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martedì 9 settembre 2025

#Metafisica: Siamo più dei nostri corpi

Che cos’è l’eternità? Persino l’universo ha un suo inizio e inevitabilmente avrà la sua fine. Perciò, cos’è eterno? Quello che c’è oltre a lui, che c’è sempre stato e continuerà a esserci? 
Queste domande, a cui la scienza non ha ancora saputo rispondere, me le pongo da quando sono bambina e sono certa che è così anche per tutto il resto del mondo. Bastano davvero pochi minuti sotto un manto di stelle che queste vengono a insidiarsi nella nostra mente, ecco perché la maggior parte di noi preferisce non rallentare e quindi non pensare.


Eppure credo sia fondamentale porsele, perché è da queste domande che tutto ritrova la sua giusta prospettiva. Chi sono io, davvero? Sono solo il mio corpo o c’è qualcosa di più? E se sono questo qualcosa di più, anche io sono eterno?

Fortunatamente molti pensatori del passato, ma non solo, hanno provato a dare delle risposte più profonde…

Prima di iniziare ci tengo a fare una premessa: parlare di certi argomenti in un blog non è facile, perché il moltissimo che si dovrebbe dire è accorciato all
’essenziale per una questione di spazio. Così i concetti sono espressi in modo basico, senza approfondimenti. Questo non vuol dire che rimarrà così, se richiesto mi farebbe molto piacere addentrarmi più in profondità nelle tematiche qui affrontate.
 

Per Platone l’anima è immortale, preesistente al corpo che è solo il veicolo con il quale lei ci guida per il mondo. La conoscenza, così, non vuol dire acquisire nozioni nuove, ma ricordare ciò che l’anima sapeva già prima di incarnarsi. Il pensiero, la filosofia stessa, diventano come esercizi per tornare alle nostre origini, e a rivolgerci verso quello che non muore e in un certo senso, non è mai morto.
Anche Sant’Agostino vede l’anima come un punto centrale, ma non perde la sua ottica cristiana. Per lui Dio è dentro di noi, ma non riuscendo a vederlo, lo cerchiamo fuori, nelle Sue creazioni. L’anima, essendo immagine e somiglianza di Dio, è come uno specchio della Trinità divina e, come la parte divina, non muore con il corpo ma lo trascende.
In epoca più moderna, troviamo Edith Stein (1891-1942), la famosa filosofa, mistica e Santa. Per lei l’anima è il punto più profondo della persona, dove avviene l’incontro con Dio. Essendo così un’esperienza che ognuno di noi fa con il divino, la natura animica è unica e irripetibile, non riducibile né al corpo, né alla sola coscienza. È solo attraverso al relazione con sé, con l’altro e con il divino che questa si svela.

Ma che differenza c’è tra coscienza e anima?

Ultimamente l’anima viene spesso confusa con la coscienza. Questo non è un male, perché fa nascere in sé due nuove domande strettamente legate: la coscienza è un prodotto del cervello, o qualcosa di autonomo? È riducibile a processi neurochimici? Da amante dei true crime non mi sfuggono i casi dove spietati killer hanno da sempre frequentato ambienti religiosi, quindi queste domande sono più che lecite.
David Chalmers sostiene che la coscienza ha una qualità esperienziale che non si può spiegare con la sola biologia.
Daniel Dennett, invece, la vede come un prodotto emergente dell’evoluzione. E in effetti la stessa coscienza cambia con il passare non solo delle epoche, ma anche dalla nostra crescita personale, basta notare le diverse morali che si sono succedute nei secoli, o i nostri personali cambiamenti di idee.
Mi trovo comunque d’accordo con Thomas Nagel quando ammette che la coscienza è un mistero ancora troppo profondo per essere risolto in laboratorio.

Se alla coscienza possiamo dare una sede, che è per lo più nel cervello, sull’anima siamo tutti parecchio incerti, a ragione.

Credo che ubicare l’anima sia un paradosso ma anche una follia. L’anima è competenza spirituale, perciò non può appartenere a un luogo fisico. Si percepisce, si intuisce, certo, ma non può essere distribuita in una parte. Alcuni mistici la rilegano al cuore, allo stomaco, sentono come sussulti o strette in quei punti quando questa si palesa, ma personalmente credo che sia solo il loro modo fisico di reagire a certi momenti.
Nei rari momenti in cui mi sono sentita parte dell’Uno, in cui mi sono vista da fuori di me stessa e ho provato una grande gioia, e nei sempre rari momenti in cui mi sono sentita come guidata, come se qualcuno mi stesse spiegando il perché di certe situazioni, mi sono sentita come dentro qualcosa di molto più grande dell’intero universo. Un po’ come dire che il mare non è dentro il pesce, ma è il pesce che nuota nel mare.

Ed è qui che ho provato a dare una risposta all’eternità
.


La definizione di “eterno”, secondo la Treccani, è: “Che si estende infinitamente nel tempo, che non ha principio né fine”. Va da sé che è eterno tutto ciò che non ha alcuna relazione con il concetto di tempo, da noi umani inventato.
Così sappiamo che un animale può vivere la sua eternità perché non ha la sensazione del prima-durante-dopo. Ed è così che si può percepire l’eternità: il cosciente susseguirsi di tutti gli attimi. Scoprire che la vita non trascorre come ci è sempre stato insegnato: passato-presente-futuro. Quella è una divisione che abbiamo creato per facilitare la nostra vita e che dopo millenni abbiamo acquisito come fosse una verità, ma così non è.
Certo, invecchiamo perché le nostre cellule invecchiano, ma non è un processo che a che fare con il tempo. Invecchieremmo lo stesso, anche senza contare i minuti che passano. Se lo vediamo da questa prospettiva, quindi, a che serve misurare il tempo stesso se non per avere l’illusione del controllo? E se continuiamo a guardarlo sempre da questa prospettiva, va da sé che la risposta alla domanda vive già in noi stessi, perché sappiamo già di essere molto di più che un corpo con i suoi pensieri. 

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