Alcuni cartoni – o film d’animazione – vanno rivisti in età adulta per comprendere dei concetti che quando eravamo più piccoli ci sono di sicuro sfuggiti. Il catalogo di Netflix ci ha dato la possibilità di rivedere i film dello Studio Ghibli e la nostra attenzione è stata catturata da uno dei più famosi “anime” della produzione: “Il Castello errante di Howl”. Si tratta di un film d’animazione del 2004, scritto e diretto da Hayao Miyazaki e in questo articolo accenneremo alla trama per rinfrescarvi la memoria nel caso lo abbiate visto o non farvi spoiler nel caso fosse nella vostra lista di anime da recuperare durante l’estate. In entrambi i casi, comunque, cercheremo di concentrarci maggiormente sugli argomenti che vengono trattati e di cui ci siamo accorte solo dopo un rewatch più maturo.
La storia di apre con la diciottenne Sophie che lavora nel negozio di cappelli del defunto padre. In città è arrivato Howl, l’affascinante mago che gira con il suo “castello” che ha l’aspetto di un ammasso di ferraglia informe ma in grado di spostarsi su delle “gambe meccaniche”. Mentre fa per andare da sua sorella dopo il lavoro, la giovane viene importunata da due guardie cittadine e salvata da Howl in persona, che la prende immediatamente in simpatia. Dopo essersi confrontata con la sorella, fa ritorno a casa e viene fermata dalla Strega delle Lande, una potente maga che, indispettita dalle attenzioni che Howl ha riservato a Sophie, la maledice trasformandola in una donna anziana impossibilitata a rivelare quello che le è stato fatto. Non potendo più restare a casa, scappa verso le Lande Desolate alla ricerca della strega, ma viene sorpresa da un temporale. Dopo aver salvato uno spaventapasseri maledetto che soprannominerà “Rapa”, questi la aiuterà a trovare riparo, proprio nel castello errante di Howl. Da qui, Sophie comincerà a lavorare come domestica, aiutata dal piccolo Markle.
Sophie ci viene presentata come una ragazza timida e remissiva, su cui grava una terribile maledizione. In realtà su tutti i personaggi principali impervia la medesima sorte: nessuno è come appare sul serio. Sophie, Howl, il piccolo Markle, Rapa e perfino la Strega delle Lande si camuffano o hanno dentro di loro qualcosa che non traspare all’esterno. Perfino i personaggi che sembrano essere più “buoni” nascondono mire diaboliche. La nostra protagonista è la prima a farne le spese e con Howl scoprirà l’amore. Lei, così timida e insicura, si ritrova a dover rassettare il castello – che altri non è che il cuore del mago stesso – che ha accumulato un’ingente quantità di oggetti solo per proteggersi dal mondo esterno. Howl è un vigliacco che vive nel caos. Continuamente dà una immagine diversa di sé, perché per primo non riesce ad accettare la sua codardia e il proprio vuoto interiore. Sarà Sophie stessa a sistemare il castello e la sua vita, buttando via tutte le inutili cianfrusaglie o dando loro una nuova collocazione. Le pulizie sono anche un modo per fare ordine nel mondo di Howl, che ha nascosto sotto strati di narcisismo la propria solitudine.
“Ormai è la fine! Senza la bellezza non c’è alcuna ragione di vivere!”
La bellezza, l’estetica esteriore del bel mago è solo una facciata, una maschera che cambia ogni volta per celare i suoi sentimenti. A tratti, Howl ci appare come distante, apatico, ma grazie a Sophie riuscirà a liberarsi delle costrizioni che lo legano a un mondo in cui lui è solo apparenza. Lei, vecchia, ingrigita e ingobbita, ha dentro di sé un animo forte e determinato, che sarà da esempio per Howl stesso che troverà in Sophie qualcuno per cui vale la pena esporsi e lottare.
Tutti i personaggi rappresentano un tratto distintivo di Howl: il piccolo Markle, che sbriga le faccende per il mago e si camuffa per sembrare più grande, riguarda la sua infanzia perduta. Dall’altra parte abbiamo anche chi lo convoca per la guerra, che riguarda le pressioni sociali alle quali non vuole sottomettersi. Dopotutto, come dicevamo prima, Howl ci viene presentato con molteplici personalità, con diversi nomi e identità che gli permettono – a suo dire – di essere libero, ma che in realtà non fanno altro che renderlo come un uccello in una gabbia di ferraglia. Sophie è tutto ciò che lui vorrebbe essere, animato dall’amore e dal coraggio, la capacità di reagire. Dopotutto se lui è sempre stato fissato con la propria bellezza, dall’altro lato abbiamo la protagonista che ammette:
“Io bella non sono stata nemmeno una volta.”
“Il Castello errante di Howl” diviene quindi una fiaba sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, in cui i personaggi devono fare i conti con le loro “imperfezioni” per potersi accettare e crescere, cercando di vedere quel qualcosa che va al di là di ciò che appare. Se Howl perde la testa nel momento in cui comincia a considerarsi “brutto”, dall’altro lato abbiamo una Sophie che non si è mai distinta, è sempre rimasta sullo sfondo, ma che ottiene considerazione perché dentro ha un animo che arde.
Oltre agli amori giovanili e alla pubertà, Miyazaki ci introduce anche alla guerra: un combattimento tra due forze contrapposte impervia, senza che vi sia una reale motivazione. Maghi come Howl sono chiamati a combattere e devono farlo anche se ne sono contrari. Non sappiamo perché ci sia questa guerra, ma ne vediamo gli effetti sul mondo che contorna i protagonisti. Le bombe, la distruzione, la morte diventano un qualcosa di reale, di tangibile, che appare così vicina ai conflitti del nostro XXI secolo. Dopotutto l’autore voleva fare un parallelo con la guerra in Iraq: non c’è una motivazione, i personaggi stessi non capiscono perché la distruzione si stia abbattendo su di loro, quindi diventa una denuncia sociale ai conflitti.
“Il Castello errante di Howl” ci spinge a riflettere sulla nostra società e a guardare il mondo con occhi diversi, perché è vero che “nulla è come appare”. Quindi, perché non vederlo (o rivederlo)?
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