Abbiamo avuto modo di intervistare Filippo Zucchetti qualche mese fa, in occasione dell’uscita del suo singolo “Anita non deve piangere”.
L’ascolto del brano sfida la realtà e tocca direttamente le emozioni.
Filippo Zucchetti, cantautore che usa parole e melodie come strumenti di esplorazione interiore, invita l’ascoltatore a intraprendere un viaggio oltre i confini della realtà. L’artista, conosciuto per la sua abilità nel cesellare le parole e trasformarle in immagini vivide, abbandona la narrazione convenzionale per addentrarsi in un territorio inesplorato.
«Partendo da un arpeggio – racconta - si è aperto un paesaggio melodico che mi ha condotto in una realtà priva di forma, logica e razionalità, dalla quale sono tornato con immagini emotive ed evocative, che poi ho trasposto nel testo del brano.»
Per Filippo Zucchetti, le parole sono strumenti di rivelazione, chiavi che aprono porte verso mondi interiori. Dopo aver esplorato l’autenticità in “Anita non deve piangere” e dipinto scorci di vita sospesi tra sogno e realtà in “Cielo Elettrico”, con “L’uomo che non c’era” continua la sua ricerca, offrendo un’esperienza intima e suggestiva.
Il brano è un invito a lasciarsi trasportare, a perdersi in un labirinto di suoni e parole, dove la musica diventa percezione più che racconto.
Con la sua sensibilità poetica, il cantautore trasforma un’esperienza personale in un’odissea universale, un viaggio che conduce l’ascoltatore a scoprire “l’uomo che non c’era” dentro di sé.
Oggi vogliamo invece parlare del suo ultimo brano: “L’uomo che non c’era”, disponibile in rotazione radiofonica e nelle piattaforme digitali dal 18 marzo 2025.
Il brano è un’esperienza sensoriale che sfida la logica, un’immersione in un mondo dove l’emozione è l’unica guida.
Il brano è un’esperienza sensoriale che sfida la logica, un’immersione in un mondo dove l’emozione è l’unica guida.
L’ascolto del brano sfida la realtà e tocca direttamente le emozioni.
Filippo Zucchetti, cantautore che usa parole e melodie come strumenti di esplorazione interiore, invita l’ascoltatore a intraprendere un viaggio oltre i confini della realtà. L’artista, conosciuto per la sua abilità nel cesellare le parole e trasformarle in immagini vivide, abbandona la narrazione convenzionale per addentrarsi in un territorio inesplorato.
«Partendo da un arpeggio – racconta - si è aperto un paesaggio melodico che mi ha condotto in una realtà priva di forma, logica e razionalità, dalla quale sono tornato con immagini emotive ed evocative, che poi ho trasposto nel testo del brano.»
Per Filippo Zucchetti, le parole sono strumenti di rivelazione, chiavi che aprono porte verso mondi interiori. Dopo aver esplorato l’autenticità in “Anita non deve piangere” e dipinto scorci di vita sospesi tra sogno e realtà in “Cielo Elettrico”, con “L’uomo che non c’era” continua la sua ricerca, offrendo un’esperienza intima e suggestiva.
Il brano è un invito a lasciarsi trasportare, a perdersi in un labirinto di suoni e parole, dove la musica diventa percezione più che racconto.
Con la sua sensibilità poetica, il cantautore trasforma un’esperienza personale in un’odissea universale, un viaggio che conduce l’ascoltatore a scoprire “l’uomo che non c’era” dentro di sé.
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