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Usi & Costumi

lunedì 28 novembre 2022

#Mitologia: Vuoto

Forse non è il titolo più adatto, ma scrivendo questo articolo ci siamo figurati l’essere umano come un recipiente vuoto che può decidere quotidianamente di cosa riempirsi.

Dopo aver affrontato i temi della morte e del dolore, oggi parliamo della sensazione di tristezza che deriva dopo un qualsiasi lutto (che sia la morte di una persona cara o la fine di una qualsiasi fase della nostra vita). Vogliamo concentrarci meglio sul morire mentre si sta vivendo, sul decidere di rimanere ancorati al passato invece di andare avanti.

In latinovuoto” deriva dal participio passato del verbo “vocēre”, che vuol dire “esser libero”. È proprio questo il significato che abbiamo voluto dare al senso dell’articolo: dopo una fase dolorosa della vostra vita, dovete sentitevi liberi di esprimervi come meglio credete, ma se non riuscite a trovare una debole speranza, forse potremmo aiutarvi.
Quando siamo vittime di un enorme cambiamento indesiderato tendiamo a non accettarlo e proprio per questo la nostra mente è continuamente puntata al passato, a quello che sarebbe potuto essere o a quello che era. È difficile accorgerci che così facendo ci atrofizziamo lentamente, perdendo la capacità di vivere.
Non seguiamo i nostri impulsi o i nostri stimoli perché non li sentiamo; quando qualcuno ci sprona a qualcosa di nuovo, lo allontaniamo, ci neghiamo quella possibilità e forse pensiamo che la persona in questione rompa un pochino le scatole. Non ci rendiamo conto di quanto male ci stiamo facendo impedendoci il nuovo.
Qualsiasi novità non sminuiscono ciò che è stato, né hanno il potere di cancellare qualcosa o qualcuno che abbiamo amato. Aiutano, però, a mantenerci in vita, a darci di nuovo quella sensazione di vissuto. In certi casi, però, crediamo che continuare a vivere sia impossibile, o peggio: irrispettoso. È per questo che bisognerebbe cambiare un punto di vista.

La presenza

Pensiamo alle stagioni: l’autunno secca le foglie, inizia a farle cadere. Alberi e piante non si aprono più ai loro magnifici colori e i campi sono del tutto arati, in attesa.
Ecco: in attesa. Arriva l’inverno, il freddo ci blocca dall’andare in giro e forse non ci accorgiamo che nonostante il gelo e la neve, i semi sotto il terreno cominciano a germogliare. Non percepiamo da subito l’allungarsi delle giornate, la luce che pigramente riprende il suo potere. Eppure, fin da fine dicembre l’inverno è in preparazione per la primavera, concentrato nel proprio presente.

Non c’è niente di più fondamentale che rimanere saldi su ciò che siamo, che pensiamo e che ci circonda. Il passato è immutabile, il futuro un mistero che sveliamo attimo dopo attimo. Tutto ciò su cui abbiamo veramente potere è l’attimo che stiamo vivendo.
Non ci dilungheremo troppo sulla meditazione e i suoi benefici, perché ne abbiamo parlato molto anche nel passato. Vogliamo solo darvi un piccolo spunto di riflessione prima di procedere: “Perché soffri? Puoi cambiare le cose? Se puoi cambiarle, cambiale. Se non puoi cambiarle, accettale.

Le Quattro Nobili Verità

Attenzione: è praticamente impossibile mettere in un solo articolo tutto ciò che ci sarebbe da dire sull’insegnamento del Dhammacakkappavattana Sutta (Quattro Nobili Verità) del Buddha. Saremo quindi molto sintetici, ma se avete dubbi o domande, fatele pure tra i commenti, vi risponderemo!

Per poter liberarci dal dolore Buddha insegna che bisogna passare per le quattro fasi della Verità.

La Prima Nobile Verità è l’accettazione, essere consapevoli che il dolore e la conseguente sofferenza, ci sono, esistono e sono ovunque nella nostra vita. Possiamo, giusto per sintesi e maggior chiarezza, dividere tali sensazioni in tre categorie:

- il dolore in quanto tale (quello “necessario, al quale difficilmente possiamo scampare: la nascita, le malattie, la vecchiaia e la morte”.)

- il dolore per ciò che muta (non accettare i cambiamenti, avere la sensazione di essere separati da ciò che si desidera.)

- il dolore generato dall’esistenza (più semplicemente, dolore causato dai nostri attaccamenti egoici che possono portarci un senso di frustrazione o di inutilità.)

Primo passo per rialzarsi, quindi: accettare che si sta soffrendo. Vedere il proprio dolore in ogni sua sfumatura. Quale fa più male? La distanza illusoria tra noi e una persona? Il corpo che cede all’età o a una malattia? La mancanza di denaro? Ebbene, rimaniamo un attimo fermi a pensare a quanto tutto sia effimero. Una storia d’amore non è per sempre, così come il rimanere single. Il nostro stato di salute non è esterno, così come la nostra malattia. Tutto è destinato a cessare, a interrompersi, a sparire.

