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giovedì 11 dicembre 2025

#Moda: Vestirsi di libertà – Come la moda ha raccontato le rivoluzioni femminili

L’ho scritto più volte: la moda non è solo estetica. È un linguaggio politico, a volte un atto di ribellione e soprattutto per noi donne un mezzo di emancipazione.

Attraverso i secoli le donne hanno utilizzato proprio l’abbigliamento per sfidare le norme sociali: i vestiti pomposi hanno lasciato il posto a quelli più comodi, fino ad arrivare alle suffragette con i loro pantaloni, più avanti il tailleur di Coco Chanel e ancora la minigonna che fece scandalo a metà anni Sessanta. Oggi continuiamo a vivere nelle riforme, soprattutto con il movimento body positivity.

Ogni abito scelto, insomma, diventa un piccolo manifesto e ogni persona che lo indossa un’icona silenziosa di resistenza.
In questo articolo mi concentrerò principalmente sulle donne, non perché gli uomini siano meno importanti, ma perché credo che siano state il sesso che più ha potuto gridare la propria liberazione attraverso la moda.
  
Durante il XIX secolo l’abbigliamento femminile era a dir poco ingombrante e fastidioso. Corsetti strettissimi, crinoline, sottogonne erano un vero e proprio incubo, soprattutto perché limitavano i movimenti, obbligando la donna, soprattutto se appartenente a un rango alto, a rimanere confinata in casa.
Così in quel contesto sociale era davvero impensabile per una donna indossare dei pantaloni, almeno fino all’arrivo di Elizabeth Smith Miller
La Miller è una ragazza di New York che nel 1851 decide di “inventare” – messo tra virgolette perché di certo non fu la prima, ma è qui che parte la storia – questo capo d’abbigliamento. I suoi pantaloni sono ampi, leggeri arrivano fino al ginocchio, anche se sono coperti da una gonna, anch’essa fino al ginocchio. Portarli significa togliere corsetti, crinoline e sottogonne, risultando così più agili e leggere.

Figlia di attivisti e ricchi filantropi – tra le loro attività c’era la lotta per l’abolizione della schiavitù, oltre che ovviamente il pieno supporto alle sufragette – ha la rivoluzione nel sangue e questi pantaloni si dimostrano così comodi che decide di indossarli quando va in visita alla cugina Amelia Bloomer, anch’essa attivista. La Bloomer se ne innamora e decide di pubblicarli nella rivista “The Lily”, molto seguita nel mondo chic, di sua proprietà. Ed è così che diventano popolari: anche le altre riviste cominciano a fare pubblicità ai pantaloni che vengono ribattezzati bloomers, in suo onore.

Quando il Novecento spalanca le sue porte, lo fa con una guerra mondiale
Gli uomini sono al fronte e le donne devono necessariamente provvedere alla casa e alla famiglia anche dal punto di vista economico. Iniziano a lavorare e alcune di loro non smetteranno più, neanche con i trattati di pace firmati nero su bianco.

Già stilisti come Paul Poiret tolsero del tutto il corsetto nelle loro collezioni, ma con Madeleine Vionnet e i suoi tagli di sbiego, il corpo delle donne mantiene le sue forme senza che esse si sentano costrette. Alleggerirsi vuol dire avere più auotonomia nei movimenti.

Ma è Coco Chanel a confermare la donna lavoratrice anche nella moda: introduce il tailleur in jersey, un tessuto fino a quel momento strettamente associato all’abbigliamento maschile e sportivo. Il design di linee semplici che liberava in maniera definitiva le donne dai corsetti, donava loro un maggiore comfort senza per forza rinunciare all’eleganza. Il tailleur diventò così simbolo di una nuova femminilità: autonoma e moderna.

Mary Quant sconvolse il mondo intero quando negli anni ’60 accorciò di netto la lunghezza della gonna, arrivando a metà coscia con la sua minigonna. Questo nuovo capo d’abbigliamento sfidò le convenzioni sociali e allo stesso tempo liberò del tutto le donne, celebrando la loro libertà sessuale.

Oggi è il movimento body positivity a guadagnare terreno nel mondo della moda: si promuovono tutte le taglie – purché siano sane – e forme corporee, donando alle donne una maggior sicurezza e accettazione del proprio corpo. Marchi come Savage X Fenty di Rihanna hanno presentato collezioni inclusive che celebrano la diversità e sfidano gli standard di bellezza tradizionali. 

Insomma, la moda – proprio come arte – riflette e influenza i cambiamenti sociali. Attraverso i loro vestiti le donne hanno saputo esprimere non solo la propria resistenza, ma anche l’identità e le aspirazioni.

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