul retro della bottega, non hanno sentito nulla, ma hanno soltanto visto la sagoma di un uomo di colore sulla soglia del negozio, ed è proprio questo che farà nascere tutti i problemi di Mahmood.
Mattan viene accusato e processato su una serie di false deposizioni, la forte discriminazione nei confronti delle persone di colore, dei musulmani, in un Paese che, come tanti nel mondo, sta passando dall’estremo razzismo alla tolleranza per tutti con estrema difficoltà, perché le idee radicate sono difficili da estirpare.
Il protagonista è sposato con una donna bianca – con la quale l’avevano implorato di non avere a che fare, ché avrebbe soltanto portato problemi – e con lei ha avuto tre figli, che non vede perché Laura è decisa a chiedere il divorzio. L’arresto di Mahmood sarà ciò che li farà riavvicinare, il ritrovato collante del loro rapporto, che avrà una sola, inevitabile fine.
«Potresti essere anche l’angelo Jibreel, ma se hai la faccia nera non ha importanza se sei onesto o hai un buon cuore, resti sempre il diavolo.»
Mahmood Hussein Mattan è stato una delle prime persone ufficialmente riconosciute come “vittime di giustizia” in Gran Bretagna, con una schiera di persone pronte a far riaprire il suo caso dalla Criminal Cases Review Commission fondata nel 1998, proprio l’anno in cui la pena capitale è stata abolita.
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Mahmood Hussein Mattan (Wikipedia) |
La sua storia è stata raccontata in modo egregio dall’autrice, che oltre a rendere romanzo un fatto reale è riuscita a inserire tanto di quell’epoca di razzismo e di pregiudizi, di mala giustizia – di cui troppo spesso si sente parlare ancora oggi – e dell’importanza della religione, che ha aiutato Mahmood ad avvicinarsi alla morte con il cuore leggero.
Non è un romanzo dalle tematiche leggere, ma la dolcezza e la semplice efficacia delle scelte lessicali di Nadifa Mohamed rendono la lettura scorrevole e meravigliosa, davvero in grado di lasciare qualcosa di profondo in chi s’immerge nelle pagine di questa storia. Lo stile diretto e senza fronzoli permette una visione semplice del mondo, com’era semplice Mahmood, nella propria vita da marinaio che cerca di barcamenarsi tra onde troppo alte perché possa riuscire a domarle.
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