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lunedì 8 dicembre 2025

#Metafisica: Il velo dell’apparenza – Cosa c’è dietro la realtà che vediamo?

Ve lo dico subito: se avessi davvero la risposta alla domanda: “Cosa c’è dietro la realtà che vediamo?” probabilmente non mi metterei a scriverla sul blog, perché vedrei il concetto di realtà apparente come un qualcosa di così futile che non starei neanche a perderci tempo.


Fortunatamente per me e per voi, non ho una risposta reale, vera, tangibile alla domanda, così come – fortunatamente per tutti – nessuno di noi può averla.
Eppure in molti sembrano ossessionati dal volere scoprire cosa si nasconda dietro ciò che vediamo, come se fossimo tutti i protagonisti del film Matrix.

Può la nostra realtà visibile essere la Matrix che ci tiene imprigionati? A che pro? E se così fosse, chi ci assicura che dall’altra parte ci sia qualcosa di migliore?

Proviamo a rispondere a queste domande proprio grazie alla filosofia…
  
Iniziamo con il famoso mito della caverna di Platone: dobbiamo immaginare degli uomini incatenati fin dalla nascita in una caverna, con lo sguardo fisso su un muro. Alle loro spalle brucia un grande fuoco e quello che i prigionieri vedono riflesso contro il muro sono solo ombre che di conseguenze diventano, per quegli uomini, la loro realtà. A un certo punto uno di loro riesce a liberarsi e si incammina verso la luce, l’uscita della caverna. Lì scopre il mondo reale: sole, alberi, montagne, mare, altre persone, qualsiasi tipo di oggetti e li tocca, ha una sensazione nuova, così capisce che è quella la vera realtà, mentre le ombre sono solo apparenza. L’uomo torna entusiasta di corsa alla caverna, per raccontare tutto e dare un motivo valido ai prigionieri per liberarsi dalle catene e andare verso la verità, ma nessuno gli crede, prendendolo per pazzo.
Così Platone ha voluto suggerirci che ciò che percepiamo con i sensi è solo una parte della realtà, ed è anche la più ingannevole. Per poter evadere da essa, bisogna fare un approfondito percorso di liberazione, contemplazione e ragionamento filosofico che ci porta alla conoscenza del Bene Supremo.

Secoli dopo sarà Kant a rafforzare l’idea platonica nel capolavoro Critica della Ragion Pura, dove distingue fenomeno e noumeno. Il primo è ciò che appare: tutto ciò che possiamo conoscere attraverso i cinque sensi, che poi l’intelletto categorizza e l’esperienza soggettiva interpreta, dando così la propria visione del mondo esterno. Il secondo è la “cosa in sé”: la realtà al di là di ciò che appare e che non è accessibile direttamente alla nostra esperienza sensibile. Della cosa in sé noi non possiamo fare esperienza, ma possiamo renderla pensabile. Non possiamo comprenderla ma, indipendentemente da quella che è la nostra visione della realtà, possiamo vedere come questa appare. È come se la realtà fosse una pianta: possiamo vedere i suoi frutti, i suoi fiori e i suoi colori, ma delle radici, come si intessono nel terreno e con quali altre piante possono comunicare scambiandosi informazioni, non ci è dato sapere. Per Kant si può uscire dalla caverna prendendo consapevolezza che tutto ciò che ci circonda è apparenza, ma allo stesso tempo avendo ben presenti i limiti della nostra natura umana che mai potrà comprendere appieno il noumeno.

Pur essendo una completa zappa in tutto ciò che è scientifico, in primis sulla fisica, la fisica quantistica è una branchia che vedo molto simile alla filosofia. 
Nata agli inizi del Novecento, ha subito messo in crisi molte idee tradizionali su cosa sia la realtà, dando una mazzata non da poco quando ha confermato che è la nostra osservazione a influire su ciò che definiamo “reale”. Questo è spiegato tramite: 

Il principio di sovrapposizione
Le particelle quantistiche possono trovarsi in più stati contemporaneamente finché non vengono misurare. Ciò che appare in “un certo modo” dipende dall’atto stesso dell’osservazione. Lo si spiega bene nell’esperimento mentale del gatto di Schrödinger: abbiamo un gatto chiuso in una scatola con all’interno un meccanismo che può rilasciare del veleno, innescato da un evento quantistico. A scatola chiusa e mai aperta, quindi, il gatto all’interno può essere sia vivo che morto, contemporaneamente. Solo aprendo la scatola, e quindi osservando la realtà del gatto, il meccanismo può funzionare o no, rivelando così all’osservatore se il gatto è vivo o morto.


L’Entaglement 
Due particelle che sono state collegate tra di loro, anche se messe a grande distanza continuano a influenzarsi istantaneamente, rendendosi così un unico sistema. Per spiegarla in parole povere – le stesse che sono state utilizzate con me, che sono davvero problematica in materia e l’esempio delle due monete proprio non mi è entrato in testa – immaginiamo di avere due dati classici, uno viene dato a me, l’altro a te dall’altra parte dell’universo. Nel momento in cui uno di noi lancia il dato, l’altro riceverà comunque il suo numero complementare. Quindi, se a me esce il numero 3, a te uscirà sempre e comunque il numero 4. 


A tutto questo si può contrapporre la meccanica bohmiana che, pur confermando che non tutte le variabili sono visibili, ogni particella ha una posizione e velocità ben definita, che viene guidata dalla funzione d’onda, o onda pilota. Quindi – vediamo qui se ho capito bene – riprendendo il gatto di Schrödinger, secondo questa teoria il gatto è sempre vivo o morto, ma noi non lo sappiamo finché non apriamo. Non è l’atto di aprire la scatola, insomma, a determinare se il gatto sia vivo o morto. Nell’esempio dei dadi, invece, sempre secondo la meccanica bohmiana, nel momento in cui il dado viene lanciato, vi è l’onda pilota a coordinare le due facce: se il dado A ha 3, l’onda guida il B verso il 4.


Personalmente guardo alla fisica quantistica con lo stesso stupore con cui guardo la filosofia, anche se ne capisco di meno.

In entrambi i linguaggi, la realtà visibile è strettamente collegata con il punto di vista dell’osservatore, anche se ci possono essere delle regole scritte dallo stesso universo dalle quali non possiamo uscire. Come se i pensieri fossero un passaggio della nostra crescita, vediamo in Platone la presa di posizione di uscire dalla caverna per scoprire la realtà, per Kant la ragione pura stabilisce comunque dei limiti alla conoscenza e per la fisica quantistica l’osservazione è fondamentale per capire cosa vuol dire “misurare” e quindi cosa poter considerare “reale”.

Con ciò non si deve pensare di voler sminuire la realtà, al contrario, ma darle il giusto valore rimanendo consapevoli che c’è molto di più rispetto a ciò che tocchiamo, vediamo e percepiamo. È come se stessimo continuamente sulla superficie dell’acqua con la nostra mente, mentre il resto della nostra anima vivesse sotto, negli abissi. Possiamo davvero considerare reale solo quello che ci appare davanti?

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