Tutti noi abbiamo dei problemi irrisolti con la famiglia, che sia quella di appartenenza decisa dal Dna o da un’adozione, o che sia quella scelta da noi stessi attraverso le amicizie che ci accompagnano da una vita.
Possono circa dodici ore risolvere problemi, distanze, rancori di decenni?
Questa è la domanda che ci si pone guardando fin dall’inizio “Pare Parecchio Parigi”, nelle sale dal 18 gennaio.
Possono circa dodici ore risolvere problemi, distanze, rancori di decenni?
Questa è la domanda che ci si pone guardando fin dall’inizio “Pare Parecchio Parigi”, nelle sale dal 18 gennaio.
Il soggetto è di Leonardo Pieraccioni e Filippo Bologna, la sceneggiatura di Pieraccioni e Alessandro Riccio, distribuito dalla 01 Distribution, con media partner Rai Cinema. Regia, ovviamente, di Leonardo Pieraccioni.
Ve ne parliamo adesso, lasciando anche le nostre impressioni.
Ve ne parliamo adesso, lasciando anche le nostre impressioni.
Bernardo (Leonardo Pieraccioni), Giovanna (Chiara Francini) e Ivana (Giulia Bevilacqua) sono tre fratelli che non hanno mai avuto un rapporto vero e proprio con il loro padre Arnaldo (Nino Frassica). Dalla morte della madre avvenuta cinque anni prima, poi, i tre non si parlano più e questo ha mandato del tutto in frantumi il rapporto famigliare.
Al terzo infarto di Arnaldo la sua situazione di salute fisica diventa grave al punto che deve essere perennemente assistito, e soprattutto non può lasciare Firenze per nessun motivo. All’uomo resta veramente poco da vivere e ha un ultimo desiderio: vedere Parigi.
Nonostante i pessimi rapporti, i figli vogliono esaudire la richiesta del padre, seppur per finta perché non lasceranno davvero il capoluogo toscano.
Armati di camper e del maneggio di cavalli di cui Bernardo è il proprietario, i tre mettono in scena il viaggio tanto sognato, con non pochi problemi.
Ci saranno situazioni paradossali, alcune davvero divertenti, altre ancora che danno uno spirito avventuroso, ma tutte accomunate dall’incredibile viaggio dell’eroe che deve raggiungere la meta della comprensione.
Non aggiungiamo altro sulla trama per evitare spoiler.
Foto di Leonardo Baldini |
Sentimenti di rabbia, rancore e orgoglio sono certamente normali ed è ovvio che arrivino in noi quando qualcuno che amiamo ci ferisce. Di certo non possono scattare se a deluderci è uno sconosciuto, ed è proprio qui la chiave del tutto: l’amore che ci lega.
La figura del padre è difficile, soprattutto nell’immaginario collettivo. “La mamma è sempre la mamma”, “Di mamma ce ne è una sola”; insomma, la figura della madre nel nostro inconscio collettivo è sempre vista come la colonna portante della famiglia, quella che c’è e che ama a prescindere. Il padre, invece, è quasi sempre ai margini, associato alla persona che si deve accontentare a ogni costo e per questo si ha paura di deludere.
Ci vuole una grandissima forza di volontà anche solo a decidere di intraprendere la strada del perdono ed è per questo che tutti e tre fratelli diventano gli eroi di se stessi. Riprendono in mano il proprio passato, i loro limiti, la loro voglia di riappacificarsi e facendolo si aprono al loro vero Sé.
In più ci vuole un’incredibile maturità per comprendere che: “Il dolore è temporaneo, il rancore è per sempre”, o almeno vive finché noi vogliamo continuare a portare tale fardello.
Foto di Leonardo Baldini |
Proprio come una favola moderna, o come il celebre viaggio dantesco, vediamo che l’unico modo per uscire dal buio della nostra anima è attraversarlo. L’unico modo per arrivare all’altro è ascoltare quello che ha da dirci, anche se le sue parole possono ferirci.
Forse non tutti sanno che l’etimologia di “fratello” – che nell’italiano odierno è il diminutivo di “frate” – proviene dal sanscrito “bhratar”, che ancora ha la radice “bhar”, dal significato di “sostentamento e nutrizione”.
Il fratello, quindi, è la persona che ci sta accanto per accompagnarci nella crescita e a volte è necessario qualche scappellotto alla bona o parola più forte per farci tornare sulla retta via.
“Questa storia è liberamente ispirata ai fratelli Michele e Gianni Bugli che nel 1982 partirono con il padre malato in roulotte e gli fecero credere di essere arrivati a Parigi. Viaggiarono non uscendo quasi mai dal loro podere. Il film è dedicato a loro. E a tutti i sognatori.”
Troviamo scritto questo alla fine del film, e in un certo senso ci ha alleggerito il cuore perché ci ha fatto capire che l’umanità ha ancora una speranza di salvezza nei gesti d’amore.
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