Vi assicuro che l’ho visto! So che è opera mia, so che sono stato io a scriverlo!
Forse stavo o dormendo o forse no, ma questo poco importa ai fini dell’attribuzione. Anzi, sapete cosa? Non mi interessa neanche l’attribuzione.
Mi trovavo in un luogo con luci soffuse e molte sedie, forse un teatro. Davanti a me, in carta stampata, reggevo una pagina colma di versi. Non ricordo il contenuto del poema, ma ricordo che si trattava di un capolavoro.
Le migliori rime mai sentite in questa lingua, una selezione accuratissima e spontanea di parole che legate tra loro commovevano diligentemente l’animo.
La precisione metrica era correlata e proporzionale alla profondità di quegli stessi versi; suoni e immagini che portavano in un’altra realtà, o che descrivevano ciò che di più puro era descrivibile in questa realtà.
Forse avrei dovuto presentare a una platea quei versi, forse avrei dovuto memorizzarli per non dover scorgere il foglio appena mi sarei trovato sul palco che avevo dinnanzi.
Più cercavo di memorizzare quelle parole e più si allontanavano, più risultavano inafferrabili alla ragione.
Da lì a poco sarebbe stato il momento, anche se non ricordo bene il contesto, ricordo che avevo assicurato di non aver bisogno di un supporto visivo per recitare quella poesia. Era già troppo tardi tirarsi indietro in quel momento? Anche con il foglio davanti non ero sicuro di poter esprimere a voce il senso di perfezione che mi trasmettevano quelle parole legate tra loro.
Era qualcosa di assoluto, una forma di bellezza reificata dal paradiso.
Le luci di quell’edificio che sembrava un teatro divenivano gradualmente sempre più fosche. Impedendomi di vedere chiaramente quelle parole. Sentivo anche una leggera difficoltà a prendere aria, quella foschia artificiale mi inebriava i polmoni.
Mi sentivo in quel momento, tuttavia, ancora più in dovere di posare il mio sguardo su quel foglio, cercando di riconoscere ancora almeno un verso in quel bagliore, cercando di afferrare nuovamente il concetto ultimo di quella composizione poetica.
Forse è stato del tutto inutile, dato che poco successivamente avevo aperto gli occhi nel mio letto, svegliandomi con grande confusione. Non avevo ancora chiara la demarcazione fra la mia realtà e quella di cui avevo fatto esperienza, per cui mi era parso impossibile che quello scritto così perfetto non esistesse davvero.
Ho controllato i miei appunti, le note del mio cellulare, tutti i versi già pubblicati su questo sito. Niente. Il componimento era scomparso, proprio allo stesso modo in cui era nato.
I giorni successivi ho cercato di ricreare qualcosa che somigliasse a quel componimento, ma nessun risultato si è rivelato soddisfacente.
Forse ciò che appartiene all’eterno è solo accessibile nel sonno, mentre nella veglia qualsiasi traduzione razionale risulta impossibilitata. Sempre se vogliamo considerare “veglia” questa realtà…
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