“Tutta la vita si rinserrava, si spegneva, ammutoliva con quella notte; e io già la vedevo come da lontano, come se essa non avesse più senso né scopo per me”
(Luigi Pirandello, “Il Fu Mattia Pascal”)
Cala la sera tra le vicissitudini del quotidiano, e io cogitabondo e attonito mi scopro tutto d’un tratto un altro. Si tratta di una realizzazione che già il mio inconscio aveva lentamente maturato in questo periodo, ma che ora si palesa davanti ai miei occhi, fiera e incontrovertibile, come dato di fatto.
Un sentimento di assoluta estraneità si impossessa di me, come se non solo non appartenessi più a me stesso, ma come se la mia identità, frammentata e ridotta ai minimi termini, non acquisisse più significato alcuno rispetto a come fu impostata per un’intera esistenza.
Ciò che siamo, non è altro che l’esito di un meccanismo di adattamento e sopravvivenza affinato nel corso del tempo. L’identità non è altro che un punto arbitrario di riferimento, qualcosa di stratificato sulla soddisfazione degli stessi istinti primordiali radicati nella vita stessa.
Impariamo così lentamente a parlare, a stratificare frasi per concretizzare la forza dei nostri istinti mascherati da razionalità. Un artificio elaborato che ci permette di comunicare, la base dell’interrelazione e nella soddisfazione di un bisogno. Iniziamo con bisogni semplici, per poi giungere ad articolare nuovi bisogni ancora più complessi strutturati e articolati attraverso gli artifici condivisi.
Impariamo finanche a dissimulare noi stessi, a fornirci ricostruzioni posticce di atti passati, per far ricadere nel senso della nostra identità le azioni compiute in precedenza.
Impariamo a versare lacrime reagendo anche agli eventi che non costituiscono male fisico, apprendiamo un nuovo tipo di sofferenza, quella psicologica, dallo stesso istinto di conservazione che ha costruito lentamente la nostra personalità.
Scoprendo la pantomima di ciò che sono stato, ora non mi resta altro che scoprire altre parti, che nonostante la loro finzione, possano fornire altre versioni di me.
A chiunque trovi questo messaggio, sappiate che mi allontano ora e per sempre dalla mia consuetudine, divenuta troppo stretta e delicata per contenere l’ardore di una simile scoperta.
Se vorrete cercarmi, mi troverete in ogni nazione del mondo a interpretare un ruolo diverso, mi troverete nell’umanità nel complesso, dato che forse la vera realtà è costituita dal frammento di me che sta in ognuno.
Da domani sarò altro, ma forse un giorno mi ritroverete lontano, nell’ora di punta di un mercato lontano, incrocerete il mio sguardo, e resuscitereste per un attimo ciò che di me è stato, prima di perdermi di vista tra la folla.
Perché io, esotico ormai per me stesso, non mi riconosco più e ne comprendo la vita che da tempo ho vissuto. Ormai non posso più indossare il mio ruolo nel dramma, fissare la mia forma in una parte, vorrebbe dire smettere di essere.
“Volto subito gli occhi per non vedere piú nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Cosí soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo”
(Luigi Pirandello, “Uno, nessuno e centomila”)

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