A noi non piace particolarmente pubblicare articoli a seconda delle date o degli eventi, pensiamo che se vogliamo parlare di qualche argomento, o di qualche personaggio, non è necessario attendere il momento adatto, bisogna farlo e basta. Ma, grande ma, crediamo anche che sia sempre il momento adatto per parlare di certe persone, soprattutto se riguardano il mondo Beatles, a cui abbiamo dedicato un’etichetta. Quindi, ecco che oggi, nel giorno del suo compleanno, parliamo - a modo nostro - della vita di George Harrison, tra l’altro, nostra fonte di ispirazione nel quotidiano.
Attenzione: parleremo al presente, perché lo utilizziamo sempre quando parliamo di George o John Lennon.
George Harrison nasce a Liverpool il 25 febbraio 1943 da Harold Hargreaves Harrison, autista di autobus - ed ex marinaio - e Louise French, di origine irlandese e di fede cattolica. La famiglia di George è numerosa, lui è il più piccolo di tre fratelli (Louise, Harry e Peter), e il più timido e introverso. Cresce in armonia con i suoi coetanei, visti i numerosi cugini, con la mente da subito rivolta verso la spiritualità, ma soprattutto con la passione per la musica.
Ancora prima di imparare a suonare, George è attratto dalle chitarre, tanto che le disegna ovunque, anche sui suoi quaderni scolastici. Nel 1957 la madre gli compra la sua prima chitarra: una Gretsch modello Duo Jet, acquistata di seconda mano al porto di Liverpool. Il porto, ai tempi, era sede di grandi baratti, perché i marinai provenienti dagli Stati Uniti arrivavano con vinili e strumenti musicali introvabili, o che nel Regno Unito costavano tanto. Comincia così a suonare sul serio, tra il lavoro di elettricista e la scuola, formando assieme al fratello e alcuni amici il gruppo dei Rebels.
Nel 1958, - ma secondo le parole di George già qualche anno prima, quando lui aveva tredici anni - sull’autobus che lo porta al Liverpool Institute, conosce Paul McCartney, studente nella stessa scuola. Parlando del più o meno, scoprono di avere in egual modo la passione della musica. Entrambi suonano ed entrambi hanno gruppi musicali. Paul è un componente dei Quarrymen, gruppo fondato da John Lennon, così decide di far conoscere George a John. Il provino di George avviene proprio sull’autobus, ma John è restio ad averlo nel gruppo, vista la giovane età; il talento di George, però, ha la meglio e John acconsente.
Fin da subito John, Paul e George sono i ragazzi che più credono nel progetto musicale. Se nei Quarrymen gli altri vanno e vengono a intervalli, loro rimangono fissi. La zia di John, Mimi, dal carattere severo, non approva la passione del nipote, e meno che mai la sua amicizia con George. Lo vede, infatti, come un ragazzaccio, così le prove avvengono per lo più a casa degli altri due. Contrariamente a Mimi, Louise è estremamente orgogliosa del figlio e ama i suoi amici, tanto da sostenerli moralmente ed è solita offrire loro qualche bicchierino di whisky.
Nel 1960 i Quarrymen cambiano il nome in “Beatles”, probabilmente per il film “Il selvaggio” in cui Lee Marvin dice: “Johnny, ti stavamo cercando, sei mancato molto ai Beetles, a tutti i Beetles”. Non si sa con precisione chi abbia scelto il nome, ma George sostiene che sia frutto di John Lennon e Stuart Sutcliff (all’epoca bassista del gruppo). Nello stesso anno decidono di andare ad Amburgo, ma vengono forzatamente rimpatriati qualche mese dopo, quando la polizia locale scopre che George è ancora minorenne e per questo non può avere un permesso di lavoro.
“Non sono uno dei tanti che sa suonare la chitarra. So scrivere un po’. Non credo di saper fare nulla particolarmente bene ma credo che, in un certo senso, sia necessario che io sia esattamente così.”
- George Harrison
Tornati a Liverpool, però, la fama locale è già alta. Rimangono in tre - Stuart inizia una relazione con
Astrid Kirchher, per questo decide di stabilirsi ad Amburgo. Purtroppo non ha mai avuto il tempo di cambiare idea, o tornare con lei nel Regno Unito in pianta stabile, perché muore di paralisi celebrale nel 1962 - e cercano in tutti i modi, riuscendoci, di ingaggiare
Ringo Starr, il più bravo batterista di Liverpool. Non continuiamo con la storia dei Beatles, altrimenti perdiamo il filo di George.
La fama arriva improvvisa, e George, che per carattere pensa di avere un ruolo marginale, si accorge invece di essere un chitarrista e cantante a tutti gli effetti. Sostenuto anche da John e Paul, tra il 1963 e il 1966, compone brani come:
Don’t Bother Me, (pubblicata nell’album
With the Beatles),
I Need You e
You Like Me Too Much, (nell’album
Help!)
If I Needed Someone e
Think For Yourself, (nell’album
Rubber Soul)
Taxman,
Love You To e
I Want To Tell You (nell’album
Revolver).
