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martedì 3 ottobre 2023

#StorieRomane: Vendetta romana

Dio perdona, Roma no”. Questa è una delle frasi che potreste sentire spesso pronunciare da chi sta scrivendo questo articolo. Romana de Roma, Frè nel corso della sua vita ha notato come la Capitale d’Italia tratti le persone che hanno osato profanarla in qualsiasi modo.

Parlare male di Roma, apostrofarla come spazzatura, sminuirla… l’Urbe ha sempre dato indietro il suo potentissimo karma, anche dopo decenni, persino dopo secoli. Sono tanti gli esempi che potrebbe fare, ma trattandosi del suo privato preferisce scrivere di uno tra tutti che, essendo rilegato alla Storia, funge anche da cronaca del passato.

In molti hanno sentito parlare del processo al Papa morto, ma quanti conoscono la sorte toccata ai giudici e testimoni? E allora addentriamoci in questa storia, ricordandoci che: “Dio perdona, Roma no”.


Nel 1870 il pittore e scultore francese Jean-Paul Laurens (1838-1921) dipinge il suo “Papa Formoso e Stefano VI”, ora esposto al Musée des beaux-arts de Nantes, nell’omonima città.
Siamo nel pieno del Romanticismo e anche se il nome suscita in noi pensieri di gioia, amore, sentimentali, appassionati… la seconda metà dell’Ottocento fa i conti con l’altra faccia della medaglia di tutto ciò: il macabro. La vita è meravigliosa, sì, ma perché esiste la morte.
In effetti vi sarà capitato di sentire quanto in epoca vittoriana andassero di moda le foto post mortem, o di come persino nelle corti d’Europa erano ricercate le figure dei medium.
Se adesso l’idea di cadaveri e il pensiero che gli spiriti possano continuare a vagare attorno a noi è vista come un tabù, qualcosa da ricacciare per non attrarre sfortuna, ai tempi era il giusto modo per ricordarsi che la vita dura un battito di ciglia e quindi va goduta appieno. Ma non è questo il punto dell’articolo.

Laurens riporta in superficie una storia che sa di assurdo dell’897: il processo a Papa Formoso, morto da mesi.
Formoso riceve la carica a settembre dell’891, in un momento non facile per la Chiesa romana. Il periodo che va dall’888 al 1046, infatti, è conosciuto come saeculum obscurum, visto che il Clero doveva barcamenarsi anche con il potere politico e questo suscitava non poco sdegno tra i credenti che non capivano come l’operato di Cristo potesse coincidere con guerre, rappresaglie, morti, sangue ma soprattutto avesse il potere di decidere delle sorti dei Paesi.     
Come conseguenza non era raro che l’elezione del Papa stesso fosse spinta da forse politiche più che dalla Grazia Divina e ancora, non era poi così assurdo che vi fossero lotte interne.


Alla morte di Stefano V (6 ottobre 891), Formoso era Vescovo della diocesi di Porto e le regole imponevano che non poteva essere eletto Papa (quindi Vescovo di Roma) un uomo che aveva già quella carica in altre città. Nonostante ciò Arnolfo di Carinzia, Re dei Franchi orientali e Berengario, marchese del Friuli, riuscirono a fare le giuste pressioni affinché venisse eletto Formoso.
Dopotutto è dalla loro il precedente di Marino I, Papa dall’882 all’884, anch’esso già Vescovo di un’altra diocesi, ma dall’incarico mai contestato.

Come accennato prima, Formoso – come tutte le alte cariche clericali dell’epoca – fungeva anche da intermediario con la Corona carolingia, Costantinopoli e gli eventuali pretendenti alla Corona imperiale. A questo vanno aggiunti gli intrighi interni e il suo lavoro dura relativamente poco, perché muore il 4 aprile 896, molto probabilmente avvelenato.

Se la sua fama fosse finita qui, noi non ci ricorderemmo di lui, né avremmo scritto molto probabilmente sulla causa della morte.
Il corpo di Formoso giace in pace nel recinto Vaticano solo per nove mesi, quando Stefano VI, suo successore, ne ordina la riesumazione per portarlo a processo. Formoso è accusato, ovviamente, di aver ricevuto ingiustamente il pontificato. Così la bara viene riaperta, il cadavere vestito di tutto punto e trasportato a San Giovanni in Laterano, legato al trono nella Sala del Concilio per dare un’illusione di presenza.

Sì, il processo fu un vero e proprio processo: l’imputato morto aveva persino un diacono come suo difensore e dovette “ascoltare” ogni accusa alla presenza di cardinali e vescovi. Non osiamo immaginare l’odore in quella stanza, ma tant’è.
Alla fine la condanna è fatta: ogni suo atto in vita fu invalidato, così come furono annullati i suoi ordini. Al momento della sentenza gli vennero strappate via le vesti, mostrando al pubblico il suo corpo in putrefazione. Gli amputarono poi le tre dita della mano destra usate per benedire.

La pena, però, non finisce qui: Papa Stefano VI ordina di trascinare il cadavere per le vie di Roma, fino a buttarlo nel Tevere affinché non meritasse alcuna sepoltura.
Contrariamente a quanto si pensasse, nel popolo romano (amante di certi comportamenti) cominciò a nascere del risentimento nei confronti della Chiesa, non riuscendosi a dare una spiegazione logica a una vendetta così atroce.

Dopo tre giorni il cadavere di Formoso si arenò su una sponda di Ostia, dove fu riconosciuto e preso da un monaco che lo conservò nascosto fino alla morte di Stefano VI, nell’ottobre dell’897. Due mesi più tardi venne riconsegnato al nuovo Pontefice: Papa Romano che lo seppellì nella basilica di San Pietro.
Papa Teodoro, suo successore, decise poi di spostarlo nuovamente, ma questa volta per metterlo tra le tombe degli apostoli, con tanto di cerimonia. Ci volle un altro Papa ancora, Giovanni IX, per annullare definitivamente il processo contro Formoso. Sergio III – prima sostenitore del “Sinodo del cadavere” – ristabilì tutti i suoi atti.

All’inizio del 900, quindi, la memoria di Formoso è del tutto intatta, ma questo non basta alla città di Roma che, pur violenta e vendicativa, di certo non ha gradito il trattamento riservato a un suo cittadino.

Dobbiamo fare un salto all’indietro, a pochi mesi dopo il processo. I cittadini romani, come già detto, non ci stanno e il risentimento si trasforma in una vera e propria lotta popolare in tutta Roma. Papa Stefano VI viene così catturato, deposto e imprigionato a Castel Sant’Angelo, dove viene ucciso per strangolamento. Ora giace comunque a San Pietro, per volere del suo amico Papa Sergio III.

Sempre pochi mesi dopo il processo, un terremoto fa crollare il tetto della Basilica di San Giovanni in Laterano, teatro del processo.
I danni sono immensi, tanto che si è costretti a procedere alla sua ricostruzione totale, questo fa anche immaginare il numero dei morti, ma ciò che rabbrividisce è sapere che ogni protagonista del processo è deceduto sotto le macerie. 

Si conclude così uno dei tanti esempi di come è bene non offendere il nome di Roma, né prendersela ingiustamente con uno dei suoi cittadini. Il karma romano è letale.

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