Torniamo a parlare di Joyce Conte e lo facciamo per la seconda volta nelle vesti di scrittore.
“Il crepuscolo degli amanti d’Itaca” è il suo secondo libro che, come “Le nove notti di Sminteo”, ci apre a nuove sfumature della mitologia classica.
Entrambi i libri sono editi “Le Trame di Circe”.
“Il crepuscolo degli amanti d’Itaca” è il suo secondo libro che, come “Le nove notti di Sminteo”, ci apre a nuove sfumature della mitologia classica.
Entrambi i libri sono editi “Le Trame di Circe”.
Chi ha la fortuna di conoscerlo sia personalmente che lavorativamente (ricordiamo gli incontri ogni ultimo venerdì del mese alla Cappella Orsini per il Salotto Dantesco, da lui ideato, organizzato e tenuto) sa quanto sia profondo il suo essere e non neghiamo che parlando alle sue spalle siamo tutti d’accordo nel constatare che la sua anima sia molto più antica di quanto sembri.
Insomma, Joyce non appartiene a questa era, eppure riesce a portare la sua luce nel buio di una società oscura, ed è proprio con questa immagine che vogliamo ora parlarvi del libro.
Conosciamo tutti la storia di Ulisse e Penelope: l’eroe greco che è costretto ad abbandonare la sposa e il figlio appena nato (Telemaco) per andare a combattere una guerra che non gli appartiene. Sappiamo della famosa Tela di Penelope: stratagemma da lei ideato per non soccombere sotto i Proci e sappiamo del grande ritorno di Ulisse in terra natia vent’anni dopo la sua partenza.
Ma cosa è accaduto dopo?
Tanti sono stati i racconti che hanno provato a rispondere a questo interrogativo, ma forse quello a cui noi italiani in generale siamo più legati è sicuramente la versione fornitaci nel XXVI Canto dell’Inferno della Divina Commedia di Dante.
Ma se il Sommo Poeta ce ne parla dal punto di vista dell’Eroe, Joyce Conte amplia la nostra visione a tutti i personaggi coinvolti, ribaltando i ruoli di Penelope e Telemaco che da marginali diventano, loro malgrado, protagonisti di una storia che emoziona proprio perché convincente.
Dopo l’immancabile proemio, ci addentriamo nella psiche di Penelope grazie alle lettere che la donna ha scritto e mai mandato, al suo amato nei vent’anni di lontananza. La vediamo sfogare i suoi turbamenti mentre racconta della crescita di Telemaco, del cambiamento di Itaca, delle sue speranze di riabbracciare Ulisse sognando il passato ma anche i dubbi sul fatto che il re, marito e padre tanto atteso sia effettivamente morto.
Entriamo a stretto contatto con Penelope che rivalutiamo rispetto ai giorni in cui eravamo costretti a studiare la sua storia e la vedevamo solo come succube di un ideale d’amore. Il raziocinio che tanto vantavamo in adolescenza, si è fievolmente smorzato sia con l’età che con le parole profonde e mai scontate con cui Joyce ha dato voce alla donna.
E proprio mentre siamo totalmente immersi nel suo animo e ricerchiamo sempre più la sua profondità, ecco che rispunta Ulisse e andiamo verso il crepuscolo di quest’amore, con tutte le conseguenze che ricadono a Palazzo, in città ma soprattutto dentro l’animo di Telemaco il quale avrà un ruolo principale fino all’epilogo.
La madre lascia il testimone al figlio, ricordandoci che l’amore non si ferma solo ai rapporti intimi tra due individui, ma vive anche nelle relazioni famigliari e d’amicizia.
Nessuna famiglia è perfetta e leggendo le pagine de “Il crepuscolo degli amanti d’Itaca” sappiamo che meno che mai lo sono le grandi famiglie della storia, sia essa con la S maiuscola, che mitologica.
Grandi doveri hanno dietro di sé grandi sacrifici, e nell’eterna lotta tra anima ed Ego il vittorioso lo è solo se ha fatto morire l’altro, come ci insegna la Bhagavad Gita.
Ulisse deve partire per un altro viaggio, l’eterno, in un certo senso, sia perché in lui non esistono confini, sia perché – come Dante ci insegna – sarà effettivamente l’ultimo, che lo farà sprofondare assieme al suo equipaggio negli abissi del mare.
A nulla valgano le lacrime rabbiose e giustamente risentite di Penelope e Telemaco. La prima torna tra le braccia di un uomo che scopre sconosciuto, il secondo tenta un approccio verso un padre altrettanto sconosciuto che non rispecchia quanto da lui idealizzato.
Ma è giusto sacrificare se stessi, o anche solo qualcosa dell’altro, solo per amor di famiglia?
Una domanda a cui è davvero difficile, se non impossibile dare una vera e propria risposta.
Viviamo in una società che ci obbliga ai legami solo perché lo dice la genetica, come se la condivisione del DNA bastasse a stipulare un accordo che ci vuole incatenati a qualcuno.
Amare vuol dire lasciare l’altro libero di essere se stesso, anche se questo vuol dire non vederlo mai più. Chi sente il bisogno di obbligare a una propria volontà il desiderio di qualcun altro, dovrebbe chiedersi se sta effettivamente amando. E in effetti così fanno Penelope e Telemaco.
Certo, lasciare andare non è per niente semplice, il dolore che proviamo è simile a quello di una morte e in effetti la mente processa la rottura di un rapporto allo stesso modo di un lutto, ma non per questo bisogna farsi guidare dai propri impulsi egoici.
Crediamo sia la fondamentale differenza tra un essere umano che sopravvive e chi, invece, vive appieno. Non affrontare il dolore per non soffrire significa estromettersi deliberatamente da una sfumatura importante della vita.