Nel frattempo, durante le riprese del film A Hard Day’s Night (1964), conosce la modella inglese Pattie Boyd (nata a Taunton, il 17 marzo 1944) di cui si innamora a prima vista. George le chiede subito di uscire, ma lei rifiuta perché fidanzata da un anno con un altro ragazzo, Eric Swayne. Al secondo giorno sul set, George torna da lei, richiedendole un nuovo appuntamento. Questa volta lei accetta, perché ha lasciato Eric colpita dalla bellezza magnetica di George. Il loro primo appuntamento e al Garrick Club, a Covent Garden. Si sposano il 21 gennaio 1966. Vista la sterilità di Pattie, i due non hanno figli e pubblicamente George si prende la “colpa”, per difendere la moglie, dicendo apertamente che è lui a non poterne avere. Ai tempi, infatti, una donna che non poteva avere figli poteva essere aspramente criticata.
Dal 1965 George si avvicina alla religione induista, quando conosce il maestro indiano
Ravi Shankar, che gli insegna a suonare il sitar. Più passa il tempo, e più la religione indiana comincia a far parte integrante della sua vita, tanto da decidere di passare tre mesi, dal febbraio all’aprile 1968, all’
ashram di
Maharishi. Il soggiorno dei Beatles in
India rivoluziona del tutto anche la loro musica, diventano il primo gruppo rock a inserire strumenti orientali nelle loro canzoni, come in
Norwegian Wood (This Bird Has Flown),
Love You To,
Within You Without You e
The Inner Light.
George continua a rimanere timido e schivo, nonostante la carriera proceda a gonfie vele, e anzi, lo faccia apparire come il Beatle dai testi più profondi: dopo
Long, Long, Long e
Savoy Truffle (nel
White Album) abbiamo le canzoni più belle della musica internazionale:
While My Guitar Gently Weeps (nell’album
The Beatles),
Here Comes The Sun e
Something (presenti nell’album
Abbey Road).
Something è ancora adesso il secondo brano dei Beatles ad avere più cover in assoluto.
Anche se lui non riconosce il suo talento, in quegli anni diventa il chitarrista per eccellenza, quello che tutti riconoscono dalle prime note. Forse stanco di non considerarsi abbastanza, George sente l’impulso di procedere da solo, scrivendo per i
Badfinger,
Jackie Lomax e componendo la colonna sonora per il film
Wonderwall Music.
“Per tutti quegli anni c’è stato fra noi un legame molto stretto. I Beatles non potranno mai dividersi davvero perché, come abbiamo detto al momento della separazione, non c’è davvero nessuna differenza. La musica c’è, i film sono ancora lì. Qualsiasi cosa che abbiamo fatto c’è ancora e ci sarà per sempre. Quel che c’è, c’è, non era poi così importante. È un po’ come Enrico VIII, o Hitler, o uno di quei personaggi storici sui quali si fanno sempre vedere dei documentari; il loro nome resterà scritto per sempre e senza dubbio lo sarà anche quello dei Beatles. Ma la mia vita non è cominciata con i Beatles e non è finita con loro.”
- George Harrison
I Beatles si sciolgono nel 1970 e in meno di trent’anni - ventisette, per l’esattezza - George comincia il suo cammino da solista, con una carriera alle spalle degna di un mito della musica.
Il suo esordio avviene nel 1970, con il brano
All Things Must Pass, registrato assieme all’amico
Eric Clapton e
Dave Mason. La critica - e non solo - rimane a bocca aperta, per l’incredibile talento tenuto nascosto. Cominciano così le chiacchiere su come siano stati John e Paul a non farlo apparire, forse per invidia. Ora è ben chiaro che era semplicemente George a non credere abbastanza in George. L’album vende sette milioni di copie in tutto il mondo, di cui la metà solo negli
Stati Uniti. Il brano
My Sweet Lord, contenuto nell’album, è primo nella
Billboard Hot 100 per un intero mese.
Cinque anni dopo, però, Harrison viene accusato di plagio.
My Sweet Lord è molto simile a
He’s So Fine, delle
Chiffons. Nel 1976 la sentenza è che Harrison la abbia plagiata inconsapevolmente, quindi deve pagare una multa di un milione e seicentomila dollari - parte dei diritti di My Sweet Lord - agli eredi dell’autore di
He’s so fine. Da questo momento George comincia a diventare più paranoico circa la composizione delle sue canzoni, ma allo stesso tempo racconta l’accaduto nel brano
This Song (nell’album
Thirty-Three & 1/3).
“Qualsiasi cosa sia accaduta è positiva se ci ha insegnato qualcosa, ed è negativa solo se non abbiamo imparato: ‘Chi sono? Dove sto andando? Da dove vengo?’”