Nella Seconda Nobile Verità, infatti, prendiamo coscienza che il dolore è dentro di noi ed è provocato da una nostra personale visione del mondo. Il dolore nasce e cresce perché non accettiamo il presente, non ci rassegniamo al pensiero che se avessimo di più staremmo meglio.
Non stiamo male perché il mondo è cattivo, né perché qualcuno o qualcosa ci ha presi di mira: stiamo male perché vogliamo non essere chi siamo, vogliamo stare dove non stiamo. Stiamo male perché cerchiamo sicurezze all’esterno, ignorando che qualsiasi nostro appiglio prima o poi andrà via. Quando una qualsiasi certezza viene a mancare, traballiamo e tendiamo a incolpare il sostegno che cede invece che rimanere centrati in noi stessi, per non cadere.

Nella Terza Nobile Verità scopriamo che possiamo smettere di provare dolore e sofferenza, solamente se smettiamo di ricercare sicurezze in tutto ciò che è provvisorio.     
Spoiler: al mondo tutto è provvisorio. Non è quindi una nostra relazione a doverci dare sicurezza, né il nostro corpo, meno che mai il nostro conto in banca. Se tutto questo è destinato a finire, a mutare, in cosa possiamo trovare sicurezza?

Arriviamo alla Quarta Nobile Verità: la strada che dobbiamo intraprendere per avvicinarci al Nirvana. Un vero e proprio sentiero, che il Buddha definisce “Nobile ottuplice sentiero”: scelte ponderate sui nostri pensieri, sulle nostre intenzioni, parole e azioni, sui nostri mezzi di sussistenza, sforzi, e sulla nostra abilità di attenzione e concentrazione.

Scopriremo così che è il nostro Ego a voler cercare a tutti i costi un sostegno all’esterno, perché non accetta il fatto che sia lui l’unico a dover morire, prima o poi. Concentrandoci su noi stessi scopriamo che abbiamo tutto il tempo del mondo (i buddhisti credono nella reincarnazione) per diminuire il nostro Ego e poter vivere vita dopo vita sempre più nella pace, abbandonando ogni conflitto generatore di dolore e sofferenza.

Impermanenza

“Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume scorre di continuo e anche noi cambiamo di continuo.”

-Eraclito

Anche nell’antica Grecia sapevano bene quanto tutto ciò che ci circonda sia destinato a svanire. Guardate la vostra stessa vita: non siete gli stessi di due mesi fa, come non siete gli stessi di due anni fa. Tra dieci anni il dolore che sentite adesso cesserà di esistere, e tra duecento anni nessuno saprà che è mai esistito, o, se sarete nomi importanti della storia, probabilmente verrà accennato in un breve paragrafo di una vostra biografia.
Ma tra millenni non esisterà neanche più la nostra galassia, probabilmente neanche questo universo, non possiamo saperlo. Con i tempi che corrono, poi, letteralmente domani potremmo non svegliarci più sul nostro continente per come lo conosciamo ora.

Se vi siete detti che è quasi inutile sprecare tempo in litigi, ipocrisie, guerre o simili, gioite! È proprio questo il senso di tutto: perché sprecare tempo nel correre cercando di arraffare qualcosa, quando quel qualcosa ha poco valore?
Altri potrebbero pensare: “Quindi tanto vale non fare più nulla.” Niente di più sbagliato: vivere è sperimentare, fare esperienze, avere emozioni. Ma vivere non è ignorare la morte, la fine, il dolore. Anzi, è essere amici di tutte le ombre che ci circondano, in modo tale da non essere più soggiogati al loro volere.
Ci riguarderemo indietro e ci vedremo come zombie perennemente affamati, che dilatano qualsiasi cosa lungo il loro cammino. Un trascinarci quotidiano che ci ha privato delle nostre energie senza nessun premio, neanche quello di consolazione.

Allora, chi sono io?

Tranquilli, non siamo esseri robotici che non provano emozioni, né siamo creature illuminate che hanno raggiunto la pace dei sensi e insegnano agli altri esseri umani come poter accedere all’Eden.
Anche noi abbiamo ancora le nostre paure, i nostri timori, i nostri attaccamenti. Pensare di liberarsene totalmente in pochi anni, è pura utopia, provarci forse è indice di follia.

Scoprire, ma anche solo percepire, che non siamo quell’io che ci parla in continuazione per ottenere qualcosa, mentre si nutrire della nostra tristezza, non lo fa sparire di colpo, in una sorta di puff metafisico.
Ma è anche vero che attraverso la meditazione siamo riusciti a prendere meno sul serio il nostro Ego e a vivere la vita con meno pressioni, senza prendere mai nulla sul serio.

“Sono contento dei miei ultimi anni. Ho conservato il buon umore e non prendo sul serio né me stesso né il mio prossimo.”

-Albert Einstein

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