“The Guardian” l’ha definita la serie più vicina alla perfezione degli ultimi tempi, e in effetti “Adolescence” – miniserie inglese scritta e ideata da Jack Thorne e Stephen Graham, disponibile su Netflix – lo potrebbe essere.
8 maggio 2024, Yorkshire. Il tredicenne Jamie Miller (Owen Cooper) viene arrestato nella sua camera da letto a seguito di un raid della polizia guidato dall’ispettore capo Luke Bascombe (Ashley Walters) e la sergente capo Misha Frank (Faye Marsay). In casa sono presenti anche i genitori del ragazzo: Eddie (Stephen Graham), Manda (Christine Tremarco) e la sorella più grande Lisa (Amélie Pease).
Jamie è accusato dell’omicidio della sua compagna di scuola, Katie Leonard.
È terrorizzato, confuso, si dichiara da subito estraneo ai fatti e la famiglia lo sostiene, ripetendo che hanno sbagliato persona. Ma quando una ripresa di una telecamera di sicurezza mostra il momento dell’omicidio, nessuno può più negare: Jamie ha davvero ucciso Katie. Perché?
Bella domanda. Raptus? Problemi psicologici? Vendetta? Rifiuto da parte di lei? Bullismo? Non si sa. Non esiste il movente, almeno non ufficialmente. Nessuno sa darsi una risposta, si fanno congetture. Quella che poteva essere un’interessante indagine, seguita dal punto di vista dei poliziotti, degli avvocati, dei compagni di scuola e della psicologa incaricata del testare la capacità di intendere e volere di Jamie, si tramuta nei sensi di colpa dei genitori, convinti che avrebbero potuto evitare una svolta del genere per il proprio figlio.
L’avevano già notato violento? Aggressivo? Chiuso in sé? Anche qui, mistero, solo supposizioni che lo spettatore si fa ascoltando i dialoghi. E la scuola? Possibile che i genitori avessero avuto un sentore di un figlio particolarmente ingestibile dal punto di vista dell’aggressività, mentre la scuola no? La sua media di Jamie è ottima, mai una nota, allora quando e come si manifesta questa rabbia? Da dove nasce?
Sono troppe le domande senza risposta che questa serie lascia in sospeso, denunciando come nei femminicidi troppo spesso si dimentica la vittima per concentrarsi sull’assassino, ma in questo caso la serie fa esattamente lo stesso, soprattutto perché con i tanti non detto ci porta a volere sapere ancora di più su Jamie.
Che il messaggio del tutto sia la noncuranza degli adulti rispetto agli adolescenti di oggi? Il far notare che il vederli chiusi in camera non significa più tenerli al sicuro? Da educatrice, possono confermare che questo ha ancora meno senso, o dovremmo avere paura di almeno due generazioni di adolescenti e bambini, futuri adulti.
Insomma, credo che siamo così abituati alla mediocrità da definire “quasi perfetta” una serie certamente di un livello superiore, ma che è davvero lontana dalla perfezione, soprattutto perché i dettagli mostrano tutte le sue mancanze.
Il cast, la regia, la fotografia, la sceneggiatura, tutto è davvero eccezionale, ma possiamo davvero definirla perfetta se nel concreto ci si pone la domanda: “sì, ma alla fine, di che parla?”
Dell’adolescenza difficile? Di femminicidio? Di disagio psicologico? Di genitori assenti?
Credo che in ognuno dei quattro episodi ci sia un tema diverso, che alla fine di tutto lascia lo spettatore sicuramente appagato dal contenuto appena visto, ma con qualche domanda sul senso del tutto.
Per carità, a contrasto con le altre serie offerte ultimamente, Adolescence è sicuramente un capolavoro, perché per lo meno ha dalla sua un’ottima interpretazione, ma non possiamo negare che ha un qualcosa di incompleto.
Dell’adolescenza difficile? Di femminicidio? Di disagio psicologico? Di genitori assenti?
Credo che in ognuno dei quattro episodi ci sia un tema diverso, che alla fine di tutto lascia lo spettatore sicuramente appagato dal contenuto appena visto, ma con qualche domanda sul senso del tutto.
Per carità, a contrasto con le altre serie offerte ultimamente, Adolescence è sicuramente un capolavoro, perché per lo meno ha dalla sua un’ottima interpretazione, ma non possiamo negare che ha un qualcosa di incompleto.
8 maggio 2024, Yorkshire. Il tredicenne Jamie Miller (Owen Cooper) viene arrestato nella sua camera da letto a seguito di un raid della polizia guidato dall’ispettore capo Luke Bascombe (Ashley Walters) e la sergente capo Misha Frank (Faye Marsay). In casa sono presenti anche i genitori del ragazzo: Eddie (Stephen Graham), Manda (Christine Tremarco) e la sorella più grande Lisa (Amélie Pease).
Jamie è accusato dell’omicidio della sua compagna di scuola, Katie Leonard.
È terrorizzato, confuso, si dichiara da subito estraneo ai fatti e la famiglia lo sostiene, ripetendo che hanno sbagliato persona. Ma quando una ripresa di una telecamera di sicurezza mostra il momento dell’omicidio, nessuno può più negare: Jamie ha davvero ucciso Katie. Perché?
Bella domanda. Raptus? Problemi psicologici? Vendetta? Rifiuto da parte di lei? Bullismo? Non si sa. Non esiste il movente, almeno non ufficialmente. Nessuno sa darsi una risposta, si fanno congetture. Quella che poteva essere un’interessante indagine, seguita dal punto di vista dei poliziotti, degli avvocati, dei compagni di scuola e della psicologa incaricata del testare la capacità di intendere e volere di Jamie, si tramuta nei sensi di colpa dei genitori, convinti che avrebbero potuto evitare una svolta del genere per il proprio figlio.
L’avevano già notato violento? Aggressivo? Chiuso in sé? Anche qui, mistero, solo supposizioni che lo spettatore si fa ascoltando i dialoghi. E la scuola? Possibile che i genitori avessero avuto un sentore di un figlio particolarmente ingestibile dal punto di vista dell’aggressività, mentre la scuola no? La sua media di Jamie è ottima, mai una nota, allora quando e come si manifesta questa rabbia? Da dove nasce?
Sono troppe le domande senza risposta che questa serie lascia in sospeso, denunciando come nei femminicidi troppo spesso si dimentica la vittima per concentrarsi sull’assassino, ma in questo caso la serie fa esattamente lo stesso, soprattutto perché con i tanti non detto ci porta a volere sapere ancora di più su Jamie.
Che il messaggio del tutto sia la noncuranza degli adulti rispetto agli adolescenti di oggi? Il far notare che il vederli chiusi in camera non significa più tenerli al sicuro? Da educatrice, possono confermare che questo ha ancora meno senso, o dovremmo avere paura di almeno due generazioni di adolescenti e bambini, futuri adulti.
Insomma, credo che siamo così abituati alla mediocrità da definire “quasi perfetta” una serie certamente di un livello superiore, ma che è davvero lontana dalla perfezione, soprattutto perché i dettagli mostrano tutte le sue mancanze.
Nessun commento:
Posta un commento