- George Harrison
Il 1° agosto 1971 George organizza un concerto di beneficienza al Madison Square Garden di New York per le popolazioni tra India e Pakistan. Da questo concerto è uscito fuori un triplo album, dal nome “The Concert for Bangladesh”, accreditato poi come “George Harrison and Friends”. Tra gli artisti che si sono esibiti troviamo: Bob Dylan, Ravi Shankar, Eric Clapton, Leon Russell e Ringo Starr. Il successo è pazzesco, nel 1973 vince il Grammy Award come album dell’anno. Nell’anno precedente, nel 1972, George e Ravi Shankar ricevono il premio Child is the Father of The Man dall’UNICEF, per il loro impegno nelle cause umanitarie. Nonostante questo, George si sente in colpa, perché avrebbe voluto organizzare il tutto in maniera migliore e non di fretta. Forse può sentirsi meglio sapendo che ancora adesso i diritti dell’album vanno alla George Harrison Fund, patrocinata dall’UNICEF. Nel 2011, per il 40° anniversario dell’uscita dell’album, la fondazione ha raccolto più di un milione di dollari per i bambini del Corno d’Africa.
L’interesse per l’umanità e la spiritualità di George lo si vede per tutti gli anni ’70. Nel 1973 fonda la
Material World Charitable Foundation, per supportare gli eventi di beneficenza di tutto il mondo. Nello stesso anno esce l’album
Living In The Material World, contenente il brano
Give Me Love (Give Me Peace On Earth) che raggiunge la prima posizione nella Billboard Hot 100. Nel 1974 fonda la sua etichetta discografica: la
Dark Horse Records e inizia un tour di cinquanta concerti in Stati Uniti e
Canada. Purtroppo, però, George affronta il tour con una tremenda laringite che lo porta ad avere problemi vocali. La stampa americana affossa i concerti e di conseguenza il nuovo album, (
Dark Horse) che diviene un flop. Tra questo e il suo matrimonio che sta arrivando alla fine, nell’ultima metà degli anni ’70, George si tiene lontano dal mondo dello spettacolo.
“Alcune delle migliori canzoni che conosco sono quelle che non ho scritto ancora, e non ha neppure importanza se non le scriverò mai perché sono un niente se paragonate al grande quadro.”
- George Harrison
Dopo il divorzio da Patty (che nel frattempo si è risposata con il suo amico Clapton), George si sposa con
Olivia Trinidad Arias, ex segretaria della Dark Horse, dalla quale il 1° agosto 1978 ha avuto un figlio:
Dhani.
George rimane nel mondo dell’arte producendo altri artisti e film, ma alla morte di John Lennon, nel 1980, George assieme a Ringo, Paul e
Linda McCartney pubblica
All Those Years Ago, dedicandola proprio all’amico scomparso. I problemi sempre più profondi con l’ambiente musicale dell’epoca, lo convincono comunque a lasciare le scene a fine anni ottanta.
Negli anni novanta George torna a suonare dal vivo, sempre insieme ad altri artisti, per poi acconsentire, finalmente, a lavorare di nuovo con Paul McCartney e Ringo Starr per
Anthology, dei Beatles. Dal progetto, realizzato tra il 1995 e il 1996, nascono tre dischi e un film-documentario.
Dopo Anthology torna a lavorare per altri artisti, e nel 1998 ammette di aver avuto un tumore alla gola, dal quale si dice completamente guarito. Il 30 dicembre 1999 sopravvive all’aggressione da parte di
Micheal Abram, che entrato di soppiatto a casa di George, lo ha pugnalato più volte al torace. Olivia riesce a salvare il marito colpendo l’aggressore in testa.
Nel 2000 pubblica l’edizione rimasterizzata di All Things Must Pass, con una versione di My Sweet Lord più moderna, e annuncia un nuovo album. Nel luglio 2001, però, cominciano a rincorrersi le voci che George si sia trasferito in Svizzera per motivi di salute. C’è chi giura che l’artista abbia un tumore al cervello, e cerchi di sconfiggerlo operandosi.
Non viene nessuna conferma, ma il 29 novembre 2001, George Harrison muore a Los Angeles. Sono tanti i messaggi di cordoglio, e oltre a quelli di Paul e Ringo, persino Tony Blair (allora ministro inglese) e la regina Elisabetta II tengono un comunicato in suo ricordo. Spetta alla moglie Olivia lanciare al mondo l’ultimo messaggio di George:
“Ha lasciato questo mondo come aveva vissuto: consapevole di Dio, senza paura della morte e in pace, circondato dalla famiglia e dagli amici. Spesso ripeteva: ‘Tutto può attendere, non la ricerca di Dio. Amatevi l’un l’altro.”
Nel 2002 viene pubblicato il suo ultimo album: Brainwashed. Il 14 Aprile 2009 gli viene data una stella nella Walk Of Fame. Non sappiamo perché a livello sociale George non sia così tanto riconosciuto quanto John e Paul, ma poco ci interessa. Ciò che ha fatto per il mondo, per l’arte e per l’umanità vive ancora oggi, che noi ne siamo consapevoli o meno. Intanto noi di 4Muses non ci vergogniamo di ammettere che nei periodi di incertezza ci domandiamo: “Che farebbe George Harrison?”, e in un modo o nell’altro, la risposta arriva.
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