Il sangue dell’eroe Arcesio – nonno di Ulisse – si interrompe con Telemaco, proprio come era stato profetizzato dalle Moire. A nulla sono valsi gli stratagemmi per evitarlo: stiamo sotto un Destino già scritto al quale è impossibile fuggire. Ma se noi stiamo ancora parlando di loro, se autori come Joyce Conte sentono il bisogno di condividere scene rimaste fino a oggi inedite, è proprio perché persone come Ulisse, Penelope e Telemaco hanno vissuto, in un certo senso, e mai si sono fatte vivere.
Alla fine della fiera, quando lasceremo questo involucro di carne per tornare al nostro luogo di appartenenza, non conterà quante scelte giuste o sbagliate abbiamo fatto, ma quante sono state prese di nostra volontà.
“Il crepuscolo degli amanti d’Itaca” è un libro che vi darà il coraggio di osare e di interrompere o iniziare relazioni d’amore, di qualsiasi natura esse siano.
Ma cosa è accaduto dopo?
Tanti sono stati i racconti che hanno provato a rispondere a questo interrogativo, ma forse quello a cui noi italiani in generale siamo più legati è sicuramente la versione fornitaci nel XXVI Canto dell’Inferno della Divina Commedia di Dante.
Ma se il Sommo Poeta ce ne parla dal punto di vista dell’Eroe, Joyce Conte amplia la nostra visione a tutti i personaggi coinvolti, ribaltando i ruoli di Penelope e Telemaco che da marginali diventano, loro malgrado, protagonisti di una storia che emoziona proprio perché convincente.
Joyce Conte alla presentazione del libro alla Cappella Orsini |
Entriamo a stretto contatto con Penelope che rivalutiamo rispetto ai giorni in cui eravamo costretti a studiare la sua storia e la vedevamo solo come succube di un ideale d’amore. Il raziocinio che tanto vantavamo in adolescenza, si è fievolmente smorzato sia con l’età che con le parole profonde e mai scontate con cui Joyce ha dato voce alla donna.
E proprio mentre siamo totalmente immersi nel suo animo e ricerchiamo sempre più la sua profondità, ecco che rispunta Ulisse e andiamo verso il crepuscolo di quest’amore, con tutte le conseguenze che ricadono a Palazzo, in città ma soprattutto dentro l’animo di Telemaco il quale avrà un ruolo principale fino all’epilogo.
La madre lascia il testimone al figlio, ricordandoci che l’amore non si ferma solo ai rapporti intimi tra due individui, ma vive anche nelle relazioni famigliari e d’amicizia.
Nessuna famiglia è perfetta e leggendo le pagine de “Il crepuscolo degli amanti d’Itaca” sappiamo che meno che mai lo sono le grandi famiglie della storia, sia essa con la S maiuscola, che mitologica.
Grandi doveri hanno dietro di sé grandi sacrifici, e nell’eterna lotta tra anima ed Ego il vittorioso lo è solo se ha fatto morire l’altro, come ci insegna la Bhagavad Gita.
Ulisse deve partire per un altro viaggio, l’eterno, in un certo senso, sia perché in lui non esistono confini, sia perché – come Dante ci insegna – sarà effettivamente l’ultimo, che lo farà sprofondare assieme al suo equipaggio negli abissi del mare.
A nulla valgano le lacrime rabbiose e giustamente risentite di Penelope e Telemaco. La prima torna tra le braccia di un uomo che scopre sconosciuto, il secondo tenta un approccio verso un padre altrettanto sconosciuto che non rispecchia quanto da lui idealizzato.
Ma è giusto sacrificare se stessi, o anche solo qualcosa dell’altro, solo per amor di famiglia?
Una domanda a cui è davvero difficile, se non impossibile dare una vera e propria risposta.
Viviamo in una società che ci obbliga ai legami solo perché lo dice la genetica, come se la condivisione del DNA bastasse a stipulare un accordo che ci vuole incatenati a qualcuno.
Amare vuol dire lasciare l’altro libero di essere se stesso, anche se questo vuol dire non vederlo mai più. Chi sente il bisogno di obbligare a una propria volontà il desiderio di qualcun altro, dovrebbe chiedersi se sta effettivamente amando. E in effetti così fanno Penelope e Telemaco.
Certo, lasciare andare non è per niente semplice, il dolore che proviamo è simile a quello di una morte e in effetti la mente processa la rottura di un rapporto allo stesso modo di un lutto, ma non per questo bisogna farsi guidare dai propri impulsi egoici.
Crediamo sia la fondamentale differenza tra un essere umano che sopravvive e chi, invece, vive appieno. Non affrontare il dolore per non soffrire significa estromettersi deliberatamente da una sfumatura importante della vita.
Il sangue dell’eroe Arcesio – nonno di Ulisse – si interrompe con Telemaco, proprio come era stato profetizzato dalle Moire. A nulla sono valsi gli stratagemmi per evitarlo: stiamo sotto un Destino già scritto al quale è impossibile fuggire. Ma se noi stiamo ancora parlando di loro, se autori come Joyce Conte sentono il bisogno di condividere scene rimaste fino a oggi inedite, è proprio perché persone come Ulisse, Penelope e Telemaco hanno vissuto, in un certo senso, e mai si sono fatte vivere.
Alla fine della fiera, quando lasceremo questo involucro di carne per tornare al nostro luogo di appartenenza, non conterà quante scelte giuste o sbagliate abbiamo fatto, ma quante sono state prese di nostra volontà.
“Il crepuscolo degli amanti d’Itaca” è un libro che vi darà il coraggio di osare e di interrompere o iniziare relazioni d’amore, di qualsiasi natura esse siano.
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